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Satira: una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 24 aprile 2008, n. 10656
Con sentenza n. 10656 del 24 aprile 2008, la sezione III^ della Cassazione civile, sancisce che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica, come accade per la vignetta o per la caricatura, consistenti nella consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali delle persone ritratte.

La satira rappresenta, in particolare, “quella manifestazione del pensiero, talora di altissimo livello, che nei tempi si è addossata il compito di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene” .

Diversamente dalla cronaca, la satira è sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, ma rimane comunque assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Conseguentemente nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purchè siano “strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”. Con riferimento all’esercizio della satira politica, la sezione V^ della Cassazione penale sostiene, dal canto suo, che “per invocarsi utilmente la scriminante della satira, anche di natura politica, occorre che vengano pur sempre rispettati i valori fondamentali della persona, dovendosi escludere la legittimità della satira che, trasmodando da un attacco al personaggio politico e all’immagine pubblica del medesimo, si risolva in un insulto gratuito alla persona in quanto tale” (Cassazione penale, sez. V, 11 maggio 2006, n. 23712, in Guida al diritto 2006, 38 54, nota AMATO).

La vicenda riguarda la pubblicazione di un articolo da parte di un quotidiano locale, concernente la transazione intercorsa fra il caporedattore dell’omonimo quotidiano locale (Sig. E.) ed un Comune a seguito di una lunga campagna giornalistica relativa ad un’opera pubblica progettata dal Comune molto controversa a livello locale, dove il Sig. E. veniva raffigurato per mezzo di un fotomontaggio in mutande.

Per tali ragioni, il Sig. E. citava in giudizio la proprietaria dell’omonimo quotidiano ed il Sig. T.A. curatore della pubblicazione incriminata, con istanza di risarcimento dei danni, dovendosi considerare il fotomontaggio “gravemente offensivo della sua dignità”, e istanza di riparazione pecuniaria, ai sensi dell’art. 12 legge 8 febbraio 1947 n. 48 (legge sulla stampa).

La società convenuta chiedeva il rigetto della domanda ritenendo che l’articolo nella sua interezza fosse da considerare pienamente legittimo, in quanto espressivo dell’esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica manifestatosi con la rappresentazione satirica del sig. E., e che l’articolo comunque non eccedeva i limiti della continenza e del rispetto dell’intimità e del decoro della persona.

Il Tribunale di Bolzano con sentenza n. 232/2000 rigettava la domanda del Sig. E., mentre la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza n. 208/02, ne accoglieva l’impugnazione ritenendo l’articolo lesivo della persona e dell’onore dell’appellante. La Corte alto-atesina riteneva, in particolare, sussistente la responsabilità civile della società appellata, desumibile dall’art. 11 della legge sulla stampa, ma rigettava la domanda di riparazione fatta valere nei confronti della società proprietaria del giornale, ai sensi dell’art. 12 legge 48/1947, trattandosi di una pena privata applicabile soltanto ai responsabili del reato.

Ricorre per cassazione la società proprietaria del quotidiano, che rileva la contraddizione logica nella motivazione della sentenza della Corte di appello nel punto in cui giudicava il testo dell’articolo come rispettoso dei limiti del diritto di critica e di cronaca, condannando, invece, la società con riferimento al fotomontaggio ed al titolo dell’articolo.

La raffigurazione fotomontata del Dott. E. in pantaloncini boxer non evocava, inoltre, secondo la ricorrente, alcun disprezzo per la persona, ma significava simbolicamente che il potente (OMISSIS) aveva dovuto arrendersi e fare una brutta figura. Conseguentemente essa non rappresentava una lesione del diritto all’immagine e quanto meno una diffamazione trattandosi di una rappresentazione satirica del tutto innocua e rispettosa dei limiti di fissati dalla giurisprudenza.

Con la sentenza in esame, la Cassazione respinge il ricorso della società proprietaria del quotidiano.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’analisi della Corte che riteneva il testo dell’articolo sostanzialmente corretto nella rappresentazione del fatto, ma lesivo dell’onore personale del Sig. E. con riferimento al titolo e all’immagine del fotomontaggio, non costituiva di certo una contraddizione logica ma una constatazione di merito sulla diversità dei due elementi che hanno composto la rappresentazione giornalistica del fatto.

Quanto alla potenzialità lesiva del fotomontaggio, la Corte di Cassazione, pur legittimando la satira come espressione del diritto di critica sottratta al parametro della verità, sottolinea come il giudizio ironico su un fatto rimane comunque assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Il giudizio critico deve essere manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.

In questo contesto, la valutazione del limite della continenza e della funzionalità dell’immagine e dell’espressione usata nel titolo costituisce espressione del potere del giudice di merito di valutare i fatti a lui sottoposti e, nella specie, “tale valutazione è stata compiuta dalla Corte di appello che ha rilevato la arbitrarietà dell’interpretazione dei fatti, illustrati nel testo dell’articolo, compiuta con il titolo e il fotomontaggio, il carattere denigratorio e lesivo in sè delle espressione usata nel titolo e del fotomontaggio e comunque l’astrattezza di tali espressioni e illustrazioni satiriche rispetto al contesto dell’articolo e dello stesso contesto generale informativo e non satirico del giornale su cui è avvenuta la pubblicazione”.

Quanto al suo fondamento costituzionale, l’opinione prevalente sostiene che il diritto di satira è riconosciuto e tutelato nell’ordinamento quale particolare espressione della libertà di manifestazione del pensiero e di critica ed è dunque ricompreso nell’ambito di tutela garantita dall’art. 21 cost.

Altre pronunce, d’altro canto, accostano il diritto di satira non solo all’art. 21 cost., ma anche agli artt. 9 e 33 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il patrimonio artistico della Repubblica e la libertà dell’arte e della scienza, considerando la satira un’espressione artistica.

Sull’argomento in esame, si richiamano le seguenti sentenze:

1) Cassazione civile, sez. III, 08 novembre 2007, n. 23314, in Giust. civ. Mass. 2007, 11 (commentata da E. Bacciardi, Note sui confini della libertà di far sorridere: Quando la satira ... è più che “satura”, in Resp. civ. e prev. 2008, 5, 1094);

2) Cassazione penale, sez. I, 24 febbraio 2006, n. 9246, in Dir. e giust. 2006, 17 49 (commentata da V. Pezzella, Si alla satira se ha valore educativo, in D&G 2006, 17, 46).

Con sentenza n. 10656 del 24 aprile 2008, la sezione III^ della Cassazione civile, sancisce che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica, come accade per la vignetta o per la caricatura, consistenti nella consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali delle persone ritratte.

La satira rappresenta, in particolare, “quella manifestazione del pensiero, talora di altissimo livello, che nei tempi si è addossata il compito di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene” .

Diversamente dalla cronaca, la satira è sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, ma rimane comunque assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Conseguentemente nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purchè siano “strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”. Con riferimento all’esercizio della satira politica, la sezione V^ della Cassazione penale sostiene, dal canto suo, che “per invocarsi utilmente la scriminante della satira, anche di natura politica, occorre che vengano pur sempre rispettati i valori fondamentali della persona, dovendosi escludere la legittimità della satira che, trasmodando da un attacco al personaggio politico e all’immagine pubblica del medesimo, si risolva in un insulto gratuito alla persona in quanto tale” (Cassazione penale, sez. V, 11 maggio 2006, n. 23712, in Guida al diritto 2006, 38 54, nota AMATO).

La vicenda riguarda la pubblicazione di un articolo da parte di un quotidiano locale, concernente la transazione intercorsa fra il caporedattore dell’omonimo quotidiano locale (Sig. E.) ed un Comune a seguito di una lunga campagna giornalistica relativa ad un’opera pubblica progettata dal Comune molto controversa a livello locale, dove il Sig. E. veniva raffigurato per mezzo di un fotomontaggio in mutande.

Per tali ragioni, il Sig. E. citava in giudizio la proprietaria dell’omonimo quotidiano ed il Sig. T.A. curatore della pubblicazione incriminata, con istanza di risarcimento dei danni, dovendosi considerare il fotomontaggio “gravemente offensivo della sua dignità”, e istanza di riparazione pecuniaria, ai sensi dell’art. 12 legge 8 febbraio 1947 n. 48 (legge sulla stampa).

La società convenuta chiedeva il rigetto della domanda ritenendo che l’articolo nella sua interezza fosse da considerare pienamente legittimo, in quanto espressivo dell’esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica manifestatosi con la rappresentazione satirica del sig. E., e che l’articolo comunque non eccedeva i limiti della continenza e del rispetto dell’intimità e del decoro della persona.

Il Tribunale di Bolzano con sentenza n. 232/2000 rigettava la domanda del Sig. E., mentre la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza n. 208/02, ne accoglieva l’impugnazione ritenendo l’articolo lesivo della persona e dell’onore dell’appellante. La Corte alto-atesina riteneva, in particolare, sussistente la responsabilità civile della società appellata, desumibile dall’art. 11 della legge sulla stampa, ma rigettava la domanda di riparazione fatta valere nei confronti della società proprietaria del giornale, ai sensi dell’art. 12 legge 48/1947, trattandosi di una pena privata applicabile soltanto ai responsabili del reato.

Ricorre per cassazione la società proprietaria del quotidiano, che rileva la contraddizione logica nella motivazione della sentenza della Corte di appello nel punto in cui giudicava il testo dell’articolo come rispettoso dei limiti del diritto di critica e di cronaca, condannando, invece, la società con riferimento al fotomontaggio ed al titolo dell’articolo.

La raffigurazione fotomontata del Dott. E. in pantaloncini boxer non evocava, inoltre, secondo la ricorrente, alcun disprezzo per la persona, ma significava simbolicamente che il potente (OMISSIS) aveva dovuto arrendersi e fare una brutta figura. Conseguentemente essa non rappresentava una lesione del diritto all’immagine e quanto meno una diffamazione trattandosi di una rappresentazione satirica del tutto innocua e rispettosa dei limiti di fissati dalla giurisprudenza.

Con la sentenza in esame, la Cassazione respinge il ricorso della società proprietaria del quotidiano.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’analisi della Corte che riteneva il testo dell’articolo sostanzialmente corretto nella rappresentazione del fatto, ma lesivo dell’onore personale del Sig. E. con riferimento al titolo e all’immagine del fotomontaggio, non costituiva di certo una contraddizione logica ma una constatazione di merito sulla diversità dei due elementi che hanno composto la rappresentazione giornalistica del fatto.

Quanto alla potenzialità lesiva del fotomontaggio, la Corte di Cassazione, pur legittimando la satira come espressione del diritto di critica sottratta al parametro della verità, sottolinea come il giudizio ironico su un fatto rimane comunque assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Il giudizio critico deve essere manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.

In questo contesto, la valutazione del limite della continenza e della funzionalità dell’immagine e dell’espressione usata nel titolo costituisce espressione del potere del giudice di merito di valutare i fatti a lui sottoposti e, nella specie, “tale valutazione è stata compiuta dalla Corte di appello che ha rilevato la arbitrarietà dell’interpretazione dei fatti, illustrati nel testo dell’articolo, compiuta con il titolo e il fotomontaggio, il carattere denigratorio e lesivo in sè delle espressione usata nel titolo e del fotomontaggio e comunque l’astrattezza di tali espressioni e illustrazioni satiriche rispetto al contesto dell’articolo e dello stesso contesto generale informativo e non satirico del giornale su cui è avvenuta la pubblicazione”.

Quanto al suo fondamento costituzionale, l’opinione prevalente sostiene che il diritto di satira è riconosciuto e tutelato nell’ordinamento quale particolare espressione della libertà di manifestazione del pensiero e di critica ed è dunque ricompreso nell’ambito di tutela garantita dall’art. 21 cost.

Altre pronunce, d’altro canto, accostano il diritto di satira non solo all’art. 21 cost., ma anche agli artt. 9 e 33 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il patrimonio artistico della Repubblica e la libertà dell’arte e della scienza, considerando la satira un’espressione artistica.

Sull’argomento in esame, si richiamano le seguenti sentenze:

1) Cassazione civile, sez. III, 08 novembre 2007, n. 23314, in Giust. civ. Mass. 2007, 11 (commentata da E. Bacciardi, Note sui confini della libertà di far sorridere: Quando la satira ... è più che “satura”, in Resp. civ. e prev. 2008, 5, 1094);

2) Cassazione penale, sez. I, 24 febbraio 2006, n. 9246, in Dir. e giust. 2006, 17 49 (commentata da V. Pezzella, Si alla satira se ha valore educativo, in D&G 2006, 17, 46).