x

x

Società - Cassazione: lo scopo e l’oggetto sociale non costituiscono un limite alla capacità giuridica della società

La Cassazione riconosce alle società, come a tutte le persone giuridiche, una capacità generale di agire, ossia la capacità di essere parte di qualsiasi atto o rapporto giuridico, anche non inerente l’oggetto sociale.

La Cassazione si è così pronunciata in favore della validità di una donazione immobiliare da parte di una società di capitali, avente come unico scopo quello di permettere al partito donatario di pagare i propri debiti.

In seguito alla conclusione di tale negozio giuridico a titolo gratuito da parte dei rappresentanti della società (con preventiva delibera assembleare), quest’ultima veniva dichiarata in fallimento. La curatela fallimentare della S.p.a. conveniva in giudizio il partito beneficiario della donazione esperendo azione di nullità con riferimento all’atto societario.

Il Tribunale e la Corte di appello di Roma rigettavano la domanda attorea.

La parte soccombente proponeva allora ricorso per Cassazione prospettando una censura incentrata sulla nullità “genetica” dell’atto di liberalità.

Il ricorrente ipotizzava a fondamento della nullità una illiceità della causa diversa dai vizi previsti dall’articolo 1343 del Codice Civile (contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume), ovvero, l’incompatibilità tra la causa del negozio donativo, coincidente con lo spirito di liberalità, e quella del negozio societario, cioè lo scopo lucrativo di cui all’articolo 2247 del Codice Civile.

Il Fallimento riproponeva la tesi tradizionale che escludeva l’ammissibilità delle donazioni da parte di società, in considerazione della incompatibilità di tali atti sia con l’oggetto sociale (l’esercizio di attività economica di cui all’articolo 2247 del Codice Civile) sia con lo scopo, di realizzare utili da dividere tra i soci. Detto orientamento, ritenendo incompatibili liberalità e utilità, limitava, dunque, la capacità di agire della società, sancendone l’incapacità a donare, indipendentemente dal conferimento di tale potere con espresso atto societario.

I giudici di legittimità, disattendendo la tesi del Fallimento, confermano la posizione oggi nettamente prevalente che riconosce invece una capacità generale a tutte le società. Gli argomenti a sostegno sono plurimi e convincenti: la considerazione che la capacità giuridica non ammetterebbe graduazioni, o sussiste per intero o non sussiste; le difficoltà che sorgerebbero nel determinare i limiti della capacità funzionale, dato che anche atti apparentemente estranei allo scopo sociale potrebbero essere strumentalmente utili al raggiungimento dello stesso; la mancanza di qualsiasi espressa limitazione nelle norme che attribuiscono la capacità giuridica (nella specie, articolo 2331 Codice Civile); l’esistenza, infine, nella disciplina normativa, dell’articolo 2384-bis Codice Civile, applicabile ratione temporis.

In particolare, quest’ultima disposizione tutela la buona fede dei terzi rendendo loro inopponibile l’estraneità all’oggetto sociale degli atti sociali. Tali atti sono pertanto efficaci, salva l’eventuale responsabilità degli amministratori nei confronti della società (e degli associati), e ciò significa che la società è in grado di compierli.

Ne consegue che l’oggetto sociale non costituisce un limite alla capacità della società, ma piuttosto un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi sociali.

In conclusione, è qui ribadito il principio, affermato dalla stessa Cassazione in una sentenza del 1968, e confermato nella giurisprudenza successiva, secondo il quale, la determinazione dell’oggetto sociale nell’atto costitutivo non comporta alcuna limitazione alla capacità delle società stesse; queste pertanto rimangono capaci anche se trascendono e perfino se tradiscono il loro scopo.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 21 settembre 2015, n. 18449) 

La Cassazione riconosce alle società, come a tutte le persone giuridiche, una capacità generale di agire, ossia la capacità di essere parte di qualsiasi atto o rapporto giuridico, anche non inerente l’oggetto sociale.

La Cassazione si è così pronunciata in favore della validità di una donazione immobiliare da parte di una società di capitali, avente come unico scopo quello di permettere al partito donatario di pagare i propri debiti.

In seguito alla conclusione di tale negozio giuridico a titolo gratuito da parte dei rappresentanti della società (con preventiva delibera assembleare), quest’ultima veniva dichiarata in fallimento. La curatela fallimentare della S.p.a. conveniva in giudizio il partito beneficiario della donazione esperendo azione di nullità con riferimento all’atto societario.

Il Tribunale e la Corte di appello di Roma rigettavano la domanda attorea.

La parte soccombente proponeva allora ricorso per Cassazione prospettando una censura incentrata sulla nullità “genetica” dell’atto di liberalità.

Il ricorrente ipotizzava a fondamento della nullità una illiceità della causa diversa dai vizi previsti dall’articolo 1343 del Codice Civile (contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume), ovvero, l’incompatibilità tra la causa del negozio donativo, coincidente con lo spirito di liberalità, e quella del negozio societario, cioè lo scopo lucrativo di cui all’articolo 2247 del Codice Civile.

Il Fallimento riproponeva la tesi tradizionale che escludeva l’ammissibilità delle donazioni da parte di società, in considerazione della incompatibilità di tali atti sia con l’oggetto sociale (l’esercizio di attività economica di cui all’articolo 2247 del Codice Civile) sia con lo scopo, di realizzare utili da dividere tra i soci. Detto orientamento, ritenendo incompatibili liberalità e utilità, limitava, dunque, la capacità di agire della società, sancendone l’incapacità a donare, indipendentemente dal conferimento di tale potere con espresso atto societario.

I giudici di legittimità, disattendendo la tesi del Fallimento, confermano la posizione oggi nettamente prevalente che riconosce invece una capacità generale a tutte le società. Gli argomenti a sostegno sono plurimi e convincenti: la considerazione che la capacità giuridica non ammetterebbe graduazioni, o sussiste per intero o non sussiste; le difficoltà che sorgerebbero nel determinare i limiti della capacità funzionale, dato che anche atti apparentemente estranei allo scopo sociale potrebbero essere strumentalmente utili al raggiungimento dello stesso; la mancanza di qualsiasi espressa limitazione nelle norme che attribuiscono la capacità giuridica (nella specie, articolo 2331 Codice Civile); l’esistenza, infine, nella disciplina normativa, dell’articolo 2384-bis Codice Civile, applicabile ratione temporis.

In particolare, quest’ultima disposizione tutela la buona fede dei terzi rendendo loro inopponibile l’estraneità all’oggetto sociale degli atti sociali. Tali atti sono pertanto efficaci, salva l’eventuale responsabilità degli amministratori nei confronti della società (e degli associati), e ciò significa che la società è in grado di compierli.

Ne consegue che l’oggetto sociale non costituisce un limite alla capacità della società, ma piuttosto un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi sociali.

In conclusione, è qui ribadito il principio, affermato dalla stessa Cassazione in una sentenza del 1968, e confermato nella giurisprudenza successiva, secondo il quale, la determinazione dell’oggetto sociale nell’atto costitutivo non comporta alcuna limitazione alla capacità delle società stesse; queste pertanto rimangono capaci anche se trascendono e perfino se tradiscono il loro scopo.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 21 settembre 2015, n. 18449)