Società di persone: è possibile nominare amministratori soggetti non soci?
Con decreto del 25 agosto 2021, il Giudice del registro imprese del Tribunale di Roma si è pronunciato in merito alla possibilità, per una società di persone, di affidare l’amministrazione ad un soggetto non socio.
L’intervento del Giudice veniva richiesto dall’Ufficio del registro, il quale, in particolare – dubitando della sussistenza della suddetta possibilità – si dichiarava propenso alla cancellazione dal registro dell’avvenuta iscrizione della nomina quale amministratore di una società semplice, di un soggetto terzo rispetto alla compagine sociale.
L’orientamento a sfavore
Il Giudice del registro esamina anzitutto gli argomenti che compongono l’orientamento – dottrinario e giurisprudenziale – che non ammette siffatta possibilità, e ciò in base all’assunto che nelle società di persone l’attività di amministrazione sarebbe connaturata o, comunque, connessa alla qualità di socio (diversamente da quanto previsto dal legislatore per le società di capitali, in cui, invece, viene espressamente ammesso che l’amministratore possa essere un soggetto terzo rispetto ai soci).
In particolare, secondo i sostenitori di detta tesi:
(i) il primo comma dell’articolo 2257 Codice Civile prevede espressamente che, salva diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci, disgiuntamente dagli altri;
(ii) inoltre, il primo comma dell’articolo 2258 Codice Civile stabilisce che, nel caso in cui l’amministrazione spetti congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti quest’ultimi per il compimento delle operazioni sociali;
(iii) infine, l’articolo 2267 Codice Civile prevede che per le obbligazioni sociali rispondono – oltre al patrimonio sociale – anche tutti i soci (personalmente e solidalmente) che hanno agito in nome e per conto della società, nonché, salvo patto contrario, gli altri soci.
La pronuncia del giudice del registro
Nonostante l’apparente solidità delle argomentazioni suesposte, il Giudice del registro ha ritenuto di non condividerle, argomentando sul punto con un ragionamento che può essere sintetizzato in quattro punti.
1. In primo luogo, anche nelle società di persone il ruolo dell’amministratore è ontologicamente distinto ed autonomo rispetto alla qualità di socio: il primo infatti è investito di diritti, poteri, obblighi e responsabilità diversi e distinti dal secondo.
2. In secondo luogo, la possibilità (introdotta dalla riforma del diritto societario) che le società di capitali possano assumere partecipazioni in società di persone (articolo 2361, secondo comma, CODICE CIVILE), porterebbe inevitabilmente a situazioni in cui, di fatto (nel caso di società di persone interamente partecipate da società di capitali), l’amministrazione della società partecipata (di persone) non potrebbe che essere affidata ad un componente (persona fisica) appartenente alla compagine della società partecipante (di capitali).
3. In terzo luogo, quando il legislatore ha voluto pronunciarsi specificamente sul punto, lo ha fatto inequivocabilmente. Di ciò v’è traccia nella disciplina delle società in accomandita semplice, ove all’articolo 2318, secondo comma, Codice Civile, si prevede espressamente che l’amministrazione di siffatte società può essere affidata solamente ai soci accomandatari. Ed invero, a voler sindacare segnatamente le argomentazioni utilizzate dai sostenitori della tesi di segno contrario, anche il summenzionato articolo 2257 Codice Civile prevede espressamente una “diversa pattuizione” in ordine alla disciplina dell’amministrazione disgiunta delle società semplice (pattuizione che quindi ben potrà avere ad oggetto anche la possibilità di nominare amministratore un soggetto terzo, non socio).
4. Infine, sotto il profilo sistematico, non risulta l’esistenza di una norma – a tutela dei creditori sociali – la cui applicazione richieda obbligatoriamente all’amministratore di società di persone di essere, contemporaneamente e parallelamente, anche socio della stessa.
Segnatamente:
(i) per le società in nome collettivo, la legge prevede che, per le obbligazioni sociali, rispondono sempre e comunque tutti i soci, per cui la nomina di un amministratore terzo non può essere utilizzata come espediente per eludere il principio della responsabilità personale ed illimitata che governa – e caratterizza – la disciplina delle società di persone;
(ii) per le società semplici invece, l’ammissibilità della nomina di un amministratore terzo può comunque legittimamente sussistere se, al contempo, i soci che non partecipano alla gestione sociale non hanno limitato la propria responsabilità per le obbligazioni sociali servendosi del disposto dell’articolo 2267 Codice Civile (in caso contrario, infatti, non vi sarebbe più alcun socio illimitatamente responsabile).
L’onere di controllo dell’ufficio del registro
Pertanto, secondo il Giudice del registro, deve ritenersi legittima la nomina ad amministratore, di una società semplice, di un soggetto estraneo alla compagine sociale, a patto che venga superato il vaglio preliminare – a carico dell’Ufficio del registro – circa l’insussistenza di patti sociali limitativi della responsabilità dei soci.
Con questo accorgimento, infatti, la nomina di un amministratore terzo non comporterà alcuna lesione per i diritti dei terzi, i quali, al contrario, per ogni atto compiuto in nome della società, potranno aggredire (oltre al patrimonio dei singoli soci) anche il patrimonio personale dell’amministratore in caso di fatto illecito ascrivibile allo stesso.