x

x

Morte del socio illimitatamente responsabile: prospettive di “continuità” e non di “successione”

Morte socio illimitatamente responsabile
Morte socio illimitatamente responsabile

Con la recente ordinanza n. 1216 del 21 gennaio 2021, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla corretta interpretazione da attribuire al combinato disposto degli articoli 2284 e 2289 Codice Civile, i quali, relativamente alle società di persone, contribuiscono a disciplinare la fattispecie dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente a uno dei soci.

Invero – nonostante al riguardo non risultino, ad oggi, orientamenti di segno contrario – il chiarimento della Suprema Corte non appare affatto superfluo: il dato letterale dell’articolo 2284 Codice Civile, infatti, pare essere idoneo ad ingenerare confusione circa la corretta applicazione della norma nell’ambito dei rapporti fra gli eredi del socio defunto e gli altri soci superstiti.

 

Il dato normativo e il caso di specie

Da una lettura degli articoli 2284 e 2289, comma 1, Codice Civile, si evince piuttosto chiaramente che agli eredi del socio defunto spetta soltanto una somma di denaro, che dovrà rappresentare il valore della quota già di titolarità del de cuius. Il pagamento del valore della quota, ai sensi dell’articolo 2284 Codice Civile, potrà avvenire anche nel contesto della generale procedura di liquidazione dell’intera società.

In realtà le cose paiono complicarsi quando si prende in considerazione la terza ipotesi contemplata dall’articolo 2284 Codice Civile, che espressamente prevede la possibilità per i soci superstiti di continuare il rapporto sociale con gli eredi del socio defunto. In questo caso, infatti, non è irragionevole ipotizzare che il rapporto sociale in allora sussistente fra il de cuius e i soci superstiti – di cui la quota sociale rappresenta un elemento imprescindibile – non cessi alla morte del socio bensì continui a vivere in capo a soggetti, però, diversi.

Peraltro, detta interpretazione non parrebbe nemmeno porsi in contrasto con il principio cardine delle società di persone, secondo cui il vincolo sociale è indissolubilmente legato alla fiducia riposta da ciascuno dei soci nelle qualità personali degli altri: si consideri infatti che, anche con una lettura di questo tipo – nel senso di una continuità del rapporto sociale – il proseguimento di quest’ultimo non prescinderebbe comunque da una manifestazione di volontà dei soci superstiti.

È evidente però che un’interpretazione in questo senso potrebbe indurre a ritenere che, agli eredi del socio defunto, spetti qualcosa di più di un semplice diritto di credito, ovvero la titolarità della quota stessa.

Ed invero parrebbe essere proprio questa la ricostruzione sottesa al ricorso deciso dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 1216/2021.

Nel caso di specie infatti, le eredi del socio defunto avevano riportato nella propria dichiarazione dei redditi la rispettiva quota parte delle perdite relative all’attività d’impresa maturate dal de cuius e deducibili, da quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 8 D.P.R. n. 917/1986. In questo senso pertanto, le eredi intendevano agire non solo in qualità di eredi del socio defunto, bensì anche assumendo la titolarità dei diritti che sarebbero spettati al de cuius in quanto titolare di una partecipazione sociale. Peraltro, a giustificazione di ciò, le eredi rappresentavano d’aver stipulato con i soci superstiti un “Atto ricognitivo e modificativo di patti sociali” con cui era stato convenuto il loro subentro nella quota sociale del defunto.

A tal riguardo sia l’Agenzia delle Entrate (a cui era stata richiesta la deducibilità delle suddette perdite) che la Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, si esprimevano rigettando le istanze e i ricorsi avanzati dalle eredi, le quali, pertanto, decidevano di devolvere la risoluzione della questione alla Corte di Cassazione.

 

Il recente chiarimento della corte di Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha ribadito che, nelle società di persone, il contratto sociale è caratterizzato dalla considerazione personale e soggettiva del singolo contraente (intuitus personae).

Pertanto, la chiave di lettura degli articoli 2284 e 2289 Codice Civile deve ricercarsi nel senso che l’unica conseguenza ope legis della morte del socio è il sorgere, in capo ai suoi eredi, di un diritto di credito corrispondente al valore della quota, e non la trasmissione della quota stessa.

In caso contrario, infatti, gli eredi subentrerebbero in una posizione giuridica che il de cuius deteneva in ragione – appunto – delle sue qualità personali, che però sono fisiologicamente intrasmissibili.

Ne consegue che i criteri fissati dall’articolo 2289 Codice Civile per il calcolo del valore della quota – che espressamente fanno riferimento alla situazione patrimoniale della società e ad eventuali utili e perdite relativi ad operazioni in corso – rappresentano un mero procedimento contabile che attiene al valore economico della quota, e non certo al complesso delle situazioni giuridiche già di titolarità del de cuius in quanto socio.

Ed è quindi sulla scorta di tale ricostruzione che va correttamente interpretata la terza ipotesi contemplata dall’articolo 2284 Codice Civile, ovvero quella che prevede un accordo di continuazione fra gli eredi e i soci superstiti.

L’ordinamento non prevede infatti che le parti possano derogare al principio della intrasmissibilità iure successionis della partecipazione del socio a responsabilità illimitata. Pertanto, se da un lato è vero che solo con l’accordo di continuazione gli eredi riescono ad acquistare la qualità di soci, dall’altro lato è altrettanto vero che il rapporto sociale già in essere col socio defunto si estingue irreversibilmente con la morte di quest’ultimo.

L’accordo di continuazione con gli eredi è quindi paragonabile ad ogni altra ipotesi di adesione di nuove parti al contratto sociale, la cui efficacia decorre – per l’appunto – dal momento in cui l’accordo viene stipulato, con conseguente impossibilità, da parte degli eredi, di far valere diritti inerenti alla partecipazione già posseduta dal de cuius.