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Sulla (il)legittimità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente 231

storia di un dibattito di cui (forse) non sentivamo il bisogno
La città muta - Riflessi (VII)
Ph. Anuar Arebi / La città muta - Riflessi (VII)

*Contributo sottoposto con esito positivo a referaggio secondo le regole della rivista

 

Abstract

Il presente contributo intende fornire alcune riflessioni in merito all’annosa disputa relativa alla (il)legittimità della costituzione di parte civile nel processo nei confronti dei soggetti meta-individuali. Prendendo le mosse dalla ambiguità del Decreto Legislativo 231/2001 e delle argomentazioni poste a sostegno delle due opposte tesi, appare dirimente dal punto di vista dogmatico la definizione di illecito amministrativo nascente da reato e dal punto di vista pragmatico la inutilità pratica di tale istituto, stante la totale sovrapponibilità tra il danno derivante da reato e quello asseritamente causato dall’illecito amministrativo ad esso eziologicamente correlato, potendosi al più auspicare un intervento del legislatore nelle ipotesi di cui all’art. 8 del Decreto, prevedendo la citazione ovvero l’intervento obbligatorio dell’ente nel paradigma dell’art. 83 c.p.p., nei casi in cui l’accusato sia “fantasma”.

 

Abstract

The work aims at providing some considerations on the long-standing debate on the role of the plaintiff in the criminal proceedings against corporate entities. Starting from the ambivalence of both Law 231/2001 and the reasonings developed by the two opposite theories, it appears to be crucial, on a dogmatic approach, the definition of administrative offence whereas, on a pragmatic approach, the practical futility of the participation of the plaintiff considering the equivalence between damages related to criminal offence and the ones allegedly caused by administrative offence. At most, it is possible to suggest a law amendment in the specific cases referred to Article 8 of Law 231/2001, providing for the summon or the compulsory intervention of the corporate entity under article 83 Italian Code of Criminal Procedure, when the charged individual is “ghost”.

 

 

Sommario

1. Premessa

2. L’ambivalenza del Decreto Legislativo 231/2001

3. L’illecito amministrativo diverso dal reato

4. Il danno nascente da reato

5. La costituzione di parte civile quando l’accusato è “fantasma”

6. Riflessioni finali

 

Summary

1. Introduction

2. The ambivalence of Law no. 231/2001

3. The administrative offence different from a criminal offence

4. Damages related only to criminal offence

5. The plaintiff when the charged individual is "ghost"

6. Final considerations

 

 

1. Premessa

Consolidato è il dis-orientamento dei giudici di merito che, instancabilmente, oscillano tra ammissibilità e inammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento per l’accertamento dell’illecito amministrativo dipendente da reato a carico dell’ente. La magmaticità che contraddistingue le ondivaghe correnti giurisprudenziali in materia ha trovato l’ennesima conferma in due antitetiche ordinanze pronunciate, ad una manciata di giorni di distanza l’una dall’altra, rispettivamente dal Giudice del dibattimento presso il Tribunale di Lecce[1] e dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano[2]. La lapalissiana discrasia tra gli esiti ai quali sono approdati gli organi giudicanti fornisce ancora una volta l’occasione per riflettere sulla vexata quaestio relativa alla (il)legittimità della pretesa risarcitoria della persona – (in)direttamente – danneggiata nel procedimento che vede coinvolto il soggetto meta-individuale.  Questione, quest’ultima, che sembrava essere approdata ad un utopico epilogo a fronte dell’intervento dei supremi organi giurisdizionali, su scala sia nazionale[3] sia internazionale[4], i quali avevano avallato l’orientamento restrittivo consolidatosi in direzione dell’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente.

 

2. L’ambivalenza del Decreto Legislativo 231/2001

L’annosa disputa sembra affondare le proprie radici nel silenzio – eloquente – serbato dal legislatore nel microcosmo delineato nell’impianto del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel quale la parte civile non rientra nel novero dei soggetti legittimati a prendere parte al simultaneus processus a carico della persona fisica e dell’ente per l’asserita commissione del reato-presupposto.

L’accesa querelle è stata incardinata nell’elaborazione di tre principali argomentazioni, compendiate altresì nella recentissima ordinanza pronunciata dal Giudice del dibattimento presso il Tribunale di Lecce, risultate, tuttavia, estremamente poliedriche e pertanto inidonee a individuare una definitiva risoluzione del quesito in esame.

In altri termini, sia i sostenitori sia gli oppositori della legittimità dell’istituto della costituzione di parte civile nel processo de societate hanno attribuito un significato antitetico alle medesime argomentazioni la natura ambivalente delle quali emerge con manifesta evidenza.

Sorvolando sull’approccio storico-interpretativo – radicato nella mancanza di riferimenti sulla ammissibilità o meno della (costituzione) di parte civile nell’ambito della relazione illustrativa al D.lgs. 231/2001 – maggiormente significativa appare l’argomentazione letterale, la quale, seppur paradossalmente ancorata alle medesime disposizioni legislative contenute nel Decreto – nel cui novero rientrano l’art. 57 in materia di informazione di garanzia, l’art. 58 che declina un procedimento ad hoc per l’archiviazione, gli artt. 62-64 concernenti i procedimenti speciali, gli artt. 53-54 che postulano caratteristiche autonome in materia di sequestro preventivo e conservativo – ha condotto a conclusioni ossimoriche.

Se da un lato, i fautori della tesi estensiva hanno interpretato il silenzio serbato del legislatore delegato a contrario come sintomatico della volontà di quest’ultimo di legittimare la ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo, facendo leva sulla necessità di una espressa disciplina derogatoria al codice di rito, dall’altro lato, i sostenitori della tesi restrittiva hanno evidenziato come, le stesse disposizioni normative, debbano essere, invece, considerate sintomatiche della chirurgica opera di epurazione messa in atto dal legislatore delegato al fine di elidere qualsivoglia riferimento alla persona offesa ovvero alla parte civile dall’alveo del Decreto. A titolo esemplificativo, particolare rilievo assume l’art. 54 del D.Lgs. 231/2001 che, nell’individuare i soggetti legittimati a richiedere il sequestro conservativo, attribuisce tale facoltà solo ed esclusivamente al Pubblico Ministero, effettuando un esplicito rinvio al solo comma 4 dell’art. 316 c.p.p. e omettendo il richiamo al comma 2, che legittima la richiesta della parte civile in forza di ragioni di tutela delle obbligazioni risarcitorie derivanti dal reato, e al comma 3 che consente a quest’ultima di beneficiare del sequestro chiesto dal Pubblico Ministero. Infine, ostativa ad una – illegittima – manipolazione estensiva del Decreto risulterebbe la volontà del legislatore delegato di perimetrare, in forza dell’art. 27, la responsabilità patrimoniale dell’ente alla sola obbligazione avente ad oggetto il pagamento della sanzione pecuniaria, tralasciando qualsivoglia riferimento ad obbligazioni di natura civilistica nel cui novero rientrerebbero quelle relative all’eventuale risarcimento del danno nascente da reato. Limitazione, quest’ultima, che trova altresì conferma nell’ipotesi in cui si concretizzi una cessione di azienda: all’esito di predetta vicenda modificativa, in forza dell’art. 33 del Decreto, il cessionario, estraneo alla commissione del fatto di reato, diviene il centro di imputazione di una responsabilità di natura esclusivamente patrimoniale per il pagamento della sola sanzione pecuniaria.

Pertanto, quelle che per i sostenitori della costituzione di parte civile sembrano essere mere dimenticanze disseminate nel dettato del Decreto, facilmente colmabili attraverso – come si avrà modo di spiegare nel prosieguo – la clausola di rinvio di cui all’art. 34, possono, per i promotori della tesi opposta, essere lette come indici normativi sintomatici della consapevole e volontaria scelta del legislatore di escludere la parte civile dal procedimento nei confronti dell’ente.

Per ciò che concerne l’argomento sistematico, i fautori della tesi favorevole alla ammissibilità della costituzione di parte civile hanno preso le mosse dalla clausola generale cristallizzata nell’art. 34 del Decreto che, nei limiti della compatibilità, consentirebbe di operare, unitamente all’art. 35 dello stesso, un rinvio alle disposizioni contenute nel codice di procedura penale e nel codice penale, giungendo così, in via squisitamente teorica, ad aprire il varco per ammettere la costituzione di parte civile nel procedimento a carico degli enti, mediante l’applicazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p..

Tali disposizioni normative rappresentano infatti il substrato nel quale si incardina la pretesa risarcitoria esperibile in sede penale: l’art. 185 c.p. individua la causa petendi dell’azione ex art. 74 c.p.p. identificando il reato come fonte dalla quale sorge l’obbligo di procedere alle restituzioni e al risarcimento del danno, sia patrimoniale sia non patrimoniale, legittimando l’innesto di suddetta pretesa all’interno del procedimento penale. Pertanto, partendo dall’assunto che l’illecito amministrativo nascente da reato rappresenta una fonte di responsabilità sul piano civilistico ai sensi dell’art. 2043 c.c., la conseguente pretesa risarcitoria potrà essere azionata − secondo i sostenitori della tesi favorevole all’ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo penale de societate − in forza del combinato disposto delle norme precedentemente illustrate, in quanto applicate direttamente (laddove si considerasse l’illecito amministrativo nascente da reato come ontologicamente penale) ovvero in base ad una interpretazione sistematico-evolutiva (laddove si ritenesse che esso desse luogo ad una responsabilità aquiliana diretta)[5]. Il soggetto meta-individuale diventerebbe così il centro di imputazione di una responsabilità autonoma e diretta ai sensi dell’art. 2043 c.c. – per non aver prevenuto ed impedito la condotta illecita – che fonderebbe la pretesa risarcitoria azionabile nel procedimento penale nei confronti dell’ente, scindendola dall’ipotesi di responsabilità per fatto altrui di cui all’art. 2049 c.c.[6].

Particolare rilievo è stato, inoltre, attribuito alle condotte di natura riparatoria e reintegrativa di cui agli artt. 12, comma 1 lett. a) e comma 2 lett. b), 17 comma 1 lett. a) e 19 (in materia di confisca viene fatta «salva la parte che può essere restituita al danneggiato») del Decreto che, congiuntamente all’impianto sanzionatorio, sarebbero sintomatiche della volontà del legislatore di valorizzare strumenti volti a compensare l’offesa ascrivibile all’ente, subordinando alla riparazione del danno da parte del soggetto collettivo una diminuzione della pena e la inapplicabilità delle sanzioni interdittive, delineando così un modello sanzionatorio compatibile con il riconoscimento di un danno derivante dall’illecito proprio dell’ente[7].

Tale ricostruzione, ancorata a considerazioni di natura squisitamente teleologica, non sembra tuttavia essere dirimente per i sostenitori della tesi restrittiva i quali ritengono imprescindibile traslare il centro gravitazionale del dibattito sulla definizione di illecito amministrativo nascente da reato e sulla riflessione concernente la eventuale configurabilità di danni che siano dello stesso conseguenza immediata e diretta.

 

3. L’illecito amministrativo diverso dal reato

Se condizione applicativa delle disposizioni che disciplinano l’istituto della costituzione di parte civile nel processo penale è la commissione di un reato, quesito preliminare è quello relativo alla struttura definitoria del concetto di “illecito amministrativo nascente da reato”. I Giudici di legittimità si premuravano di precisare come l’illecito ascrivibile al soggetto meta-individuale debba essere declinato «nella forma di una fattispecie complessa, della quale il reato costituisce solo uno degli elementi fondamentali per l’illecito[8]», unitamente alla qualifica soggettiva dell’autore (nel ruolo di soggetto apicale ovvero subordinato), all’interesse o vantaggio dell’ente e alla colpa organizzativa di quest’ultimo. L’illecito amministrativo presuppone, dunque, la commissione di una fattispecie di reato posta in essere dalla persona fisica, ma non si identifica con essa. Pertanto, la natura ontologicamente distinta tra il reato-presupposto, commesso dalla persona fisica, e l’illecito amministrativo ascrivibile all’ente, precluderebbe l’applicazione diretta – quandanche estensiva – degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., che fanno espresso riferimento al reato quale condizione per l’ammissione della (costituzione) di parte civile nel processo nei confronti dell’ente.

Preclusa sembra inoltre essere l’applicabilità di una interpretazione analogica delle predette disposizioni, in forza del principio cardine del favor separationis che orienta i rapporti tra processo civile e processo penale: il principio di unità della giurisdizione cristallizzato nella c.d. pregiudiziale penale, prevista dall’art. 3 del previgente codice di rito, è stato ampiamente superato, dovendo pertanto concludersi che, in forza dell’art. 74 c.p.p., la costituzione di parte civile nel processo penale può essere ammessa solo qualora il danno posto a fondamento della pretesa risarcitoria sia conseguenza immediata e diretta del reato, inteso nella sua accezione tecnico-giuridica, e non come un qualsivoglia illecito fonte di danno.

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Sistema 231