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Tanto c’è il pilota automatico

Novant’anni trascorsi fra “caro pane, carovita, caro bollette”
carovita
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Una premessa, chiunque vinca le elezioni (dall’estrema sinistra all’estrema destra), vi informo che per quel che vale (nulla): io l’Italia non la lascerò. Mai.

Dopo aver tanto viaggiato, tanto vissuto e tanto lavorato all’estero, a fine vita ho scoperto che nulla è meglio dell’Italia, nessun popolo è meglio del novanta per cento degli italiani. Quelli che non contano.

L’aspetto più divertente delle campagne elettorali, almeno per me, uno dei pochi in Italia veramente disinteressato all’esito delle elezioni, è lo studio del cosiddetto lessico elettorale. L’ho scritto in più occasioni, sia chiaro, senza voler sollevare alcuna polemica (più invecchio, più la mia mitezza si esalta) come le elezioni al tempo del CEO capitalism siano nulla più di un democratico rito, per me al limite del ridicolo, seppur, in termini di execution, irrilevanti.

Chi vince, sia il candidato riconosciuto come degno, perché indicato da quel dieci per cento di aristocratici e maggiordomi, sia quello dell’opposizione (nella doppia versione, “certificata” o meno), avranno a disposizione un gruzzoletto di argent de poche che potranno dilapidare approvando leggi gradite ai loro elettori, che saranno però rese innocue nella loro applicazione dai decreti attuativi, e che scompariranno alle elezioni successive.

Tranquilli, comunque vada state sereni miei cari altoborghesi, il funzionamento dello Stato è governato da quello che Mario Draghi ha definito, con felice sintesi, e un sorriso complice: “… tanto c’è il pilota automatico”.

Nella campagna elettorale il lessico si fa metafora, pardon, successione di metafore. Molte derivano dal linguaggio bellico (rifiutiamo la guerra ma non le metafore, ormai incomprensibili dopo settant’anni di pace). Nel post pandemia, tira molto anche il linguaggio medico, rimane costante quello legato allo sport.

Per evitare di dire la verità, rifiutando le responsabilità pur gestendo il potere, le classi dominanti, e i loro maggiordomi della comunicazione, ricorrono a un lessico loro, fatto di metafore, col tempo diventate “frasi fatte”.

La locuzione da loro scelta per connotare quest’ultimo periodo è “Tempesta perfetta”. Rende bene la sommatoria della serie di errori politici, economici, di comunicazione, fatti da lor signori in un tempo ristretto, e al contempo tenta di trasferirne la responsabilità ad altri.

Una curiosità, viviamo in un mondo che galleggia su quantità illimitate di gas e di petrolio e noi occidentali abbiamo scelto di non avvalercene, rimanendo al freddo e bloccando le fabbriche, solo perché è troppo caro. E chi lo ha deciso che è caro? La Borsa di Amsterdam, ove operano esclusivamente esperti occidentali, e ove vigono regole cosiddette di mercato, che noi stessi abbiamo elevato a divinità laica. Trovo stupenda questa idea di gabbarci da soli, in nome del mercato. Ammirazione sconfinata per gli olandesi.

C’è una locuzione (due parole, di cui una fissa) che da sempre mi affascina, avendomi accompagnato per quasi novant’anni. Infatti, ho passato la mia infanzia e la mia giovinezza condizionato dal “caro pane”, sono diventato adulto e genitore lottando contro il “caro vita”, e ora che potrei godermi quest’ultimo spezzone di vita in serenità, l’ignobile “caro energia” si presenta con il volto demoniaco del “caro bolletta”.

È nota la ferocia insita nella “Bolletta”, se non la paghi ti staccano l’energia che, nel nostro modello culturale si identifica con il “respiratore” del Pronto Soccorso. E non è un medico a staccarlo, previa sentenza e autorizzazione di un giudice, ma un banale Board, al quale un banale CEO ha proposto la pena per chi non paga la “Bolletta” al prezzo da lui stabilito. Hanno elevato l’energia a respiro umano, e se non la paghiamo, ci staccano la vita. A nostra insaputa siamo già ricoverati al Pronto Soccorso.

Cosa resta di queste metafore? La solita vecchia “Allacciamo le cinture e speriamo in …”.  Ai puntini, aggiungete voi, o Dio o l’air bag.

Una sola certezza. Indipendentemente dall’esito delle urne, siamo, e saremo comunque governati da quel dieci per cento di inetti. E si spacciano pure da competenti, pretendendo essere giudicati dagli obiettivi ma mai, e poi mai, dai risultati.

 

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