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Tasse - Cassazione: crisi di liquidità? reo l’imprenditore che paga gli stipendi ai dipendenti anziché l’Iva all’erario

I contribuenti hanno il preciso obbligo di accantonare preventivamente la somma da dover versare all’erario a titolo d’Iva, a prescindere dalle diverse scelte imprenditoriali.

Ha stabilito così la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi da un imprenditore marchigiano, condannato nei primi due gradi di giudizio per omesso versamento di Iva, in base al Decreto Legislativo n.74/2000 che punisce con la reclusione chiunque non versi l’imposta entro i termini.

Nel caso in esame, il ricorrente si è rivolto alla Suprema Corte lamentando che il mancato versamento della somma dovuta è attribuibile a causa di forza maggiore, in quanto la sua società si trovava in uno stato di decozione dovuto al notevole credito vantato nei confronti di una multinazionale.

Tuttavia, la normativa sui reati in materia di imposte - sottolinea la Corte - non opera alcuna distinzione tra l’imprenditore che si sottrae all’obbligo a causa di particolari difficoltà economiche, e l’imprenditore che lo fa con il preciso scopo di appropriarsi delle somme dovute.

Quali sono quindi i requisiti per cui l’omissione di versamento delle somme a titolo d’Iva non costituisce fattispecie di reato?

La Cassazione risponde a questo quesito ribadendo i criteri già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità:

- l’azienda deve trovarsi in uno stato comprovato di crisi di liquidità;

- la crisi di liquidità non deve essere imputabile all’imprenditore

- deve essere impossibile fronteggiare la crisi con comportamenti diversi dal mancato versamento delle imposte.

Più precisamente, nel caso in questione, la Corte ritiene che avendo l’imprenditore destinato le risorse disponibili all’acquisto di materie prime e al pagamento degli stipendi dei dipendenti, questi abbia preferito la realizzazione delle finalità d’impresa all’assolvimento dell’obbligo tributario. Ciò costituisce “inadempimento consapevole dell’obbligo di corresponsione in favore dell’Erario.

In conclusione, secondo la Cassazione non risulta provata né l’impossibilità di fronteggiare la crisi gestendo la liquidità in modo differente né, di conseguenza, l’impossibilità di accantonare le somme dovute a titolo d’Iva. Pertanto, non rientrando nei requisiti sopracitati, il ricorso viene rigettato e confermata la condanna dell’imprenditore.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 17 giugno 2015 n. 2684)

I contribuenti hanno il preciso obbligo di accantonare preventivamente la somma da dover versare all’erario a titolo d’Iva, a prescindere dalle diverse scelte imprenditoriali.

Ha stabilito così la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi da un imprenditore marchigiano, condannato nei primi due gradi di giudizio per omesso versamento di Iva, in base al Decreto Legislativo n.74/2000 che punisce con la reclusione chiunque non versi l’imposta entro i termini.

Nel caso in esame, il ricorrente si è rivolto alla Suprema Corte lamentando che il mancato versamento della somma dovuta è attribuibile a causa di forza maggiore, in quanto la sua società si trovava in uno stato di decozione dovuto al notevole credito vantato nei confronti di una multinazionale.

Tuttavia, la normativa sui reati in materia di imposte - sottolinea la Corte - non opera alcuna distinzione tra l’imprenditore che si sottrae all’obbligo a causa di particolari difficoltà economiche, e l’imprenditore che lo fa con il preciso scopo di appropriarsi delle somme dovute.

Quali sono quindi i requisiti per cui l’omissione di versamento delle somme a titolo d’Iva non costituisce fattispecie di reato?

La Cassazione risponde a questo quesito ribadendo i criteri già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità:

- l’azienda deve trovarsi in uno stato comprovato di crisi di liquidità;

- la crisi di liquidità non deve essere imputabile all’imprenditore

- deve essere impossibile fronteggiare la crisi con comportamenti diversi dal mancato versamento delle imposte.

Più precisamente, nel caso in questione, la Corte ritiene che avendo l’imprenditore destinato le risorse disponibili all’acquisto di materie prime e al pagamento degli stipendi dei dipendenti, questi abbia preferito la realizzazione delle finalità d’impresa all’assolvimento dell’obbligo tributario. Ciò costituisce “inadempimento consapevole dell’obbligo di corresponsione in favore dell’Erario.

In conclusione, secondo la Cassazione non risulta provata né l’impossibilità di fronteggiare la crisi gestendo la liquidità in modo differente né, di conseguenza, l’impossibilità di accantonare le somme dovute a titolo d’Iva. Pertanto, non rientrando nei requisiti sopracitati, il ricorso viene rigettato e confermata la condanna dell’imprenditore.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 17 giugno 2015 n. 2684)