Tribunale di Novara: limiti al nome del figlio
composto dai Signori:
Dr. Bartolomeo Quaratro Presidente
dr. Fabrizio Filice Giudice
dr.ssa Guendalina Pascale Giudice relatore
Riunito in camera di consiglio, ha pronunciato il seguente
DECRETO
Visto il ricorso depositato in data 2.9.2009 dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di
Novara diretto ad ottenere la rettifica dell’atto di nascita relativo al minore (…)
ex art. 34, co. l, DPR 396/2000;
sentita la relazione del Giudice Delegato;
premesso
che in data 6/6/2009 (…) in qualità di genitori, esercenti la potestà, hanno reso innanzi all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di (…) dichiarazione di nascita del proprio figlio, imponendogli il nome (…)
che il predetto Ufficiale ha richiesto parere al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara in merito alla ravvisabilità dell’ipotesi descritta dal comma 1 dell’art. 34, DPR 396/2000;
che il P.M., ritenuto che il nome fosse da qualificarsi ridicolo ai sensi della predetta norma, ha proposto ricorso innanzi al Tribunale di Novara;
rilevato:
- che l’articolo succitato ha ridotto i divieti nella scelta del nome contenuti nell’abrogato art. 72 R.D. n 1238 del 1939, cioè nel previgente ordinamento dello stato civile, che - fermo il divieto di nomi ridicoli o vergognosi - vietava, altresì, di imporre “un cognome come nome, nomi contrari all’ordine pubblico, al buon costume o al sentimento nazionale o religioso, o che sono indicazioni di località o in generale denominazioni geografiche e, se si tratta di bambino avente la cittadinanza italiana, anche nomi stranieri”;
- che la straordinaria ampiezza delle limitazioni nella scelta del nome palesa origine pubblicistica ed autoritaria della noma previgente, alla base della quale vi era l’esigenza di tutelare l’onore del soggetto che portava il nome;
- che la prassi sociale più che giurisprudenza aveva però fin da subito, ampiamente derogato a tali limiti: così esistono da sempre nomi propri di evidente derivazione geografica (ad esempio, Italia, Italo, Romano, Germana) e non sono, altresì mai mancati neppure cognomi usati come nomi (ad esempio, Menotti, imposto, addirittura dal patriota Garibaldi ad uno dei propri figli);
- che nella disciplina attuale, la questione della scelta del (pre)nome va inquadrata nell’ambito della tutela del diritto al nome, di cui all’art. 6 c.c.. Orbene, l’interpretazione costituzionalmente orientata di quest’ultima norma - il riferimento, a tal proposito, deve individuarsi nell’art. 2 della Carta Fondamentale - induce a ritenere che il prenome non svolga più, o almeno non in via esclusiva, la funzione pubblicistica di identificazione della persona, ma che, al contrario, esso sia espressione dell’inviolabile diritto della personalità di chi lo porta, più precisamente che esso sia il primo baluardo - in senso cronologico - del diritto "ad essere se stessi”;
- che, se così è, tale diritto va tutelato fin dal momento iniziale, genetico e conformativo, della scelta e dell’imposizione del nome al bambino. Si tratta di una scelta che certo, fa capo in primo luogo e normalmente ai genitori, i quali possono scegliere con la più ampia libertà il nome dei propri figli, tenendo, tuttavia, presente che si tratta di una decisione i cui effetti ricadranno sui figli stessi. Conseguentemente alla stregua di un giudizio prognostico ex ante, ed in base all’id quod plerumque accidit, riferito al contesto socio-ambientale di vita della famiglia, i genitori dovranno evitare quei nomi che, in un futuro più o meno lontano, potrebbero essere probabile fonte di rilevante fastidio, se non di pregiudizio, per il figlio;
- che, alla luce di tali canoni interpretativi, i limiti dell’art. 34 D.p.R. 196/2000 devono, allora, ritenersi ispirati alla tutela della personalità dell’individuo. Inoltre, proprio la ratio sopra esplicitata consente di affermare che si tratta di limiti di stretta interpretazione, ed anzi del tutto eccezionali;
- che i concetti di ridicolo e di vergognoso, del resto, si presentano estremamente vaghi, ai limiti dell’irriducibilmente soggettivo, specie il primo, privo di altri riscontri comparativi nell’ordinamento;
- che in base ad un’interpretazione rigorosa, rispettosa dei principi suesposti, l’aggettivo ,”ridicolo" deve, allora, essere assunto in un’accezione esclusivamente negativa, cioè come suscettibile di scherno, "tale da rendere il soggetto zimbello del gruppo". Conseguentemente, tale concetto non può essere tout court, assimilato a quello, di per sè neutro, di nome curioso, o particolare, o insolito;
- che, ad abundantiam, la "lista" dei nomi non costituisce affatto un numerus clausus, e che, se è pur vero che la ripetizione, vale a dire la diffusione nell’uso, crea una rassicurante tradizione, e quindi legittima i nomi stessi, è, tuttavia, altrettanto vero che non potrebbe esserci tradizione, e quindi legittimazione, senza un inizio necessariamente inusuale quando non, addirittura, sorprendente;
- che, nella fattispecie concreta che qui interessa, il nome (…) da considerarsi, sicuramente, inusuale ma non certo tale da rendere chi lo porta zimbello del gruppo, almeno, non più di nomi cd. tradizionali, ma altrettanto curiosi (ad esempio Crocifisso, Catena, Achille, Incoronata) o di nomi di recente derivazione, ma già invalsi presso le celebrità (Apple, che in inglese significa mela, Oceano, Chanel e così via);
- che, come è stato opportunamente specificato dagli stessi genitori del minore all’udienza collegiale del 12.11.2009, non solo nessuno dei prenomi riviste significato suscettibile di scherno neppure nella lingua del luogo di ascendenza del padre (bosniaco) ma, anzi, il prenome (…) è bene augurale;
- che pertanto, non può ritenersi integrata la fattispecie descritta dall’alt. 34, co. l, DPR 396/2000;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso nella Camera di Consiglio della sezione civile del Tribunale di Novara in data 12.11.2009.
composto dai Signori:
Dr. Bartolomeo Quaratro Presidente
dr. Fabrizio Filice Giudice
dr.ssa Guendalina Pascale Giudice relatore
Riunito in camera di consiglio, ha pronunciato il seguente
DECRETO
Visto il ricorso depositato in data 2.9.2009 dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di
Novara diretto ad ottenere la rettifica dell’atto di nascita relativo al minore (…)
ex art. 34, co. l, DPR 396/2000;
sentita la relazione del Giudice Delegato;
premesso
che in data 6/6/2009 (…) in qualità di genitori, esercenti la potestà, hanno reso innanzi all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di (…) dichiarazione di nascita del proprio figlio, imponendogli il nome (…)
che il predetto Ufficiale ha richiesto parere al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara in merito alla ravvisabilità dell’ipotesi descritta dal comma 1 dell’art. 34, DPR 396/2000;
che il P.M., ritenuto che il nome fosse da qualificarsi ridicolo ai sensi della predetta norma, ha proposto ricorso innanzi al Tribunale di Novara;
rilevato:
- che l’articolo succitato ha ridotto i divieti nella scelta del nome contenuti nell’abrogato art. 72 R.D. n 1238 del 1939, cioè nel previgente ordinamento dello stato civile, che - fermo il divieto di nomi ridicoli o vergognosi - vietava, altresì, di imporre “un cognome come nome, nomi contrari all’ordine pubblico, al buon costume o al sentimento nazionale o religioso, o che sono indicazioni di località o in generale denominazioni geografiche e, se si tratta di bambino avente la cittadinanza italiana, anche nomi stranieri”;
- che la straordinaria ampiezza delle limitazioni nella scelta del nome palesa origine pubblicistica ed autoritaria della noma previgente, alla base della quale vi era l’esigenza di tutelare l’onore del soggetto che portava il nome;
- che la prassi sociale più che giurisprudenza aveva però fin da subito, ampiamente derogato a tali limiti: così esistono da sempre nomi propri di evidente derivazione geografica (ad esempio, Italia, Italo, Romano, Germana) e non sono, altresì mai mancati neppure cognomi usati come nomi (ad esempio, Menotti, imposto, addirittura dal patriota Garibaldi ad uno dei propri figli);
- che nella disciplina attuale, la questione della scelta del (pre)nome va inquadrata nell’ambito della tutela del diritto al nome, di cui all’art. 6 c.c.. Orbene, l’interpretazione costituzionalmente orientata di quest’ultima norma - il riferimento, a tal proposito, deve individuarsi nell’art. 2 della Carta Fondamentale - induce a ritenere che il prenome non svolga più, o almeno non in via esclusiva, la funzione pubblicistica di identificazione della persona, ma che, al contrario, esso sia espressione dell’inviolabile diritto della personalità di chi lo porta, più precisamente che esso sia il primo baluardo - in senso cronologico - del diritto "ad essere se stessi”;
- che, se così è, tale diritto va tutelato fin dal momento iniziale, genetico e conformativo, della scelta e dell’imposizione del nome al bambino. Si tratta di una scelta che certo, fa capo in primo luogo e normalmente ai genitori, i quali possono scegliere con la più ampia libertà il nome dei propri figli, tenendo, tuttavia, presente che si tratta di una decisione i cui effetti ricadranno sui figli stessi. Conseguentemente alla stregua di un giudizio prognostico ex ante, ed in base all’id quod plerumque accidit, riferito al contesto socio-ambientale di vita della famiglia, i genitori dovranno evitare quei nomi che, in un futuro più o meno lontano, potrebbero essere probabile fonte di rilevante fastidio, se non di pregiudizio, per il figlio;
- che, alla luce di tali canoni interpretativi, i limiti dell’art. 34 D.p.R. 196/2000 devono, allora, ritenersi ispirati alla tutela della personalità dell’individuo. Inoltre, proprio la ratio sopra esplicitata consente di affermare che si tratta di limiti di stretta interpretazione, ed anzi del tutto eccezionali;
- che i concetti di ridicolo e di vergognoso, del resto, si presentano estremamente vaghi, ai limiti dell’irriducibilmente soggettivo, specie il primo, privo di altri riscontri comparativi nell’ordinamento;
- che in base ad un’interpretazione rigorosa, rispettosa dei principi suesposti, l’aggettivo ,”ridicolo" deve, allora, essere assunto in un’accezione esclusivamente negativa, cioè come suscettibile di scherno, "tale da rendere il soggetto zimbello del gruppo". Conseguentemente, tale concetto non può essere tout court, assimilato a quello, di per sè neutro, di nome curioso, o particolare, o insolito;
- che, ad abundantiam, la "lista" dei nomi non costituisce affatto un numerus clausus, e che, se è pur vero che la ripetizione, vale a dire la diffusione nell’uso, crea una rassicurante tradizione, e quindi legittima i nomi stessi, è, tuttavia, altrettanto vero che non potrebbe esserci tradizione, e quindi legittimazione, senza un inizio necessariamente inusuale quando non, addirittura, sorprendente;
- che, nella fattispecie concreta che qui interessa, il nome (…) da considerarsi, sicuramente, inusuale ma non certo tale da rendere chi lo porta zimbello del gruppo, almeno, non più di nomi cd. tradizionali, ma altrettanto curiosi (ad esempio Crocifisso, Catena, Achille, Incoronata) o di nomi di recente derivazione, ma già invalsi presso le celebrità (Apple, che in inglese significa mela, Oceano, Chanel e così via);
- che, come è stato opportunamente specificato dagli stessi genitori del minore all’udienza collegiale del 12.11.2009, non solo nessuno dei prenomi riviste significato suscettibile di scherno neppure nella lingua del luogo di ascendenza del padre (bosniaco) ma, anzi, il prenome (…) è bene augurale;
- che pertanto, non può ritenersi integrata la fattispecie descritta dall’alt. 34, co. l, DPR 396/2000;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso nella Camera di Consiglio della sezione civile del Tribunale di Novara in data 12.11.2009.