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Trust: tassazione in entrata o tassazione in uscita? Questo è il problema

Passo dello Stelvio
Ph. Francesca Russo / Passo dello Stelvio

Ho letto con molto interesse un articolo da poco apparso, opera di Andrea Vasapolli e Brigitta Valas, “Trust liberali e tassazione all’uscita: brevi note sui profili fiscali”, particolarmente documentato e stimolante (anche se forse non del tutto condivisibile). L’articolo in parola tocca dunque tre temi fondamentali:

1. quale sia il momento applicativo dell’imposta sui trasferimenti al trustee;

2. quale sia il regime di tassazione dei versamenti periodici ai beneficiari;

3. il vincolo di destinazione.

Premesso che i temi sono esposti con lodevole chiarezza, e che vengono presi in considerazione i soli trust cd liberali, le loro conclusioni sono le seguenti.

L’imposta sui trasferimenti va applicata, in linea con l’ormai pressoché costante orientamento, giurisprudenziale del supremo Collegio al momento del definitivo trasferimento ai beneficiari finali. Il trasferimento dei beni al trustee sconta conseguentemente l’imposta a tassa fissa indipendentemente dalla natura dei beni oggetto di trasferimento. La tesi, e non solo perché gode dell’autorevole e reiterato avallo della Corte, è più che condivisibile. Come è infatti stato ripetuto fino all’eccesso, il trustee non ha il godimento dei beni che gli sono trasferiti (ha il titulus, non il commodum) e pertanto difetta il presupposto impositivo, cioè il suo arricchimento. Questa tesi, è noto, è in netta contrapposizione con quella sostenuta dall’Agenzia delle Entrate che individua per contro il presupposto impositivo nel trasferimento al trustee (c.d. tassazione all’entrata). Questa dicotomia ha generato e genera ancora non pochi problemi nella pratica.

Si danno infatti due tipi di condotta con qualche variante.

In primo luogo si cerca di registrare l’atto presso un ufficio che non sia uniformato all’orientamento dell’Agenzia. Ve ne sono in giro per l’Italia anche se ora i notai che operano in loco pretendono- giustamente- una garanzia, ovvero un deposito di fondi corrispondenti all’imposta da versare – stante il fatto che essi sono solidalmente tenuti con il cliente nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Se invece questa strada non è praticabile, non essendo la classica alternativa binaria, pagare o non pagare, sempre possibile, l’Amministrazione impone il pagamento, delle imposte salvo il diritto del contribuente a ricorrere avverso l’erronea imposizione.

Al di là dell’ipotesi del ricorso che di norma si risolve nell’accoglimento delle tesi del ricorrente e quindi con sua piena soddisfazione, si rileva come sovente questa soluzione incontri resistenze tali da indurre gli interessati a desistere dall’idea di istituire un trust anche perché ciò comporta oltre alla necessità di dover anticipare importi, talora anche considerevoli, le ulteriori spese di un contenzioso tributario e l’attesa per gli inevitabili tempi necessari per la definizione della controversia che spesso si risolve in una perdita secca tenuto conto del fatto che ben raramente, anche in caso di soccombenza, l’amministrazione finanziaria viene condannata alle spese che comunque sono sempre inferiori a quelle che il ricorrente è chiamato a sborsare. Non può del resto neppure escludersi la soccombenza nel giudizio dovuta  magari a vizi formali o procedurali.

Di recente si è presentato un caso in cui, all’interno di una articolata vicenda successoria, complicata dalla presenza di un disabile, che prevedeva il trasferimento di molti immobili e di vari passaggi intermedi, gli interessati hanno finito per desistere dal proposito di dar vita a un trust per il costo che questi trasferimenti, pur beneficiando delle agevolazioni di legge, avrebbero comportato.

D’altra parte si è formata nel tempo una corrente di pensiero che, per una serie di diverse ragioni: vuoi perché le imposte da pagare sono esigue, vuoi perché si presenta l’opportunità di chiudere definitivamente la partita col fisco, vuoi infine perché non si vogliono gravare i beneficiari, che spesso sono i figli, del pagamento di un’imposta di cui si ignora la consistenza al momento in cui (alla fine del trust) dovrà essere corrisposta,  o per altre ragioni che qui non interessa indagare, ritiene, in linea con l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, preferibile assolvere l’imposta al momento dell’apporto dei beni al trustee, senza far luogo al successivo ricorso.

Questa linea di comportamento ha incontrato per la verità non pochi consensi perché in ogni caso semplifica un problema e quindi solo per questo è apprezzata, e seguita, da chi ha posto mano a istituire un trust.

A loro volta gli autori del contributo di cui ci si occupa – e questa tesi ha effetti potenzialmente devastanti - ritengono questa condotta non solo errata in base alla normativa esistente, ma anche assai rischiosa e penalizzante per chi la attui. Infatti, è la sintesi del loro discorso, se il pagamento delle imposte è effettuato “all’entrata” (all’atto cioè del conferimento dei beni al trustee) da parte del trustee o del disponente, e quindi da parte di  un soggetto diverso da quello che sarà il futuro soggetto passivo dell’imposta, cioè il beneficiario, e in assenza del presupposto impositivo, ciò non consente di affermare che l’imposta sulle successioni e donazioni sia stata assolta né che quanto pagato anticipatamente possa essere scomputato da quanto i beneficiari dovranno corrispondere quando riceveranno i beni in trust che si realizzerà al momento del passaggio del fondo in trust ai beneficiari, le conseguenze portano a ritenere

L’erroneo pagamento di un’imposta – effettuato in questo caso senza causa - non comporta che i presupposti di debenza della stessa debbano considerarsi artificialmente anticipati e quindi già assolto il debito d’imposta che sorgerà in futuro. Il nostro ordinamento affermano gli estensori dell’articolo, non prevede la possibilità per un soggetto passivo - fatta eccezione per i versamenti in acconto disciplinati per legge - di anticipare volontariamente il pagamento dell’imposta che maturerà a fronte di eventi che non si sono ancora realizzati.

In conclusione, i versamenti di imposta effettuati all’entrata sarebbero pagamenti indebiti, privi di un valido presupposto oggettivo, e quindi di causa, effettuati per giunta da soggetti diversi da quelli sui quali grava l’imposta a termini di legge.

Di tali pagamenti pertanto potrebbe essere richiesto il rimborso, ma solo entro tre anni dal giorno del pagamento (a pena di decadenza) (articolo 42,2, decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346).

Quanto invece pagato trascorsi i tre anni dovrebbe considerarsi irrimediabilmente perduto.

Un corollario di questa impostazione dottrinale si riverbera anche sulle dichiarazioni di utilizzo di franchigie (articolo2, §§ 47 e 49 del dl 3 ottobre 2006, n.262) rese in sede di atto di trasferimento di beni o diritti al trustee. E questo perché non sussistendo il presupposto oggettivo che legittimasse l’imposizione, non sussistevano neanche le condizioni che legittimavano l’utilizzo (e quindi il consumo) delle franchigie.

Per quanto attiene invece all’applicazione di questa impostazione agli atti di disposizione del trustee, questi sono soggetti a imposizione (registro) solo al ricorrere delle ipotesi di cui all’articolo 56 bis del decreto legislativo 346/1990 atteso che, com’è noto, l’imposta di registro è un’imposta d’atto. E su questo non c’è nulla da obiettare.

A parte il fatto che una tale lettura delle norme avrebbe conseguenze esiziali sulle finanze di tutti coloro che aderendo spontaneamente o meno alla tesi dell’agenzia delle entrate avessero corrisposto le imposte in entrata, senza pretesa di fornire replica a tali suggestivi argomenti, osserviamo tuttavia che in questi casi dovrebbe prevalere la tutela dell’affidamento del contribuente che non potrebbe essere sanzionato – o subire negative conseguenze – essendosi uniformato a un indirizzo, per ora costante e mai contraddetto, da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Sul piano sostanziale, il divieto della doppia imposizione - che, anche se codificato solo nel TUIR, è considerato un principio generale dell’ordinamento applicabile a qualsiasi tipologia di imposta, inclusa quella di successione e donazione - dovrebbe ugualmente prevenire la duplicazione dell’imposta dovuta al mero mutamento interpretativo.

Quanto poi alle franchigie, e pur rivestendo questo profilo un’importanza certamente residuale, non ci sembra di poter condividere le conclusioni rassegnate perché il fatto che il trasferimento al trustee sia neutro non rappresenta un impedimento a che il beneficiario possa essere fornito, da parte del trustee, di un titolo che lo legittima al godimento di particolari benefici di carattere fiscale che possono essere immediatamente operativi senza dover attendere il definitivo trasferimento dei beni ai beneficiari.

Andrea Vasapolli e Brigitta Valas, “Trust liberali e tassazione all’uscita: brevi note sui profili fiscali”.