Vaccino Covid-19: è terminata la sperimentazione
Massima
I quattro vaccini, attualmente utilizzati nella campagna vaccinale, hanno superato la fase sperimentale.
La Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, ha infatti provveduto ad autorizzare, seppure in via condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), la somministrazione dei vaccini anti Covid-19.
La predetta somministrazione, peraltro, si ritiene possibile anche in difetto di dati clinici completi dal momento che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione, superano il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari.
Il fatto
La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso al Tar, presentato dalla libera professionista - Omissis - avverso il provvedimento adottato dall’Azienda sanitaria del Friuli occidentale (ASFO) ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del d.l. 44 del 2021 (conv. in l. 76 del 2021) con cui veniva accertata l’inosservanza dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, di cui al comma 1 del medesimo articolo.
In via preliminare, lamentando l’inesattezza della suddetta inosservanza, parte ricorrente muoveva contestazioni in merito alla compatibilità costituzionale del sopracitato provvedimento ASFO e, pur riconoscendo tale atto come espressivo del potere amministrativo (articolo 4 del d.l. 44 del 2021), invitava ad una revisione della questione a cura della Corte costituzionale. Tuttavia, le doglianze fattuali e giuridiche di parte ricorrente dedotte in giudizio al fine di ottenere l’immediata sospensione del provvedimento de quo, venivano successivamente scardinate dalla difesa avversaria che, replicando ad ogni punto del ricorso, ne richiedeva la reiezione.
Dunque, in seguito all’indizione della Camera di Consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, sussistendone i presupposti, il ricorso veniva rigettato con sentenza in forma semplificata per manifesta infondatezza.
Il quadro normativo e la soluzione del Tar
La questione di diritto sorta a seguito dell’autorizzazione alla somministrazione dei quattro vaccini individuati nella lotta contro l’infezione Covid, ha inevitabilmente coinvolto la coscienza giuridica di molti.
In particolare, la vicenda giuridica sottesa alla pronuncia in esame concerne i dubbi circa la natura pubblicistica dell’interesse a prevenire lo sviluppo della malattia da Covid-19 ed i profili di incostituzionalità legati all’obbligo vaccinale esteso nei confronti del personale sanitario.
Volendo procedere ad una trattazione puntuale e precisa, appare opportuno approfondire in primis la questione relativa all’efficacia della vaccinazione di massa.
Pur in assenza di una precisa normativa al riguardo, ma sulla scorta delle risultanze dei dati prodotti dagli esperti, il Tar ha ritenuto di poter confermare che i quattro vaccini, oggi in uso, sono in grado di agire sui sintomi dell’infezione; vi è di più: gli stessi vaccini, non solo prevengono l’infezione, ma consentono anche di limitare e, in taluni casi, arrestare la trasmissione del virus.
Tanto premesso, dunque, non può riconoscersi al vaccino somministrato, qualunque esso sia, una mera efficacia limitata ai soli sintomi, ma occorre ampliare il novero degli effetti vantaggiosi ricomprendendo tra quest’ultimi anche la capacità preventiva nello sviluppo e nella trasmissione della malattia.
I dati analizzati dai giudici, infatti, affermano quanto appena detto poiché nel periodo 4 aprile – 31 agosto 2021, i casi SARS-CoV-2 registrati confermati tramite positività ai test molecolari e antigenici, hanno evidenziato come “l’efficacia complessiva della vaccinazione incompleta nel prevenire l’infezione è pari al 63,2% (95%IC: 62,8%-63,5%), mentre quella della vaccinazione completa è pari al 78,1% (95%IC: 77,9%-78,3%). Questo risultato indica che nel gruppo dei vaccinati con ciclo completo il rischio di contrarre l’infezione si riduce del 78% rispetto a quello tra i non vaccinati”.
Appare evidente, quindi, che l’utilizzo della profilassi vaccinale abbia rappresentato l’unica valida soluzione per il contenimento del virus rendendo possibile un miglioramento delle condizioni di vita dell’intera popolazione mondiale.
Conseguentemente, la scelta vaccinale non può collocarsi in una dimensione strettamente personale e non coercibile essendo chiara la valenza pubblicistica che deve, quindi, ritenersi indubbia: “l’interesse a prevenire lo sviluppo della malattia da Covid-19 in capo agli operatori sanitari, nel contesto dell’emergenza pandemica, assume un’indubbia valenza pubblicistica, giacché garantisce la continuità delle loro prestazioni professionali e, quindi, anche l’efficienza del servizio fondamentale cui presiedono.
Sotto altro profilo, è di valenza pubblicistica anche l’interesse a mitigare l’impatto sul SSN – in termini, soprattutto, di ricoveri e occupazione delle terapie intensive – che potrebbe comportare l’incontrollata diffusione della malattia da Covid-19 in capo a soggetti naturalmente esposti, in misura maggiore rispetto alla media, al rischio di contagio e che costituiscono un insieme numericamente considerevole della popolazione nazionale (dai dati ISTAT 2019 si contano nel nostro paese 241.945 medici, tra generici e specialisti, 51 954 odontoiatri, 17.253 ostetriche, 367.684 infermieri, 75.000 farmacisti, senza contare OSS, dipendenti di RSA e altri operatori di interesse sanitario)”.
A tal proposito, tenuto conto degli innumerevoli effetti positivi prodotti dalla somministrazione dei vaccini in questione, l’obbligo vaccinale previsto dal legislatore non può certamente ritenersi in contrasto con l’articolo 32 Costituzione.
Per meglio comprendere quanto appena detto, appare necessario tener anzitutto presente che l’articolo 32 della Costituzione riconosce il diritto alla salute quale diritto fondamentale dell’individuo ma anche quale interesse della collettività. Ed infatti, considerata la dimensione non esclusivamente personale, l’obbligo della fruizione del farmaco immunizzante in questione deve ritenersi compatibile con i principi costituzionali in quanto consente di salvaguardare la tutela della salute collettiva.
In particolar modo, i vaccini attualmente impiegati nella campagna anti Covid-19 hanno superato la fase sperimentale: la Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, ha provveduto all’autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation) dei quattro prodotti; ed anche in difetto di dati clinici completi, è possibile procedere con la somministrazione del vaccino dal momento che, i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione, superano il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari.
È ovvio, pertanto, che il carattere condizionato dell’autorizzazione non deve ingannare sulla credibilità dei profili di sicurezza del farmaco. In tal senso, si legge sul sito dell’ISS, che richiama a sua volta quello dell’EMA che “una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri UE di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala”.
Conclusivamente sul punto, ad avviso dell’organo rigettante, nessuna attinenza con la questione della sicurezza dei vaccini ha poi il c.d. “scudo penale” concesso agli operatori somministranti dall’articolo 3 del d.l. 44 del 2021 poiché l’imposizione di un trattamento sanitario sperimentale – e non è, in ogni caso, questo l’esempio –, coerentemente con quanto detto sopra, non viola il diritto fondamentale alla salute.
Chiariti dunque i predetti termini di sicurezza ed efficacia dei vaccini immessi in commercio, appare d’uopo soffermarsi sulla censura di costituzionalità sollevata da parte ricorrente ritenuta assolutamente infondata dal Tar: l’obbligo vaccinale non contrasta con la disposizione normativa di cui all’articolo 32 Costituzione.
Ed invero, la salvaguardia del bene salute, considerato nella sua accezione collettiva, permette di non riscontrare alcun abuso costituzionale.
In tal senso, giova richiamare l’orientamento della Corte Costituzionale (Corte Costituzione, 18 gennaio 2018, n. 5) che ha ritenuto conformi al dettato costituzionale le dieci vaccinazioni imposte ai minori fino a sedici anni di età con il d.l. 73 del 2017 (convertito in l. 119 del 2017). Secondo la Corte infatti “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 Costituzione: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”.
Per tutte le argomentazioni di cui sopra, il Tar Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso proposto, così come si legge nella decisione che, concludendo, precisa che “Le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile. I danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi rari e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica [...]Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge”.