Valida la prescrizione eccepita dalla banca in maniera generica
Con ordinanza interlocutoria n. 27680 del 30 ottobre 2018, la prima sezione civile della Corte di Cassazione aveva rimesso alle Sezioni Unite la controversa questione concernente le modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca allorché il correntista agisca per la restituzione di somme indebitamente versate in conto corrente, ed in particolare:
- se l’eccezione di prescrizione, per essere validamente proposta, debba contenere la specifica allegazione delle singole rimesse aventi natura solutoria operate nel corso del rapporto;
- il riparto dell’onere probatorio tra le parti in causa, con particolare riferimento alla prova dell’affidamento.
A distanza di pochi mesi la Suprema Corte, con la sentenza n. 15895/19 del 13 giugno 2019, si è pronunciata con una trattazione molto ben argomentata.
Gli Ermellini, ritenendo opportuno muovere dalla celeberrima sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 24418 del 2010, hanno chiaramente illustrato i concetti di pagamento, da identificarsi nell’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto (il solvens) con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l’accipiens), nonché di rimesse solutorie e ripristinatorie nelle due diverse ipotesi di conto corrente “scoperto” e di rapporto assistito da apertura di credito.
Opportuna una prima riflessione sull’applicazione di tali concetti.
La Corte, in più passaggi della decisione, fa esplicito richiamo esclusivamente all’apertura di credito come unico finanziamento rispetto al quale deve eseguirsi la verifica della natura delle rimesse, secondo i principi della vecchia revocatoria fallimentare.
Il continuo ed esclusivo riferimento all’apertura di credito sembra fugare, a parere di chi scrive, qualsiasi dubbio ingenerato da taluna giurisprudenza e dottrina che riteneva di poter estendere a suddetta metodologia di rilevamento della prescrizione a qualsivoglia tipologia di finanziamento come i castelletti di sconto ( cd. fidi autoliquidanti quali anticipi fatture, sbf, etc): dalla pronuncia in commento si desume viceversa come in tali ipotesi il termine di prescrizione decorra dalla data del pagamento, ergo dell’incasso o dell’addebito in c/c, senza che possa avere rilevanza la data di chiusura del conto.
Il Supremo Collegio prosegue l’approfondimento ripercorrendo la cronistoria delle numerose decisioni susseguitesi in questi ultimi anni, a partire dal 2014 con la sentenza della Prima Sezione Civile, n. 4518 nella quale si riteneva necessaria la individuazione specifica delle rimesse aventi natura solutoria da parte dell’istituto di Credito.
“I versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e, poiché tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni di essi, deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste illegittimamente addebitate”.
Di pensiero diametralmente opposto la sezione VI della Cassazione per cui era condizione sufficiente per la difesa della banca una eccezione “generica” (Cassazione Civile n. 18581/17 e n. 4372/18).
La Suprema Corte, dopo aver illustrato la distinzione tra onere di allegazione ed onere della prova, con riferimento al primo richiama S.U. n. 10955/10 afferma (pag. 18) il seguente principio di diritto:
“Merita, ancora condivisione la considerazione che esalta la simmetria che, in base a tale ricostruzione, viene richiesta alle parti ai fini della validità della domanda di ripetizione e dell’ammissibilità dell’eccezione di prescrizione: il correntista, come si è esposto, potrà limitarsi ad indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato, e la Banca, dal canto suo, potrà limitarsi ad allegare l’inezia dell’attore in ripetizione, e dichiarare di volerne profittare.
Resta da aggiungere che il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicché il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente”.
A soluzione del contrasto, va, in conclusione, posto il seguente principio di diritto:
“l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.
Se tali concetti appaiono lineari e definiti resta, tuttavia, aperto il tema – di indubbia rilevanza – relativo a quale parte sia gravata dall’onere di provare l’esistenza del fido e sua entità, nonché dell’eventuale superamento dello stesso e, dunque, dell’esistenza di rimesse solutorie e di poste prescritte.
Da ultimo, sempre in tema di prescrizione, la Corte non si è purtroppo espressa sulla questione – forse di natura più tecnica che giuridica ma di grande interesse per i cultori della materia – da sempre oggetto di acceso dibattito: la valutazione della natura solutoria dei versamenti in ragione della relativa data (data disponibile, data valuta o data contabile?) e dell’eventuale produzione documentale.
Nella pronuncia in commento tale questione viene bypassata in quanto ritenuta estranea al diritto processuale, come di seguito riportato:
Va ancora rilevato che gli argomenti trattati dalla ricorrente nella seconda memoria del 13 maggio 2019 e svolti, anche, in sede di discussione – relativi alla necessità di accertare la copertura del conto con riferimento al saldo disponibile e non anche al saldo per valuta – sono estranei al diritto processuale: di tale tema d’indagine, infatti, non vi è traccia in seno al ricorso, che senza nulla dedurre circa il criterio di riconoscimento dei versamenti solutori e della relativa data, si è limitato a criticare, nei sensi di cui si è detto, la formulazione dell’eccezione avversaria. Peraltro, anche per tale verso, la questione potrebbe rilevare ai fini della fondatezza dell’eccezione di prescrizione (in tesi, da riferire all’epoca di effettiva esecuzione di incassi ed erogazioni e da provare mediante opportuna produzione documentale), ma nulla sposterebbe in termini di onere di allegazione dell’eccezione stessa, oggetto di censura.