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231 - Cassazione Penale: nei reati colposi l’interesse o vantaggio della società attiene alla condotta e si concretizza nel risparmio di spesa

231 - Cassazione Penale: nei reati colposi l’interesse o vantaggio della società attiene alla condotta e si concretizza nel risparmio di spesa
231 - Cassazione Penale: nei reati colposi l’interesse o vantaggio della società attiene alla condotta e si concretizza nel risparmio di spesa

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, il criterio d’imputazione oggettivo dell’interesse e/o del vantaggio della società si concretizza nel risparmio di spesa derivante dal mancato adeguamento alla normativa antinfortunistica e nel risparmio di tempo per lo svolgimento dell’attività lavorativa, entrambi volti alla massimizzazione del profitto, anche a discapito della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

 

Il caso in esame

La vicenda riguarda l’infortunio mortale occorso ad un dipendente di una società, precipitato da un’altezza di dodici metri, a seguito dello sfondamento di una lastra di vetro resina posta sul tetto di un capannone ove il lavoratore stava svolgendo attività di manutenzione delle grondaie.

A seguito del rinvio a giudizio per il delitto di omicidio colposo, i giudici di merito, individuando plurime violazioni della normativa antinfortunistica e il nesso causale tra le stesse e l’incidente mortale, avevano affermato la penale responsabilità del legale rappresentante della società e del preposto alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro e avevano ritenuto sussistente la responsabilità da reato della società per colpa dell’organizzazione generica e specifica e grave negligenza nella gestione, condannando l’ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 258.230,00.

In particolare, dall’istruttoria svolta era emerso che il lavoratore non aveva ricevuto alcuna adeguata formazione per svolgere lavori in quota, né era stato informato dei rischi specifici connessi a tali mansioni. Inoltre, prima dell’esecuzione dell’attività di manutenzione in quota, non era stata adeguatamente accertata la resistenza del tetto a sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego, né erano stati adottati particolari dispositivi di protezione, quali tavole, sottopalchi, reti di sicurezza e non era stato verificato il corretto utilizzo delle misure di protezione individuali anticaduta.

Con riferimento alla posizione della società, la Corte territoriale aveva ritenuto priva di fondamento la tesi della mancanza del nesso causale tra il comportamento omissivo del datore di lavoro e l’intervenuto infortunio a causa del comportamento abnorme del lavoratore e aveva considerato sussistente la colpa dell’organizzazione di impresa, con particolare riferimento alla mancata nomina del RSPP, alla omessa valutazione del rischio e alla mancata formazione del lavoratore.

Avverso la decisione della Corte territoriale, ricorreva per cassazione, oltre al legale rappresentante e al preposto, anche la società, deducendo, tra i vari motivi, l’insussistenza dell’interesse previsto dal Decreto Legislativo n. 231/2001 ai fini dell’addebito di responsabilità da reato.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto la doglianza infondata.

Trattandosi nel caso di specie di un reato colposo d’evento, la Cassazione ha fatto applicazione di un principio di diritto ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui “i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico”.

Secondo i giudici di legittimità, non potendosi ritenere che l’evento a danno del lavoratore corrisponda ad un interesse o costituisca un vantaggio per l’ente, è necessario far riferimento non all’evento ma alla condotta che lo ha causato. In tale prospettiva, “è ben possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente. A maggior ragione vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’ente”.

Pertanto, osserva la Corte, “nei reati colposi l’interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione sub specie, dell’aumento di produttività che ne può derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attività lavorativa "favorita" dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe "rallentato" quantomeno nei tempi. Sviluppando questo ordine di considerazioni, occorre qui ribadire che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico. È questa l’unica interpretazione che non svuota di contenuto la previsione normativa e che risponde alla ratio dell’inserimento dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nell’elenco dei reati fondanti la responsabilità dell’ente, in ottemperanza ai principi contenuti nella legge delega: indubbiamente, non rispondono all’interesse della società, o non procurano alla stessa un vantaggio, la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche, mentre è indubbio che un vantaggio per l’ente possa essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l’infortunio sul lavoro.

Con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che l’accertamento della sussistenza di un interesse o vantaggio dell’ente fosse stato correttamente compiuto dai giudici di entrambi i gradi di merito, i quali “hanno ritenuto il vantaggio economico indiretto, costituito dal risparmio dei costi non sostenuti, che la società ha tratto dalla mancata adozione delle misure di sicurezza richieste dalla legge per la prevenzione di infortuni sul lavoro (mancata nomina del RSSP, omessa valutazione del rischio specifico, messa in sicurezza del luogo dì lavoro, mancata formazione professionale dei lavoratori addetti ecc.)”.

Infine, con riferimento alle condotte idonee ad escludere la responsabilità da reato dell’ente, la Corte ha precisato che “la responsabilità dell’ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa soltanto dimostrando l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi (per i quali soccorre il disposto dell’art. 30 del d. lgs. n. 81/2008) e l’attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l’aggiornamento e l’osservanza dei modelli adottati”. Senonché, nel caso di specie, non risultava l’adozione, da parte della società, delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità ai sensi dell’articolo 6 del Decreto Legislativo n. 231/2001.

Per le ragioni di cui sopra, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando la società, in solido con i restanti ricorrenti, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili costituite in giudizio.

(Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 16 aprile 2018, n. 16713)