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Il Decreto del Fare fa chiarezza sul diritto di ripensamento nell’offerta fuori sede

La disciplina dell’offerta fuori sede di servizi di investimento è stata recentemente oggetto di interventi giurisprudenziali e legislativi che ne hanno chiarito i margini di applicabilità.

Una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, Sentenza del 3 giugno 2013, n. 13905, ha infatti “ampliato” l’ambito di applicazione del cosiddetto ius poenitendi, stabilito dal comma 6 dell’articolo 30 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (“TUF”), anche a contratti diversi dal collocamento di strumenti finanziari e dalla gestione di portafogli, indicati dal suddetto articolo. Ciò sull’assunto che il termine “collocamento” di strumenti finanziari presso il pubblico, sia utilizzato in senso atecnico nel citato articolo “con un significato più ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d'investimento”.

Il diritto di ripensamento consiste sostanzialmente nella sospensione dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi al di fuori della sede dell’intermediario per la durata di sette giorni, decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore; entro il medesimo termine l’investitore può comunicare il proprio recesso, senza spese né corrispettivo, al promotore finanziario o all’intermediario.

In sostanza, in contrasto con la giurisprudenza sino ad allora dominante (per tutti Cassazione n. 2065/2012 e Cassazione n. 4564/2012), la Suprema Corte ha garantito il diritto di ripensamento all’investitore, a pena di nullità (relativa), anche ad altri servizi di investimento, dando la massima espansione e prevalenza alla ratio di tutela dell’investitore ed all’esigenza di garantire una consapevole scelta di investimento, che non può essere “limitata” dall’effetto sorpresa derivante dalla conclusione del contratto effettuata, tramite i promotori finanziari, al di fuori delle sedi o delle dipendenze degli intermediari (vedasi pure le Comunicazioni Consob n. DI/98068241 del 21 agosto 1998 e n. DIN/12030993 del 19 aprile 2012) e che dunque sia “il frutto di una sollecitazione, proveniente da promotori della cui opera l'intermediario si avvale; sollecitazione che, perciò stesso, potrebbe aver colto l'investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata”.

La necessità di protezione dell’investitore è dunque presente “non soltanto per le operazioni compiute nell’ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio, ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell’espletamento di un servizio d’investimento diverso”. Ciò in ossequio all’articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, nel garantire “un livello elevato di protezione dei consumatori”, per ciò stesso impone d’interpretare le norme ambigue nel senso più favorevole a questi ultimi.

Alla luce delle numerose critiche indirizzate dalla dottrina più attenta alla citata Sentenza e per evitare il rischio di nullità dei contratti di investimento stipulati dagli intermediari fuori sede, il legislatore è dovuto intervenire con un intervento chiarificatore: l’articolo 56 quater del cosiddetto Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con Legge 9 agosto 2013, n. 98) ha fornito una interpretazione autentica ed ha razionalizzato il contenuto dell’articolo 30 del TUF, sollevando dai dubbi emersi a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione.

È stato infatti statuito expressis verbis che lo ius poenitendi è applicabile ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c bis) e d) del TUF (sottoscrizione e/o collocamento e gestione di portafogli), estendendolo altresì “per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 […] anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)” (e cioè alla negoziazione in conto proprio). Il che esclude la possibilità di rendere nulli i contratti – privi della clausola che assicurava all’investitore il diritto di ripensamento – relativi ad altri servizi di investimento, quali ad esempio la ricezione e trasmissione ordini.

La scelta legislativa effettuata evidenzia in sostanza che, per potersi legittimamente parlare di ius poenitendi, le condizioni di offerta e di prezzo debbano essere predeterminate ex ante, altrimenti nei sette giorni previsti per il diritto al ripensamento, l’investitore potrebbe porre in essere comportamenti opportunistici, speculando e traendo vantaggio dalle fluttuazioni del prezzo, ovvero – da un altro punto di vista – il cliente concluderà un contratto senza conoscere il prezzo in base al quale l’operazione di investimento sarà eseguita (un argomento a favore di tale ragionamento è peraltro rinvenibile nel comma 8 dell’articolo 30 del TUF).

È questa la ragione per la quale nell’ambito di applicazione dell’articolo 30, comma 6 del TUF si è fatta rientrare la negoziazione in conto proprio e non anche altri servizi di investimento quali la ricezione e trasmissione ordini o l’esecuzione ordini, laddove per questi ultimi non sarebbe possibile per il cliente e l’intermediario predeterminare il prezzo dell’operazione di investimento.

La disciplina dell’offerta fuori sede di servizi di investimento è stata recentemente oggetto di interventi giurisprudenziali e legislativi che ne hanno chiarito i margini di applicabilità.

Una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, Sentenza del 3 giugno 2013, n. 13905, ha infatti “ampliato” l’ambito di applicazione del cosiddetto ius poenitendi, stabilito dal comma 6 dell’articolo 30 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (“TUF”), anche a contratti diversi dal collocamento di strumenti finanziari e dalla gestione di portafogli, indicati dal suddetto articolo. Ciò sull’assunto che il termine “collocamento” di strumenti finanziari presso il pubblico, sia utilizzato in senso atecnico nel citato articolo “con un significato più ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d'investimento”.

Il diritto di ripensamento consiste sostanzialmente nella sospensione dell’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi al di fuori della sede dell’intermediario per la durata di sette giorni, decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore; entro il medesimo termine l’investitore può comunicare il proprio recesso, senza spese né corrispettivo, al promotore finanziario o all’intermediario.

In sostanza, in contrasto con la giurisprudenza sino ad allora dominante (per tutti Cassazione n. 2065/2012 e Cassazione n. 4564/2012), la Suprema Corte ha garantito il diritto di ripensamento all’investitore, a pena di nullità (relativa), anche ad altri servizi di investimento, dando la massima espansione e prevalenza alla ratio di tutela dell’investitore ed all’esigenza di garantire una consapevole scelta di investimento, che non può essere “limitata” dall’effetto sorpresa derivante dalla conclusione del contratto effettuata, tramite i promotori finanziari, al di fuori delle sedi o delle dipendenze degli intermediari (vedasi pure le Comunicazioni Consob n. DI/98068241 del 21 agosto 1998 e n. DIN/12030993 del 19 aprile 2012) e che dunque sia “il frutto di una sollecitazione, proveniente da promotori della cui opera l'intermediario si avvale; sollecitazione che, perciò stesso, potrebbe aver colto l'investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata”.

La necessità di protezione dell’investitore è dunque presente “non soltanto per le operazioni compiute nell’ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio, ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell’espletamento di un servizio d’investimento diverso”. Ciò in ossequio all’articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, nel garantire “un livello elevato di protezione dei consumatori”, per ciò stesso impone d’interpretare le norme ambigue nel senso più favorevole a questi ultimi.

Alla luce delle numerose critiche indirizzate dalla dottrina più attenta alla citata Sentenza e per evitare il rischio di nullità dei contratti di investimento stipulati dagli intermediari fuori sede, il legislatore è dovuto intervenire con un intervento chiarificatore: l’articolo 56 quater del cosiddetto Decreto del Fare (Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con Legge 9 agosto 2013, n. 98) ha fornito una interpretazione autentica ed ha razionalizzato il contenuto dell’articolo 30 del TUF, sollevando dai dubbi emersi a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione.

È stato infatti statuito expressis verbis che lo ius poenitendi è applicabile ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c bis) e d) del TUF (sottoscrizione e/o collocamento e gestione di portafogli), estendendolo altresì “per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 […] anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)” (e cioè alla negoziazione in conto proprio). Il che esclude la possibilità di rendere nulli i contratti – privi della clausola che assicurava all’investitore il diritto di ripensamento – relativi ad altri servizi di investimento, quali ad esempio la ricezione e trasmissione ordini.

La scelta legislativa effettuata evidenzia in sostanza che, per potersi legittimamente parlare di ius poenitendi, le condizioni di offerta e di prezzo debbano essere predeterminate ex ante, altrimenti nei sette giorni previsti per il diritto al ripensamento, l’investitore potrebbe porre in essere comportamenti opportunistici, speculando e traendo vantaggio dalle fluttuazioni del prezzo, ovvero – da un altro punto di vista – il cliente concluderà un contratto senza conoscere il prezzo in base al quale l’operazione di investimento sarà eseguita (un argomento a favore di tale ragionamento è peraltro rinvenibile nel comma 8 dell’articolo 30 del TUF).

È questa la ragione per la quale nell’ambito di applicazione dell’articolo 30, comma 6 del TUF si è fatta rientrare la negoziazione in conto proprio e non anche altri servizi di investimento quali la ricezione e trasmissione ordini o l’esecuzione ordini, laddove per questi ultimi non sarebbe possibile per il cliente e l’intermediario predeterminare il prezzo dell’operazione di investimento.