x

x

Trust under fire

Trust
Trust

Il secondo trimestre del 2015 non ha dato luogo a pronunce così numerose, significative o “rivoluzionarie” quali quelle che avevano caratterizzato i primi tre mesi dell’anno in corso.

Se si escludono alcune sentenze che trattato di fattispecie particolari, in questo secondo trimestre si possono individuare due filoni ben precisi[1].

Da un lato si registra  la massiccia presenza di sentenze delle Commissioni Tributarie che appaiono ancora oscillanti, dopo le “mazzate” inferte dalle ordinanze della Corte di Cassazione, sul tema dell’applicazione dell’imposta, proporzionale o fissa, relativamente agli apporti effettuati in un trust. Dall’altro, e per rimanere nell’ambito delle sentenze di merito e di legittimità, e raggruppando le stesse per argomento, il più nutrito gruppo di pronunce ha per oggetto decisioni in materia di azione revocatoria proposta dai creditori del disponente rispetto agli apporti di denaro o di beni, da questi  effettuati in trust. Così, per esempio, T. Bologna - 18 marzo 2015, T. Milano - 20 maggio 2015, T. Siena - 22 maggio 2015, T. Bologna - 23 aprile 2015, T. Bologna - 24 marzo 2015, T. Milano - 24 aprile 2015, A. Venezia - 9 gennaio 2015, T. Velletri - 3 aprile 2015, T. Modena - 16 giugno 2015, T. Palmi - 27 febbraio 2015, T. Napoli - 16 giugno 2015, T. Bologna - 18 marzo 2015. Di queste sentenze la maggioranza accoglie la domanda di revocatoria, mentre solo due la respingono. Le sentenze di accoglimento si riferiscono a fattispecie fra loro quasi perfettamente sovrapponibili.

Si tratta in altre parole di trust che si caratterizzano per essere stati istituiti, successivamente all’insorgere del credito, per lo più da parte di soggetti che avevano rilasciato una fideiussione a favore di una banca.

Le sentenze rilevano, salvi alcuni distinguo sui quali torneremo, il ricorrere di presupposti di fatto oltre che dei requisiti richiesti dalla legge (articolo 2901 del codice civile) per l’esercizio dell’azione revocatoria  individuati appunto:

a) nell’anteriorità del credito rispetto all’istituzione del trust;

b) nel pregiudizio recato alle ragioni del creditore;

c) nella consapevolezza di recare pregiudizio alle ragioni di quest’ultimo;

d) nella declaratoria di inefficacia del trust nei confronti della banca.

L’anteriorità del credito (che non è un requisito) è un dato ricorrente e, indubbiamente costituisce un indizio (negativo) molto forte sulle ragioni che hanno portato il disponente a istituire un trust. Questa circostanza inoltre esonera dal verificare sia il ricorrere della dolosa preordinazione, sia la partecipazione del terzo ad essa. Peraltro T. Milano 20 maggio 2015, mentre accoglie la domanda di revoca  “rigetta invece la domanda di simulazione del trust essendo stato istituito per soddisfare le esigenze dei beneficiari,  indicati nei familiari del disponente e nello stesso disponente; osserva inoltre che la mancanza di un guardiano non inficia l’atto di trust e che il potere di revoca del trustee è stato attribuito a soggetti diversi dal disponente”. Questa motivazione sembra particolarmente corretta nel tenere distinti i due versanti dell’indagine da effettuare  ed evidenzia con chiarezza che l’apporto di beni in un trust può essere oggetto di revocatoria per ragioni indipendenti dalla liceità e meritevolezza  del trust stesso la cui legittimità e la cui esistenza non vengono inficiate dall’accoglimento della revocatoria  di determinati apporti. Nella sentenza di T.Siena, 22 maggio 2015, si rilevano due spunti interessanti, il primo secondo il quale “la tutela revocatoria è operativa anche in caso di credito litigioso”; e il secondo  in forza del quale “il conferimento in un trust è atto dispositivo a titolo gratuito che comporta maggiori difficoltà nell’esazione coattiva del credito”. La norma civilistica, in realtà, prevede fra le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria, che il credito sia liquido ed esigibile, ovvero soggetto a condizione o a termine, ma non fa parola del credito litigioso che costituisce una categoria cui il Tribunale, sulla scia di autorevoli precedenti (Cassazione 9 febbraio 2012, n. 1893 e 7 maggio 2014, n. 9855) attribuisce la stessa valenza. Quanto alle maggiori difficoltà di esazione, il rilievo è, in astratto, fondato, ma si tratta di un’affermazione da fare, più correttamente, dopo aver esaminato da vicino l’atto di trust per vedere –come diremo meglio in seguito - come debba comportarsi il trustee in presenza di una tal richiesta. Analogamente, non si sottrae allo stesso rilievo, T. Velletri, 3 aprile 2015, che aveva visto il trust come  “limitativo delle prioritarie ragioni dei creditori per i limiti di commerciabilità posti sui beni conferiti

A parte le considerazioni sull’esperibilità dell’azione revocatoria, interessa soffermarsi su quanto affermato relativamente agli effetti del conferimento in trust di certi beni laddove si formulano conclusioni sulle quali occorre fare alcune precisazioni, pur dovendo riconoscere che nei casi esaminati le sentenze non appaiono contestabili.

Altro è quello che volevamo dire. Il pregiudizio individuato, dai giudici di prime cure, alle ragioni del creditore, non può derivare solo dal fatto che determinati beni siano stati apportati in un trust, ma dal successivo esame delle clausole dell’atto istitutivo del trust. Negli esempi riferiti è di palmare evidenza, infatti, che, anziché rappresentare soluzioni effettivamente ideate per cercare di realizzare obiettivi meritevoli di tutela (come la protezione dei figli, o un passaggio generazionale, o una garanzia), i trust di cui si occupano le sentenze citate fanno emergere, nella stragrande maggioranza dei casi, chiari indizi del carattere fraudolento degli stessi, per essere costruiti con il solo intento neppure troppo mascherato, di sottrarre beni del proprio patrimonio al soddisfacimento dei creditori legittimando così la reazione dell’ordinamento che, nel caso di specie, si traduce in una dichiarazione di inefficacia relativa del singolo apporto nei confronti (nei casi esaminati) della banca creditrice. Ma questo dipende, come sembra evidente, dalla redazione degli atti di trust e, quindi, dai poteri assegnati al trustee.

Due i casi in cui il Tribunale ha rigettato l’azione revocatoria, in un caso (T. Bologna,24 marzo 2015) perché il giudice ha ritenuto “non provata la dolosa preordinazione del trust al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie”; e nell’altro (A. Venezia, 9 gennaio 2015) per non avere “la banca dato prova della scientia fraudis da parte degli acquirenti a titolo oneroso del bene”. Non conoscendo la situazione processuale, non ci possiamo esprimere sulla motivazione che comunque, accertati i presupposti, appare ineccepibile.

Queste pronunce offrono lo spunto per una riflessione sul tema. Infatti, pur non considerando probanti gli esempi addotti che, come abbiamo visto si riferiscono a situazioni chiaramente viziate, ci dobbiamo chiedere se, all’interno di un contesto per così dire fisiologico vi sia la possibilità di istituire un trust che risulti indenne dal rischio di revocatoria.

In primo luogo dobbiamo osservare come laddove ci si trovi in presenza di una situazione non evidentemente creata per danneggiare i propri debitori, la revocatoria non dovrebbe trovare un agevole ingresso richiedendosi la conoscenza del pregiudizio che l’atto era suscettibile di arrecare al creditore. Tale conoscenza, infatti, non dovrebbe essere così facilmente dimostrabile anche se, di norma, sul creditore non incombe un onere probatorio particolarmente gravoso. Basti pensare al caso in cui il disponente apporti solo parte dei suoi beni, conservando un ingente patrimonio, ovvero quando apporti in trust solo la nuda proprietà di un bene  riservandosene  l’usufrutto, ovvero  che il pregiudizio si verifichi successivamente alla istituzione del trust, per sopraggiunte situazioni assolutamente imprevedibili.

Senza contare che il debitore–disponente  potrebbe essere convinto in assoluta buona fede di non recare alcun danno con la sua condotta.

Ancora meno ipotizzabile, in situazioni quali quelle rappresentate, appare la dolosa preordinazione.

Nonostante questo, ci si interroga sulla possibilità di introdurre nell’atto istitutivo una clausola che sia tale da eliminare, o quanto meno di ridurre drasticamente, il rischio di revocatoria. Accade talora che un soggetto che abbia delle pendenze verso l’amministrazione finanziaria e voglia nondimeno istituire un trust senza la dichiarata volontà di sottrarsi al pagamento del suo debito, inserisca una clausola in cui, dopo aver dato atto che il disponente è consapevole della sua pendenza verso il Fisco, si preveda espressamente che il trustee pagherà senza indugio le somme il cui pagamento sia richiesto al disponente da parte dell’Amministrazione finanziaria, introducendo dunque il soddisfacimento di questa specifica esigenza fra le finalità del trust. Nel caso in cui la somma non sia però definita, perché controversia è ancora pendente, la clausola potrebbe essere  configurata come una clausola di garanzia a favore dell’Amministrazione, e nell’interesse del debitore-disponente, così che quest’ultimo possa esperire le proprie difese e il trust subentri, con il ruolo richiesto, al momento della definizione della controversia. Nulla vieta infine che quella del trustee sia configurata come garanzia a prima richiesta così da eradicare ab origine l’ipotesi stessa del “pregiudizio” alle ragioni del creditore.

A nostro avviso un tale schema può essere riprodotto anche nel caso in cui un soggetto voglia istituire un trust  anche dopo aver assunto posizioni debitorie verso il ceto bancario, per far riferimento all’ipotesi più ricorrente, e fermo restando che l’istituzione del trust debba comunque rispondere  a esigenze meritevoli di tutela.

In questo caso una strada da percorrere potrebbe esser quella di inserire nel trust una clausola di garanzia e  di informare per scritto i creditori  della istituzione del trust, o della volontà di istituirlo, facendo rimarcare, attraverso l’esame dell’atto, che la loro posizione creditoria non viene a essere lesa, ma potenzialmente rafforzata dal trust. Questo  senza che il disponente-debitore, in caso di escussione della garanzia rilasciata debba fare necessariamente acquiescenza alla richiesta. Egli potrà difendersi nel modo che ritenga, ma il creditore avrà la certezza che, laddove sia stata riconosciuta la fondatezza del suo diritto, il suo credito sarà garantito oltre che dal debitore originario (con il patrimonio che gli sia residuato) anche dal trust. Una tale linea presenta inoltre il vantaggio, per il debitore, di rendere assai problematica l’azione revocatoria da parte della banca una volta che questa sia stata portata a conoscenza della situazione perché fa venir meno il pregiudizio.

Sul quadro così delineato irrompe ora il decreto di recente approvazione, che ha introdotto l’art. 2929 bis al codice civile, norma che è stata da subito molto duramente criticata per la lesione del diritto alla difesa dei debitori e per le incongruenze cui può dar luogo. Eccone il testo:

Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito. - Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data  in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. Quando  il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle  forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore”.

È lecito chiedersi quale sia  l’impatto che una tale disposizione può produrre. Limitandoci ad alcune considerazioni meramente testuali, si rileva intanto che, a differenza dell’articolo 2901 del codice civile che legittima all’esercizio dell’azione il creditore relativamente ad atti di disposizione del proprio patrimonio coi quali il debitore “rechi pregiudizio alle sue ragioni”, la norma in questione prende in esame il caso del “creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore”. È una sottile differenza che sembrerebbe meglio tutelare colui che abbia agito nel modo sopra illustrato. Infatti mentre l’articolo 2901 del codice civile esprime la potenzialità di un atto a produrre un certo effetto e in questo senso  si tiene conto anche della percezione soggettiva del creditore che si sente pregiudicato,  la nuova disposizione sposta l’accento su un dato meno opinabile (il creditore che sia pregiudicato) ma che però  l’adozione di una procedura quale quella cennata dovrebbe disinnescare dall’origine. Infatti, come potrebbe dirsi oggettivamente pregiudicato il creditore cui venga  offerta la prova di una garanzia specifica?

In secondo luogo, la disposizione riguarda, sulla scia dell’articolo 2645 ter del codice civile, atti riguardanti beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, rimanendo pertanto l’apporto di  liquidità, estraneo all’ambito previsionale della norma.

Infine, per quanto riguarda la posizione del debitore, questi è legittimato a proporre opposizione, fra l’altro, allorquando possa contestare “la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore”. Appare evidente che tale contestazione risulta vincente al momento in cui il debitore possa fornire la prova di aver espletato la condotta che abbiamo illustrato.

Alcune sentenze accertano la nullità del trust, in un caso, T. Roma - 7 gennaio 2015,atteso che del bene conferito,  risultava comproprietario altro soggetto che non aveva intenzione di spogliarsene. Al riguardo la decisione suscita qualche perplessità essendo possibile il conferimento in trust anche della quota di un bene in modo da non modificare, fatto salvo il profilo soggettivo, la situazione in precedenza esistente. Il caso esaminato da T. Forlì - 20 febbraio 2015 riguarda, invece,  un trust liquidatorio che viene dichiarato nullo atteso che  lo stesso non perseguiva  alcuno scopo meritevole di tutela e che il suo programma negoziale era  insussistente. Il trust liquidatorio appariva inoltre  in contrasto con le norme in materia di liquidazione societaria senza contare inoltre che non apportava alcuna utilità aggiuntiva rispetto alla normale procedura di liquidazione, dando vita peraltro a un conflitto di interessi. La coincidenza, nella medesima persona, del guardiano e del beneficiario finale; l’esclusione di qualsiasi potere del guardiano di agire bei confronti del trustee; la strana clausola che attribuisce al beneficiario finale di revocare il guardiano e quindi di revocare sé stesso, appaiono ulteriori indizi a conferma di un scopo “recondito” rispetto allo scopo liquidatorio. Sempre in tema di trust liquidatorio, T. Pescara - 20 marzo 2015, omologa il concordato preventivo di una società la cui proposta prevedeva l’istituzione di un trust autodichiarato nel quale erano confluiti beni della società debitrice  e di un terzo. Il trustee era indicato nella persona dell’ amministratore della società, quale guardiano veniva designato il commissario giudiziale che sarebbe stato nominato, e, quale beneficiario, la massa dei creditori del concordato preventivo. Da segnalare che in questo caso si è scelta la forma del trust con beneficiari (la massa dei creditori) e non come trust di scopo, che rappresenta l’altra forma in cui si può dar vita a un trust liquidatorio. In questo senso esistevano già precedenti favorevoli al riconoscimento di un tal tipo di trust la cui meritevolezza si apprezza anche a seguito dell’apporto di beni di terzi per il soddisfacimento del ceto creditorio.

Di inesistenza parla invece il T. Monza, 13 maggio 2015 nei confronti di un trust autodichiarato ritenendo questo modo di istituzione di un trust, con la conseguente identità fra disponente e trustee,  contrastare con la regola donner et retenir ne vaut - contenuta nell’articolo 2 della Convenzione dell’Aja, senza però considerare che  il citato principio non si applica automaticamente al trust autodichiarato, ma in teoria a tutti i trust per cui  è comunque essenziale per  stabilire se la regola sia violata, non limitarsi allo schema astratto, ma far riferimento alle clausole dell’atto e all’esame dei poteri  in concreto riservati al disponente.

Concernono profili procedurali le pronunce di T. Milano - 6 maggio 2015 che dichiara la nullità di un precetto notificato dal trustee di un trust nei confronti della società convenuta, in quanto l’atto di precetto faceva  riferimento ad un titolo esecutivo ottenuto da altra società - che aveva trasferito l’intero patrimonio societario nel trust -  nei confronti della convenuta, e di T.Monza del 5 maggio 2015, che, nel dichiarare la giurisdizione del giudice italiano, afferma che la deroga contenuta nell’atto di trust in favore  dei tribunali di Jersey opera unicamente fra i soggetti del trust e non può vincolare soggetti terzi  rispetto al trust.

Infine, da ultimo, ma non per ultimo, ancora la Cassazione torna a far sentire la sua voce in materia.

Nel primo caso si tratta di una sentenza della III Sezione Penale del 15 aprile 2015 n. 15449, in cui la Corte  distingue opportunamente fra legittimità del trust in quanto tale  e scopo fraudolento da esso perseguito che viene riconosciuto nell’unica finalità di sottrarre il proprio patrimonio alla procedura di riscossione coattiva delle imposte evase.

Sempre all’interno di una situazione patologica, la II Sezione Penale del 16 aprile 2015, n. 15804, afferma che i beni apportati in un trust possono essere oggetto di sequestro laddove risulti che la perdita di controllo da parte del disponente imputato sia solo apparente in quanto tali beni sono rimasti nella sua effettiva disponibilità, non potendosi consentire né ammettere che il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico - come è il trust - sia sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico.

Infine la Corte di Cassazione, VI Sezione Civile - 23 giugno 2015 n. 1300 -, rigetta un ricorso dell’Agenzia delle entrate avverso una sentenza di una Commissione Tributaria Regionale che aveva applicato l’imposta in misura fissa a un trasferimento di diritti reali in un trust per difetto di autosufficienza non essendo stato specificato dall’Agenzia cosa sia stato costituito nei trust oggetto di contenzioso, quale sia lo scopo assegnato ai trust, chi sia stato designato come trustee e quali siano i beneficiari degli atti.

La lettura delle sentenze rese in questo scorcio dell’anno non evidenzia l’emersione di particolari profili di interesse né nella giurisprudenza di merito né in quella di legittimità. Se vogliamo cogliere un segnale, ci sembra di poter affermare che il cospicuo numero di revocatorie accordate rispetto alle declaratorie di nullità dimostra forse che ci si sta orientando a preferire la realizzazione di  una tutela più facile e immediata delle proprie ragioni piuttosto che scontrarsi su più impervie tesi (nullità) che si presentano sicuramente più radicali, ma di più complessa dimostrabilità. D’altro canto non si può negare che le situazioni sottostanti ai trust giustificano ampiamente la demolizione di atti che non avrebbero dovuto mai vedere la luce. C’è da augurarsi che di fronte  a questo preciso, e ormai costante, indirizzo giurisprudenziale si interrompa l’abusiva pratica del ricorso al trust per la grossolana tutela di posizioni illegittime e indifendibili.

Parte I

[1] In questo commento si riportano anche sentenze emesse nel primo trimestre dell’anno in corso, la cui pubblicazione è avvenuta nel trimestre successivo.