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Affido condiviso, le ragioni di un intervento normativo

Affido condiviso, le ragioni di un intervento normativo
Affido condiviso, le ragioni di un intervento normativo

Indice

1. La vicenda processuale

2. Criticità e possibilità di un percorso alternativo più corretto

3. Linee di indirizzo della riforma

 

Abstract

La Legge 8 febbraio 2006 n. 54 ha introdotto il regime dell’affido condiviso in caso di separazione dei genitori come regola generale. Ciononostante, come dimostrano i dati ISTAT 2015, la giurisprudenza non sembra essere andata oltre al mero dato formale del regime di responsabilità genitoriale, in nulla modificandosi il resto delle modalità (tempi, regime di mantenimento) applicative. Un percorso interpretativo maggiormente rispondente al diritto alla bigenitorialità del minore è possibile già alla luce del quadro normativo vigente, anche se, attesi i risultati, appare auspicabile una riforma sistematica e coerente della materia anche a partire da una più corretta terminologia.

Nonostante siano ormai trascorsi oltre dodici anni dall’approvazione della Legge 8 febbraio 2006 n. 54 in tema di affido dei figli in caso di separazione dei genitori, la questione può dirsi tutt’altro che pacificamente risolta.

Con una recente ordinanza, il Tribunale di Potenza (Prima Sezione Civile ordinanza 18 maggio 2018) ha risolto una controversia in tema di affido di una minore, ricorrendo al criterio desueto della maternal preference, di cui non v’è traccia nella novella del 2006.

 

1. La vicenda processuale

Per meglio comprendere quanto sia auspicabile un intervento del legislatore, vale la pena riassumere brevemente la vicenda.

Al termine di una convivenza da cui era nata una figlia, i genitori chiedono, tra le altre domande, l’affido congiunto della stessa con “collocazione” ognuno presso di sè e regolamentazione del “diritto di visita” dell’altro genitore e la sua condanna al pagamento di un assegno di mantenimento in favore del “collocatario”.

L’attività istruttoria, per quanto ne viene dato atto in motivazione, si limita alla semplice acquisizione di documenti.

Al termine di un’istruttoria così limitata, il Tribunale “tenuto conto della tenera età del minore” dispone l’affido condiviso mediante la “collocazione in via privilegiata presso la madre” e riconoscendo al padre una generica “facoltà di frequentazione” consistente in “visite” da concordarsi per modalità e durata con la madre fino al compimento del quarto anno e successivamente per due giorni a settimana senza pernottamento e due week-end con pernottamento al mese e durante le vacanze natalizie e pasquali e le ferie estive, ponendo altresì a suo carico il pagamento di un assegno mensile di € 350.

2. Criticità e possibilità di un percorso alternativo più corretto

La soluzione adottata appare poco soddisfacente e risulta opportuno formulare alcune considerazioni.

È indubbio che la peculiarità della vicenda sia rappresentata dal fatto che la minore abbia appena un anno di età.

Questo elemento, in sé importante, non appare tuttavia idoneo a rendere condivisibile la decisione del giudice.

È vero certamente che il dato normativo si limita al mero riconoscimento del principio di bigenitorialità, ovvero del diritto del minore ad un rapporto stabile e continuativo con entrambi i genitori, senza alcuna concreta indicazione sulle modalità di attuazione di tale diritto.

L’età del minore in sè non può dunque costituire il criterio discretivo per determinare le modalità con cui l’esercizio della funzione genitoriale possa in concreto esplicarsi in relazione all’interesse del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

Senza con ciò voler fare della sociologia spicciola, è innegabile che all’interno delle famiglie moderne non si rinviene più quella divisione dei ruoli genitoriali che esisteva anche solo quindici o venti anni fa.

Il punto di partenza di un percorso alternativo è indubbiamente rappresentato dagli articoli 29 e 30 della Costituzione e dagli articoli 143 e 147 del codice civile, i cui contenuti sul piano della parità di diritti e doveri tra genitori sono noti.

Coerentemente con ciò, la Legge n. 54/06 non contiene alcun elemento utile ad individuare una condizione “privilegiata” di un genitore rispetto all’altro.  

E’ innegabile, dunque, come all’interno di tale perimetro normativo non si rinvengano elementi utili a giustificare una qualche differenza nelle modalità di esercizio della funzione genitoriale tra i genitori.

Il passaggio successivo è, evidentemente, rappresentato dall’articolo 337-ter codice civile, comma 1 che, com’è noto, riconosce il diritto del minore alla bigenitorialità ricavandolo direttamente dalla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo del 1999 (ratificata con Legge 27 maggio 1991 n. 176).

Se, da un lato, l’articolo 8 della citata Convenzione garantisce il diritto del minore a “preservare le sue relazioni familiari”, dall’altro, il successivo articolo 9 ammette la possibilità di una separazione solo ove questa sia “necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”.

Il diritto all’integrità delle relazioni familiari è dunque sganciato da qualunque soglia di età del minore ed ammette limitazioni solo in caso di necessità, ovvero laddove ricorra una condizione che non ammette alternative e che impone di sacrificare un interesse per salvaguardarne un altro ritenuto maggiormente meritevole di tutela.

Relazioni familiari la cui integrità, occorre pure ricordare, sono tutelate all’articolo 8 della CEDU che vieta ogni forma di “ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge”.

A fronte di un quadro normativo così strutturato appare evidente l’asfitticità della formula utilizzata dal Tribunale per motivare la scelta di ritenere “privilegiato” un genitore piuttosto che l’altro.

Altrettanto incomprensibile appare la scelta di fissare una soglia (compimento del quarto anno) a partire dalla quale il minore potrà pernottare presso il padre.

Viene infatti da chiedersi perché ciò possa avvenire a partire dal compimento del quarto anno e non del quinto o del secondo anno? E perché non dal sesto o dal terzo?

È indubbio che le indicazioni normative sopra richiamate non consentano di andare oltre l’espresso divieto di distinguere nell’adempimento dei compiti di cura, educazione, istruzione e mantenimento a seconda del sesso dei genitori o dell’età del minore, e tuttavia appare evidente che, al fine di evitare scelte poco ponderate sul piano logico-giuridico, sarebbe stato preferibile che il Tribunale, proprio in ragione della delicatezza degli interessi in gioco, avesse seguito un approccio di tipo scientifico evitando di ricorrere a convincimenti personali o legati all’emotività o, peggio, ad inconfessati ed inconfessabili, pregiudizi di genere.

E, così, ad esempio sarebbe stato più corretto seguire le indicazioni contenute nella Risoluzione del Consiglio d’Europa 2079/2015, adottata anche con il voto favorevole dell’Italia, che - sulla scorta di ben 76 studi scientifici compiuti tra il 1977 ed il 2014 e che hanno visto coinvolti centinaia di migliaia di minori in tutto il mondo – ha riconosciuto che “In ambito famigliare, l'uguaglianza dei genitori deve essere garantita e promossa dalla nascita del figlio…. Il ruolo di vicinanza padri ai loro figli, fin da quando sono piccoli, deve essere maggiormente riconosciuto e valorizzato. La corresponsabilità parentale implica che i genitori abbiano nei confronti dei loro figli diritti, doveri e responsabilità…. Lo stare insieme costituisce un elemento essenziale della vita famigliare per un genitore e il proprio figlio. La separazione tra un genitore e il figlio ha effetti irrimediabili sulla loro relazione. Solo circostanze eccezionali e particolarmente gravi dovrebbero contro l’interesse del bambino dovrebbero poter giustificare una separazione, stabilita da un giudice”.

A fronte di una così chiara affermazione appare evidente come non si potrà più fare ricorso al mero dato anagrafico per regolamentare le modalità di esercizio della funzione genitoriale in caso di separazione dei genitori, se non a costo di continuare a giustificare immotivati pregiudizi di genere, purtroppo diffusi nella giurisprudenza italiana.

Vale infatti la pena ricordare che secondo l’ISTAT “A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della Legge 54/2006 è possibile verificare…che, ad eccezione della drastica diminuzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo. In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione. Ci si attendeva, infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento, dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015; questa proporzione, nel 2015, raggiunge il 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Per quanto riguarda le disposizioni economiche, infine, non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano disposto il mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell’assegno: la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre si mantiene nel decennio stabile (94% del totale delle separazioni con assegno)”.

3. Linee di indirizzo della riforma

Una riforma tradita dunque, sulla quale l’attuale maggioranza di governo s’è impegnata ad intervenire e che non potrà che ruotare attorno al perno del diritto del minore ad un rapporto stabile e continuativo con entrambi i genitori ed i relativi rami parentali.

Partendo dalla previsione di nuove regole processuali maggiormente coerenti con l’interesse del minore troppo spesso sacrificato sull’altare degli interessi economici degli adulti.

Passando per una definizione della funzione genitoriale più rispettosa del dato normativo primario ed internazionale attraverso la necessaria adozione di un piano genitoriale che disciplini, in modo paritario, tempi e modalità di assolvimento dei compiti di cura, educazione ed istruzione a carico di ciascun genitore dopo la separazione.

Superando modalità di mantenimento come quelle attuali, deresponsabilizzanti e diseducative, incentrate sugli interessi economici delle parti in giudizio e che pongono in secondo piano la funzione genitoriale, unica vera ragione dell’intervento dello Stato in siffatta materia.