Assedio di Torino, 7 settembre 1706: il minatore e il principe
Se c’è un uomo che incarna la rivalità con la Francia e i francesi questo è il Principe Eugenio di Savoia-Carignano la cui vita fu interamente spesa nelle armi al servizio della casa d’Asburgo, nonostante egli fosse intriso di cultura francese. Se c’è un uomo che incarna le virtù del soldato questi è Pietro Micca, minatore dell’esercito sabaudo.
Vediamo come la vita del principe e del soldato si incrociarono alla fine dell’estate del 1706 a Torino.
Il contesto storico è la guerra successione spagnola. Il quadrante che ci interessa è l’Italia nord occidentale, in particolare la zona di Torino, stretta d’assedio dall’esercito del Re Sole, Luigi XIV. Il Duca Vittorio Amedeo II infatti si è alleato alla casa d’Austria.
Torino è assediata dal 13 maggio e completamente isolata da fine giugno. L’esercito francese conta circa 45.000 uomini, oltre 100 cannoni e 59 mortai. Torino è difesa da circa 10.000 e dalla milizia cittadina. La difende il generale austriaco Daun da quando Vittorio Amedeo II ha lasciato la città.
Il soccorso giunge il cugino Eugenio al comando di un esercito di circa 30.000 imperiali, sovvenzionato dagli inglesi, acerrimi nemici della Francia.
Ne eran passati di anni da quando il giovane Eugenio nel febbraio del 1683 aveva annunciato che alla carriera ecclesiastica preferiva quella militare. L’improvvido rifiuto di Luigi XIV, che fosse motivato da maldicenze di palazzo o dal poco rassicurante fisico di Eugenio (piccolo e mingherlino), consegnò all’Imperatore Leopoldo e agli Asburgo d’Austria il miglior e più coraggioso comandante dell’epoca, il riformatore dell’esercito e l’uomo eccezionalmente onesto e fedele. Fedeltà e generosità sono anche le doti di Pietro Micca, umile uomo d’armi la cui vita non sarebbe mai stata ricordata tra le pieghe della storia se non fosse per il gesto eroico.
Torino dunque è assediata e tra il 29 agosto e il 30 agosto 1706 c’è il rischio che in una galleria ai granatieri francesi riesca un colpo di mano importante (anche se molti storici giudicano non decisivo): minare la Mezzaluna del Soccorso, una parte della fortificazione della Cittadella di Torino. Pietro Micca e un commilitone si avvedono del tentativo e Pietro Micca sacrifica la propria vita – e salva quella del compagno – facendo volontariamente saltare in aria il tratto di scala dal quale i granatieri francesi tentano di passare. Il tentativo fallisce.
Sempre il 29 agosto Eugenio ha raggiunto a Carmagnola il cugino Vittorio Amedeo II che lo attende con un piccolo contingente.
Il 2 settembre i due, dalla collina di Superga, sulla quale Vittorio Amedeo farà poi erigere la Basilica a ringraziamento della vittoria conseguita (e scioglimento del voto fatto davanti alla statua della Madonna delle Grazie), osservano il campo di battaglia e Eugenio, forse creduto per mezzo matto, afferma che i francesi gli sembrano già sconfitti a metà, avendo osservato che sono impreparati, da assediati, a subire un attacco, in specie in un punto preciso, nel settore tra la Dora e la Stura.
E così è: vittoria, austro-piemontese, assedio tolto, ritiro disordinato dei francesi, Torino salva.
All’epoca del web non possiamo immaginare come correvano le notizie e che tipo di accoglienza avevano.
“La marcia di Eugenio attraverso l’Italia settentrionale aveva tenuto sui carboni ardenti per tutta l’estate il pubblico dei lettori nei Paesi alleati; aver sconfitto un esercito francese molto più numeroso e liberato Torino provocarono una grande esplosione pubblica di entusiasmo, in particolare in Inghilterra. Marlborough ne fu felice perché, sebbene la vittoria di Eugenio mettesse in ombra il suo successo di Ramillies, nessuno aveva lavorato più di lui per la liberazione di Torino. Scrisse a sua moglie: «Mi è impossibile esprimere la gioia che mi ha dato, perché non solo ho la massima stima del principe, ma provo per lui un vero affetto». Da parte sua Eugenio riconobbe prontamente che la vittoria era stata possibile solo grazie al denaro inglese” [Derek McKay, Eugenio di Savoia, SEI, Collana Sestante, 2003 p.120].
Per la cronaca, il Santuario, affidato all’architetto messinese Filippo Juvarra, è inaugurato nel 1731 quando Vittorio Amedeo ha il titolo di Re (prima di Sicilia poi di Sardegna), coronando un sogno della dinastia la cui ascesa era iniziata quando Amedeo VIII di Savoia era stato insignito del titolo di Duca da Sigismondo del Lussemburgo, come ci ricorda l’Archivio di Stato di Torino illustrando la pergamena del 9 febbraio 1416. Lo stesso Santuario è testimone della tragedia del Grande Torino il 4 maggio 1949, il cui aereo vi si schianta riportando in patria da Lisbona (partita con il Benfica) la squadra, la cui storia entra direttamente nel mito.
La storia, le storie.