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Avvocato Generale UE: maternità surrogata, congedo in forse

In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia in tema di diritto al congedo retribuito per le madri affidatarie per effetto di un contratto di maternità surrogata, è opportuno rilevare come discordanti siano i pareri dei diversi avvocati generali.

L’Avvocato Nils Wahl, nella conclusione del 26 settembre, giunge ad una conclusione diametralmente opposta a quella della collega Juliane Kokott nella causa C- 167/12, presentata lo stesso giorno dinanzi alla medesima Corte.

Affrontando le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice irlandese, l’Avvocato sostiene che l’attuale normativa comunitaria non permette di dedurre in capo alla madre affidataria alcun diritto al congedo retribuito. Ciò in forza dell’inapplicabilità delle direttive 2006/54 e 2000/78 aventi ad oggetto la parità di trattamento in ambito lavorativo.

Secondo l’Avvocato l’ipotesi di diniego del congedo di maternità non può essere interpretata quale forma di discriminazione basata sul sesso. Pertanto è inapplicabile la direttiva 2006/54, riguardante il principio di pari opportunità e della parità di trattamento uomo-donna.

L’Avvocato ritiene che nella fattispecie oggetto dell’istanza di rinvio non si può ravvisare un trattamento sfavorevole legato a fattori di genere, in primo luogo tenuto conto della ratio sottesa alla direttiva 92/85 e al considerando 14, ossia accordare protezione alla madre lavoratrice in forza del particolare stato di vulnerabilità durante la gravidanza ovvero alla relazione madre-figlio (a parere dell’Avvocato Wahl soltanto nel contesto del parto e dell’allattamento) nonché al fine di facilitare il suo reintegro professionale a conclusione del periodo di congedo.

Nel caso di specie non si rinviene questo particolare stato di necessità e pertanto estendere il congedo retribuito alla affidataria porterebbe solo ad una contraddizione: le affidatarie di un figlio avuto per effetto di una maternità surrogata potranno godere di tale diritto, mentre non si potrà dire lo stesso per le lavoratrici madri adottive o per quei padri che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata o altro.

Inoltre non si può sostenere tale tipo di discriminazione in quanto il trattamento meno favorevole lamentato dalla affidataria non è dovuto al fatto di aver condotto una gravidanza, bensì in relazione al fatto di essere un genitore. La disparità di trattamento è generata quindi dal rifiuto da parte dello Stato membro di assimilare la situazione della madre affidataria a quella della puerpera o madre adottiva.

Alla luce di tali considerazioni, risulta inapplicabile la direttiva 2006/54 perché l’estensione del congedo alla lavoratrice madre affidataria sarebbe contrario allo stesso principio di pari opportunità uomo-donna. Diversamente, ovvia sarà la discriminazione in capo agli uomini che diventino padri e si occupino a tempo pieno del figlio, nonché una distinzione dei sessi che non sia riferita a “specifiche limitazioni fisiche e mentali connesse alla gravidanza e al parto comporterebbe, inoltre, un giudizio di valore sulla differenza qualitativa tra la maternità in contrapposizione alla qualità di genitore in generale”.

Allo stesso modo è inapplicabile la direttiva 2000/78 a tutela della parità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap, in quanto il diniego del congedo non configura una discriminazione basata sulla disabilità. L’Avvocato, abbracciando l’accezione di disabilità adottata dalla Corte, in senso funzionale, quale patologia che pregiudica la partecipazione alla vita professionale, afferma che l’incapacità di procreare non può considerarsi fattore ostativo all’attività lavorativa.

In aggiunta, a parere dell’Avvocato, anche laddove la Corte sia favorevole all’applicazione di quest’ultima direttiva, dalla lettura dell’articolo 5 in combinato disposto con il considerando 20, non sembra si possa delineare in capo al datore di lavoro un generale obbligo di congedo retribuito.

Tenuto conto che questi deve adottare misure che facilitino ai disabili l’accesso e la partecipazione all’attività professionale, in un’ottica di <<soluzione ragionevole>> in termini di costi e di bilanciamento degli interessi coinvolti, non pare che la possibilità di assentarsi dal lavoro sia corollario necessario per consentire alla affidataria la prosecuzione dell’attività lavorativa. Infatti, a differenza della riduzione dell’orario lavorativo accompagnata dal decremento della remunerazione quale soluzione ragionevole, tale misura pare rispondere al solo interesse del lavoratore, in quanto non è garantito che una volta adottato tale accomodamento il lavoratore disabile continui a partecipare alla professione.

A sostegno di tale conclusione e interpretazione della normativa comunitaria, l’Avvocato Generale sottolinea che la definizione della disciplina applicabile ai casi di maternità surrogata e alle questioni etiche analoghe, non spetti tanto alla Corte mediante un’interpretazione estensiva delle norme, bensì attraverso un procedimento legislativo ad opera degli stati membri e/o del legislatore europeo. 

(Avvocato Generale – Nils Wahl, Conclusioni presentate il 26 settembre 2013 nella Causa C 363/12: Politica sociale – Maternità surrogata – Diritto a congedo retribuito equivalente al congedo per maternità o per adozione – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento tra uomini e donne – Sfera di applicazione – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Ambito di applicazione – Nozione di disabilità – Partecipazione alla vita professionale – Articolo 5 – Obbligo di soluzione ragionevole)


 

In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia in tema di diritto al congedo retribuito per le madri affidatarie per effetto di un contratto di maternità surrogata, è opportuno rilevare come discordanti siano i pareri dei diversi avvocati generali.


L’Avvocato Nils Wahl, nella conclusione del 26 settembre, giunge ad una conclusione diametralmente opposta a quella della collega Juliane Kokott nella causa C- 167/12, presentata lo stesso giorno dinanzi alla medesima Corte.

Affrontando le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice irlandese, l’Avvocato sostiene che l’attuale normativa comunitaria non permette di dedurre in capo alla madre affidataria alcun diritto al congedo retribuito. Ciò in forza dell’inapplicabilità delle direttive 2006/54 e 2000/78 aventi ad oggetto la parità di trattamento in ambito lavorativo.

Secondo l’Avvocato l’ipotesi di diniego del congedo di maternità non può essere interpretata quale forma di discriminazione basata sul sesso. Pertanto è inapplicabile la direttiva 2006/54, riguardante il principio di pari opportunità e della parità di trattamento uomo-donna.

L’Avvocato ritiene che nella fattispecie oggetto dell’istanza di rinvio non si può ravvisare un trattamento sfavorevole legato a fattori di genere, in primo luogo tenuto conto della ratio sottesa alla direttiva 92/85 e al considerando 14, ossia accordare protezione alla madre lavoratrice in forza del particolare stato di vulnerabilità durante la gravidanza ovvero alla relazione madre-figlio (a parere dell’Avvocato Wahl soltanto nel contesto del parto e dell’allattamento) nonché al fine di facilitare il suo reintegro professionale a conclusione del periodo di congedo.

Nel caso di specie non si rinviene questo particolare stato di necessità e pertanto estendere il congedo retribuito alla affidataria porterebbe solo ad una contraddizione: le affidatarie di un figlio avuto per effetto di una maternità surrogata potranno godere di tale diritto, mentre non si potrà dire lo stesso per le lavoratrici madri adottive o per quei padri che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata o altro.

Inoltre non si può sostenere tale tipo di discriminazione in quanto il trattamento meno favorevole lamentato dalla affidataria non è dovuto al fatto di aver condotto una gravidanza, bensì in relazione al fatto di essere un genitore. La disparità di trattamento è generata quindi dal rifiuto da parte dello Stato membro di assimilare la situazione della madre affidataria a quella della puerpera o madre adottiva.

Alla luce di tali considerazioni, risulta inapplicabile la direttiva 2006/54 perché l’estensione del congedo alla lavoratrice madre affidataria sarebbe contrario allo stesso principio di pari opportunità uomo-donna. Diversamente, ovvia sarà la discriminazione in capo agli uomini che diventino padri e si occupino a tempo pieno del figlio, nonché una distinzione dei sessi che non sia riferita a “specifiche limitazioni fisiche e mentali connesse alla gravidanza e al parto comporterebbe, inoltre, un giudizio di valore sulla differenza qualitativa tra la maternità in contrapposizione alla qualità di genitore in generale”.

Allo stesso modo è inapplicabile la direttiva 2000/78 a tutela della parità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap, in quanto il diniego del congedo non configura una discriminazione basata sulla disabilità. L’Avvocato, abbracciando l’accezione di disabilità adottata dalla Corte, in senso funzionale, quale patologia che pregiudica la partecipazione alla vita professionale, afferma che l’incapacità di procreare non può considerarsi fattore ostativo all’attività lavorativa.

In aggiunta, a parere dell’Avvocato, anche laddove la Corte sia favorevole all’applicazione di quest’ultima direttiva, dalla lettura dell’articolo 5 in combinato disposto con il considerando 20, non sembra si possa delineare in capo al datore di lavoro un generale obbligo di congedo retribuito.

Tenuto conto che questi deve adottare misure che facilitino ai disabili l’accesso e la partecipazione all’attività professionale, in un’ottica di <<soluzione ragionevole>> in termini di costi e di bilanciamento degli interessi coinvolti, non pare che la possibilità di assentarsi dal lavoro sia corollario necessario per consentire alla affidataria la prosecuzione dell’attività lavorativa. Infatti, a differenza della riduzione dell’orario lavorativo accompagnata dal decremento della remunerazione quale soluzione ragionevole, tale misura pare rispondere al solo interesse del lavoratore, in quanto non è garantito che una volta adottato tale accomodamento il lavoratore disabile continui a partecipare alla professione.

A sostegno di tale conclusione e interpretazione della normativa comunitaria, l’Avvocato Generale sottolinea che la definizione della disciplina applicabile ai casi di maternità surrogata e alle questioni etiche analoghe, non spetti tanto alla Corte mediante un’interpretazione estensiva delle norme, bensì attraverso un procedimento legislativo ad opera degli stati membri e/o del legislatore europeo. 

(Avvocato Generale – Nils Wahl, Conclusioni presentate il 26 settembre 2013 nella Causa C 363/12: Politica sociale – Maternità surrogata – Diritto a congedo retribuito equivalente al congedo per maternità o per adozione – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento tra uomini e donne – Sfera di applicazione – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Ambito di applicazione – Nozione di disabilità – Partecipazione alla vita professionale – Articolo 5 – Obbligo di soluzione ragionevole)