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Awards legali: il labile confine tra il conferimento di premi e le violazioni del codice deontologico

colori vivaci
Ph. Sara Caliolo / colori vivaci

Il problema dell’assegnazione dei c.d. “awards”, ovverosia i premi ai migliori studi legali afferenti una determinata specializzazione.

Il confine tra liceità e possibili violazioni del codice deontologico.

 

Awards legali: cosa sono e come si ottengono

Nel linguaggio corrente, con l’espressione “awards legali” si fa riferimento ai premi riservati ai migliori avvocati dell’anno in ogni ramo dello scibile giuridico.

In primis, è di lapalissiana evidenza, come spesso alla base di questi riconoscimenti non vi siano valutazioni relative al merito, ovverosia nessuno che ponga al vaglio, in maniera obiettiva, attuale o concreta la meritevolezza dell’operato dello studio legale insignito, neppure comparandola con l’operato degli altri professionisti, quantomeno per garantirne una parvenza di concorrenzialità tra specialisti del settore.

Ciò nondimeno, non bisogna tralasciare che gli atti redatti nell’ambito del contenzioso sono - pacificamente- riservati tanto quanto i pareri, la corrispondenza e più in generale l’attività stragiudiziale e pertanto, non si comprende attraverso quali logiche potrebbe essere operata una qualsivoglia valutazione di meritevolezza per il conferimento dell’award ad un determinato studio legale.

Rebus sic stantibus, ciò che nella prassi avviene con assoluta frequenza è nulla più che una “caccia” al sito internet, alla pagina social più cliccata od ancora alla capacità del professionista di comparire su qualche testata giornalistica e quindi contattarlo, per comunicare, con tutti i crismi e la pomposità dal caso richiesta, di essere lo studio legale che ha primeggiato in una determinata materia, nel corso dell’anno, millantando lo svolgimento di una accuratissima indagine, nella stragrande maggioranza dei casi, mai iniziata.

Dopo aver suscitato l’interesse del destinatario, vengono rappresentate le modalità attraverso cui avverrà la consegna dell’ambitissimo award: mediamente, una cena di gala con tanto di filmato da conservare ad eterna memoria e “free entry”.

 

Awards legali: attenzione a non violare il codice deontologico

Sovente, per altro, capita che allo studio vincitore dell’award vengano fatte delle richieste, ovvero indicare la vicenda o il cliente rispetto al quale si è stati particolarmente proattivi e al quale ci si è dedicati in maniera certosina.

É questo il momento controverso della vicenda, quello in cui il professionista acclamato commette un’operazione che lo indirizza sul terreno sdrucciolevole del confine tra pubblicità concessa e illecito disciplinare.

L’avvocato vincitore dell’award diffonde, al fine di giustificare l’assegnazione del premio, il nominativo dei clienti assistiti e le relative vicende giudiziarie.

Pertanto, alla luce del succitato meccanismo per il conferimento dell’award, è difficile pensare che il contegno posto in essere dai legali che sono parte attiva in questo tipo di riconoscimenti non possa integri una reiterata violazione delle norme deontologiche.

Emerge con lapalissiana evidenza, la sussistenza della violazione dell’art. 17 del Codice deontologico, avuto riferimento alla previsione che le informazioni che l’avvocato può diffondere pubblicamente siano trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.

In altre parole, l’informazione è lecita se riguarda soltanto l’attività professionale dell’avvocato, la sua organizzazione e struttura di studio, sue eventuali specializzazioni e titoli scientifici.

Niente altro.

I principi di riferimento per valutare la correttezza di tale informazione sono gli stessi che caratterizzano il Codice di autodisciplina nella comunicazione commerciale.

Alla luce della predetta normativa, ci sarebbe già molto da dover argomentare in ordine all’informazione diffusa attraverso cui si comunica che un dato avvocato deve essere insignito del premio di miglior legale dell’anno in un certo settore specialistico, atteso che - secondo quanto predetto- la comunicazione potrebbe difettare dei requisiti di cui sopra.

Ulteriore e doveroso riferimento è quello all’art. 35 dello stesso Codice deontologico, laddove prevede che nelle informazioni al pubblico avvocato non debba indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, anche nel caso in cui vi sia l’assenso degli stessi.

Spesso, in effetti, il conferimento dell’award avviene sulla base di una logica pubblicitaria ingannevole, avuto riguardo al maggior numero di condivisioni e/o diffusioni della vicenda giudiziaria sulla stampa o sui social.

Ordunque, non siamo certo un paese di common law, dove i principi non scritti permettono all’avvocato di avvalersi di forme di comunicazione su larga scala, meno controllate e assolutamente lecite (basti pensare a come viene descritta la figura del legale dall’esorbitante numero di legal drama che popolano i più variegati servizi di streaming!).

La tradizione e, vieppiù, la cultura giuridica del nostro Paese è sicuramente più severa, più rigorosa, per alcuni professionisti non più connessa e adeguata agli sviluppi del mercato e, soprattutto, con le novità introdotte dalla rivoluzione della comunicazione via web.

Oggi il principio informatore del Codice Deontologico della professione forense è basato sulla legittimità di una informazione sobria dei dati relativi all’avvocato in un perimetro molto ristretto e tassativo “del che cosa si possa dire” e sulla illegittimità di tutte le forme di pubblicità o promozione delle attività legali connesse con la professione  forense, indipendentemente dal media utilizzato (art. 1 comma 3 del Codice Deontologico), al fine di tutelare l’affidamento della collettività verso gli avvocati contro storture, scorrettezze, disinformazioni e false comunicazioni messe in atto dagli iscritti all’albo.

Facendo seguito, dunque, al rapporto di esclusività, affidabilità ed al patto orientato alla riservatezza del rapporto tra il professionista ed il proprio assistito, emerge con straripante chiarezza come - nel conferimento degli awards - giochi un ruolo rilevante il principio di concorrenza, spesso sleale.

In effetti, l’avvocato dovrebbe porre molta attenzione a non acquisire dei clienti con delle modalità non conformi alla correttezza e al decoro e quindi travalicare il principio, espresso chiaramente dall’art. 37 del codice deontologico, del divieto di accaparramento di clientela.

 

Awards legali: ammessi oppure no?

Sì, gli awards legali sono ammessi.

In effetti, secondo opinioni condivise, non è l’award in sé a creare dissidio quanto piuttosto le modalità di assegnazione e conseguentemente, la pubblicità che, del predetto conferimento, viene fatta sui canali di comunicazione.

Orbene, sono da considerarsi leciti e ammessi tutti quegli awards conseguiti nel rispetto della trasparenza, riservatezza e serietà; soprattutto, allorquando non venga rivelata alcuna informazione riguardante il profilo ed la vicenda afferente la clientela del professionista premiato.

Pertanto, la consegna degli awards è da considerarsi attività perfettamente lineare in tutti i casi in cui venga svolta a titolo gratuito e ancora, se organizzata dagli organismi di categoria, ancorché pubblicizzata sui principali mezzi di telecomunicazione.

L’iter che ha portato alla definizione delle predette linee guida nella consegna degli awards è il risultato di una serie di diatribe sollevate dinanzi agli organi competenti.

In primis, il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Milano che ha puntato il dito sulla pubblicazione di post su canali social, nei quali si parla dell'assegnazione di premi qualificanti capacità professionali in singoli campi di operatività e soprattutto si fa menzione degli incarichi svolti e dei nomi dei clienti.

Il CDD milanese, infatti, accertava come talvolta gli studi legali pagassero le società che diffondono i post e ha aggiunto di avere appurato che gli stessi avvocati diffondono i post usando la funzione “condivisione”, messa a disposizione dalla rete sociale, perpetrando non solo una violazione del Codice deontologico ma anche del diritto alla riservatezza dei clienti coinvolti.

Sulla falsariga delle note del Consiglio Distrettuale di Disciplina del capoluogo lombardo, anche l’istruttoria avviata dall’Ordine degli Avvocati di Palermo, volta a verificare le modalità di erogazione degli awards e gli eventuali illeciti specificatamente nelle situazioni in cui il premio non è il risultato di valutazioni oggettive, quanto piuttosto addirittura collegato a un accordo economico con la società che li assegna.

Diversamente dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Milano, l'ordine di Palermo ha tentato di contattare alcuni organizzatori di manifestazioni di conferimento di awards, senza averne riscontro alcuno.

Pertanto, l'avviso alle toghe palermitane di voler avviare controlli sui riconoscimenti e gli awards legali, all’esito dei quali si riservava di procedere all’eventuale apertura di procedimenti disciplinari, prospettando anche profili di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole, tanto da spingersi ad inoltrare la nota de qua anche all’Antitrust.

Nel frattempo, l'Ordine di Palermo ha invitato gli avvocati ad astenersi dal dare divulgazione di awards legali ottenuti difettando di qualsivoglia valutazione delle capacità professionali operata da soggetti istituzionalmente autorizzati.

Alla luce di questo pacchetto di norme e di orientamenti, specificatamente dedicate a disciplinare i rigorosi limiti dell’attività dell’avvocato, i Consigli dell’Ordine e il Consiglio Nazionale Forense devono provvedere - con assoluta indispensabilità - ad individuare una strada interpretativa unitaria, corredata da sanzioni ad hoc, che, coerentemente con lo sviluppo delle nuove tecnologie, dell’affermarsi di una stampa di categoria e dei sempre più numerosi awards legali, permetta agli iscritti all’albo di sapere con una ragionevole certezza che cosa sia lecito e che cosa no, in un mondo della comunicazione che è sempre più protagonista di una rivoluzione copernicana.