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Calcio e trust: possibili collegamenti

Nuvole
Ph. Erika Pucci / Nuvole

Si è parlato molto qualche giorno fa, a proposito del calcio, della creazione, poi naufragata, di una superlega composta dai più blasonati club in Europa che avrebbe dovuto dar vita a un campionato a parte nell’ottica di offrire uno spettacolo di elevato contenuto tecnico, ma, forse soprattutto, per accedere a un flusso di capitali particolarmente ingente.

Come è noto, il progetto non ha avuto seguito, ma, oltre a essersi attirato critiche da quasi ogni ambiente, ha portato a emergenza due problemi, uno dei quali almeno, la superlega prometteva di risolvere: quello cioè rappresentato dal “mostruoso” indebitamento del sistema calcio e segnatamente quello dei club più interessati al progetto.

Questo dell’indebitamento è una delle criticità che il sistema calcio presenta mentre l’altro, rappresentato dagli altrettanto “mostruosi” costi del parco giocatori, dei loro ingaggi e dei compensi di coloro che intorno a questo mercato ruotano, non veniva preso in considerazione anche se costituisce un aspetto sul quale, e non solo per intenti moralistici, un intervento apparirebbe ugualmente necessario.

Nei confronti della superlega, una componente rilevantissima, e alla fine decisiva, è stata rappresentata dalla reazione fortemente negativa che, indistintamente, i tifosi dei club coinvolti hanno assunto nei confronti di questo progetto sia per non vedere declassato questo sport a un fenomeno di mero spettacolo, sia per ragioni di attaccamento alla maglia.

Questo dei tifosi e della loro partecipazione alla vita delle squadre è un altro tema, che, anche se emerso tangenzialmente in questa circostanza, rappresenta tuttavia un altro snodo cruciale in materia.

Il mondo del calcio interessa, a vario titolo, una vastissima platea di persone nel mondo, ma la struttura proprietaria delle società sportive che vi operano è fortemente concentrata per lo più nelle mani di una sola persona o di società riconducibili a una persona o a una famiglia.

La FIGC (Federazione Gioco Calcio) si era fatta promotrice qualche anno fa, insieme, fra gli altri, al Ministero dell’Interno e al CONI, di un’iniziativa – che non ha avuto poi, a quanto pare, almeno per ora, ulteriori sviluppi - tesa a incidere sulla struttura proprietaria dei club al fine di garantire una presenza non meramente simbolica dei tifosi nella governance delle società con l’obiettivo di democratizzare la gestione, e di tentare il contenimento delle frange più turbolente.

Nelle squadre di maggior seguito, sia in Europa che in Italia, infatti, le tifoserie sono organizzate in larga parte sotto l’egida di associazioni di “ultrà” difficilmente controllabili, spesso portatori di ideali poco sportivi, e causa di fenomeni ben conosciuti di teppismo e di violenza all’interno e fuori dagli stadi. In ogni caso sono rigorosamente distanti dalla gestione delle società anche se possono indirettamente esercitare una non trascurabile pressione sulle stesse, risultando peraltro disinteressati rispetto a un coinvolgimento diretto nelle politiche societarie ovvero all’acquisizione di un ruolo all’interno delle stesse.

Il progetto, di cui si diceva, dettato dalla volontà di riuscire a integrare le tifoserie, e di coinvolgerle maggiormente, e in modo più responsabile, nella vita societaria è stato affrontato in Europa, attraverso il coinvolgimento dei supporters nella gestione della società attraverso l’acquisizione da parte delle associazioni di tifosi, di quote di proprietà delle stesse.

Queste associazioni sono definite come “Supporter trust” anche se con il trust in quanto tale nulla hanno a spartire dato che si tratta di vere e proprie strutture con una base societaria molto diffusa. I tifosi si aggregano in una forma di public company o di cooperativa, vanno a comporre l'assemblea generale che esprime il consiglio direttivo del club, al vertice del quale vi è il presidente, che – per esempio in Spagna – ha funzioni di garanzia nel caso il bilancio dovesse chiudersi in disavanzo.

Più in generale, gli scopi che queste “associazioni” si prefiggono possono essere così riassunti:

  • incoraggiare il consiglio dirigente del Club a tener conto degli interessi di tutti i tifosi (sia residenti nei confini nazionali che all'estero) e della comunità locale (imprese locali, residenti, autorità ecc) quando si prendono decisioni che hanno un impatto su di loro; 
  • coinvolgere attivamente e professionalmente tutte le parti interessate su temi legati al club; 
  • agire come mezzo di comunicazione tra i tifosi e la dirigenza del club;
  • incentivare discussioni su tematiche rilevanti da presentare all'attenzione del club;
  • collaborare con istituzioni e altri Supporters Trust su questioni come prezzi dei biglietti, orari dei match e ogni aspetto legato al tifoso;
  • acquistare quote del Club.

Obiettivo dell’assetto societario come sopra delineato, è quello di garantire al club una certa stabilità economica, senza problemi di continui cambi di proprietà o strumentalizzazioni da parte dei presidenti. Solitamente forte è anche il legame con il territorio, che si identifica molto in realtà sportive di questo genere (l'esempio del Barcellona è eclatante: il club blaugrana fa parte a pieno titolo, anzi rappresenta molto dell'identità catalana).

Diversi club di primissimo piano sono organizzati sul modello dell'azionariato popolare, in tutto o in parte, nella consapevolezza che questo rappresenti un decisivo fattore di crescita e di reddittività. Fra gli esempi più significativi, oltre al Barcellona e l'Espanyol, il Real e l'Atletico Madrid; il Bayern Monaco, il Werder Brema e l'Amburgo; lo Sporting Lisbona e il Benfica.

In Inghilterra sono presenti quasi 200 trust che sono promotori di questa tipologia di gestione societaria e operano i Supporters Direct  che lavorano per incrementare la cultura dell'azionariato popolare nei club di calcio e per aiutare sotto ogni profilo quelle tifoserie che hanno intenzione di unirsi per intraprendere questo progetto.

Il riferimento al trust ci impone un approfondimento al riguardo: come appena accennato si tratta non tanto di trust, come li conosciamo, ma di strutture rientranti nell’ambito delle Unincorporated association, figure che definiscono quello che noi intendiamo per associazioni non riconosciute. Tali realtà presentano queste caratteristiche:

riguardano due o più persone che si associano per uno scopo loro comune, di natura non commerciale;

hanno diritti e doveri reciproci al loro interno che derivano dagli accordi intervenuti;

sono dotate di uno statuto che disciplina la vita e le regole dell’associazione;

ciascuno e libero di associarsi e di dimettersi quando lo ritenga.

Sono associazioni sfornite di personalità giuridica e non rappresentano quindi un’entità separata da coloro che ne fanno parte cosicché le proprietà eventualmente acquisite non sono proprietà dell’associazione, ma dei suoi componenti. In queste ipotesi, accade sovente che siano nominati all’interno dell’associazione alcuni soci che diventano proprietari, come trustees, a vantaggio dei componenti dell’associazione (inward-turning), ovvero anche per il conseguimento di alcuni scopi. Quando tali scopi hanno una connotazione politica, per esempio, possono riguardare anche coloro che all’associazione non siano iscritti (outward-turning). Sotto un profilo giuridico, problemi più complessi sorgono nel caso di donazioni effettuate a una unincorporated association, ovvero per la destinazione dei beni in caso di scioglimento della stessa.

Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo avuto esempi di aggregazione organizzata da parte dei tifosi in almeno tre casi, fino ad adesso riferiti, per la verità, a società che militano in campionati minori: Venezia, Ancona e Cavese (Cava dei Tirreni) e che sono affiliate all’organizzazione europea dei Supporter Trust, l’organizzazione di riferimento in Europa per quanto riguarda la promozione della partecipazione e del coinvolgimento attivo dei tifosi e della comunità nella vita, nella gestione e nella proprietà dei club calcistici e che supporta i tifosi, che già hanno fondato dei trust, per fornire loro la consulenza necessaria per poter avere un ruolo nella gestione dei loro club e per riportarli ad avere un ruolo centrale a livello sociale ed istituzionale nelle comunità di riferimento.

Complessivamente ci sono attualmente oltre 170 trust (per un totale di oltre 350.000 iscritti), 23 dei quali nel calcio (e due nel rugby e uno nell’hockey su ghiaccio) hanno una quota di controllo o la totalità delle azioni del loro club. Cento di questi trust hanno partecipazioni azionarie di minoranza, e nella maggioranza dei casi (60%) un rappresentante nel direttivo del club.

Ciascuna società è naturalmente libera nella scelta del modello o delle soluzioni da adottare in quanto più confacenti alla propria storia e alla specifica situazione nella quale sia vuole intervenire

Qualche anno fa ho avuto l’opportunità di seguire un caso in cui la situazione era leggermente diversa rispetto a quelle in cui solitamente intervengono i supporter trust, di norma una crisi societaria (retrocessione, crisi finanziaria, abbandono della vecchia proprietà ecc). In questo caso la società proprietaria deteneva l’85% delle quote della società sportiva, non c’era crisi di sorta, il titolare delle quote non intendeva passare la mano, ma, pur desiderando che i tifosi venissero coinvolti maggiormente nella gestione della società, non era disposto ad accettare una presenza paritetica all’interno del consiglio di amministrazione né voleva dar vita a una situazione irreversibile.

In questo caso, la soluzione venne individuata attraverso la cessione di una modesta quota di capitale (2,5%) a un soggetto, rappresentante di un’associazione di tifosi; successivamente queste quote sono state apportate in un in un trust vero e proprio, disciplinato dalla legge di Guernsey, il cui scopo è stato individuato nell’attività volta al perseguimento di una politica societaria diretta al rafforzamento, sotto il profilo economico, della compagine calcistica.

La società cedente, detentrice del pacchetto di maggioranza, stipula un patto parasociale con il trust in forza del quale il trustee ha diritto di esprimere uno rappresentante all’interno del Consiglio di Amministrazione.

Altre clausole salienti riguardavano la possibilità di far parte del CdA che era subordinata alla presenta di determinati requisiti, in particolare la partecipazione era inibita a chi al presente, o nei cinque anni precedenti fosse stato sottoposto a misure restrittive da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza.

Le clausole sulla durata, prevista in un numero predeterminato di anni, ma suscettibile di poter intervenire anticipatamente in caso di:

  • retrocessione della Società;
  • azzeramento del Fondo e mancata ricostituzione dello stesso entro sei mesi;
  • cessione di quote a terzi diversi dal Trustee di questo Strumento, da parte della società titolare del pacchetto di quote minoritario.

A parte la prima ipotesi, che non necessita di commenti, l’esaurimento delle risorse del fondo, che doveva essere alimentato dai contributi dei tifosi o di terzi interessati allo sviluppo del progetto, avrebbe certificato il fallimento dello stesso, così pure la cessione delle quote di partecipazione a soggetti non interessati al conseguimento degli obiettivi indicati.

Questo comunque è solo un esempio delle potenzialità che attraverso l’impiego del trust si possono conseguire in un settore le cui esigenze, e i cui problemi, richiedono un costante adeguamento nella ricerca di mezzi per risolvere situazioni apparentemente insolubili col ricorso a mezzi tradizionali.