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Cambiamento climatico: si muore di caldo! Il divieto di lavoro agricolo in Puglia

Prospettive
Ph. Fabio Toto / Prospettive

Abstract

Tre persone in tre giorni sono morte di caldo in Puglia ed il Presidente della Regione ha vietato con ordinanza il lavoro agricolo con esposizione prolungata al sole nelle giornate ad alto rischio. Nuovi e adeguati livelli di prevenzione e protezione dei lavoratori oltreché nuovi e adeguati modelli di sviluppo, in grado di reinventare il rapporto tra lavoro e ambiente, si impongono a causa del cambiamento climatico e del surriscaldamento globale.

 

Indice:

1. Cambiamento climatico: le morti per caldo e il divieto di lavoro nei campi in Puglia

2. Cambiamento climatico: il progetto Worklimate per la prevenzione dei lavoratori

3. Cambiamento climatico: migrazioni climatiche e modelli di sviluppo

 

1. Cambiamento climatico: le morti per caldo e il divieto di lavoro nei campi in Puglia

Quando quello che crediamo essere semplicemente un modo di dire diventa un drammatico modo di morire, le parole si riappropriano tragicamente della loro dimensione di realtà uscendo con sussiego dal recinto dell’astratta idealizzazione in cui spesso le confiniamo.

Tre persone in tre giorni sono morte di caldo in Puglia nei giorni scorsi.

Il 23 giugno ha perso la vita Antonio Valente (39 anni) mentre distribuiva volantini nel centro storico di Galatina; il 24 giugno Camara Fantamadi (27 anni) è stato colpito da un malore che gli è stato fatale mentre percorreva in bicicletta la provinciale che collega Tuturano a Brindisi, di ritorno dalla raccolta nei campi; il 25 giugno Carlo Staiani (38 anni) è stato colto da un infarto mentre guidava un’autocisterna sulla stessa provinciale in cui aveva perso la vita il giorno prima Fantamadi.

Ma per far veramente aderire le parole alla triste realtà dei fatti, bisogna sceglierle con cura e forse anche con coraggio. E allora sarebbe più giusto dire che a morire sono stati tre lavoratori in tre giorni e che ad ucciderli, più che il caldo, è stato il lavoro. Un lavoro che, sovraesponendoli a temperature roventi, ha picchiato molto più duramente del torrido sole del Sud-Italia, tanto duramente da non farli più rialzare.

Così il Presidente della regione Puglia Michele Emiliano ha vietato con ordinanza ‹‹il lavoro in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle 12.30 alle 16.00›› fino al prossimo 31 agosto. L’ordinanza, tuttavia, riguarda il solo lavoro agricolo ed i soli giorni in cui la mappa del rischio indicata sul sito www.worklimate.it, riferita ai “lavoratori esposti al sole” con “attività fisica intensa”, segnala un alto livello di rischio.

 

2. Cambiamento climatico: il progetto Worklimate per la prevenzione dei lavoratori

Il Progetto Worklimate – clima, lavoro, prevenzione- iniziato il 15 giugno 2020, ha durata biennale ed è sostenuto, fra gli altri, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) e dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (I.N.A.I.L.). Si tratta di un utile strumento di prevenzione dei lavoratori dai rischi termici aggravati dal cambiamento climatico.

Sul sito si legge che il progetto ‹‹si prefigge come obiettivo generale quello di approfondire, soprattutto attraverso la banca dati degli infortuni dell’INAIL, le conoscenze sull’effetto delle condizioni di stress termico ambientale (in particolare del caldo) sui lavoratori, con un’attenzione specifica alla stima dei costi sociali degli infortuni sul lavoro››. A tal fine sarà ‹‹sviluppato e reso operativo un sistema di allerta da caldo, integrato meteo-climatico ed epidemiologico, specifico per il settore occupazionale›› per procedere all’individuazione e allo sviluppo di soluzioni organizzative e procedure operative utili ad abbattere l’impatto sul lavoro delle variazioni termiche conseguenti al cambiamento climatico.

Si legge sul sito del Progetto Worklimate che ‹‹il cambiamento climatico sta determinando un aumento della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore durante il periodo estivo›› e che ‹‹secondo recenti stime, circa il 30% della popolazione mondiale è attualmente esposta a condizioni di caldo particolarmente critiche per la salute per almeno 20 giorni all’anno e tale percentuale è destinata ad aumentare nei prossimi anni anche se le emissioni di gas serra tenderanno a ridursi. I lavoratori, in particolare quelli che trascorrono la maggior parte delle loro attività all’aperto, settore agricolo e delle costruzioni in primis, sono tra i soggetti più esposti agli effetti del caldo e in generale a tutti i fenomeni atmosferici››.

È appena il caso di ricordare che la valutazione dei rischi che il datore di lavoro deve effettuare secondo il Testo Unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro deve riguardare tutti i rischi, nessuno escluso, (art. 28 D.Lgs. 81/08) e che, in ogni caso, vi è un esplicito obbligo di valutazione dei ‹‹rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione›› (art. 181 D.Lgs 81/08).

Tuttavia è evidente, come lo stesso Progetto Worklimate dimostra, che a causa del cambiamento climatico in corso, la valutazione dei rischi sul lavoro legati all’aumento delle temperature richiede una maggiore e rinnovata attenzione.

Individuare misure in grado di assicurare livelli adeguati di prevenzione e protezione di fronte al surriscaldamento globale prodotto dal cambiamento climatico sarà una delle nuove sfide da affrontare; tali misure, evidentemente, si rendono già oggi necessarie (come tristemente dimostrano i fatti pugliesi) e, si auspica, riguarderanno sempre più settori lavorativi (non solo l’agricoltura) che vedono impegnati i c.d. “lavoratori outdoor” (giardinieri, portuali, operai, istruttori di sport all'aperto, portalettere, bagnini, vigili urbani, fattorini, etc.) che svolgono una frazione significativa del proprio orario lavorativo all'aperto e  possono essere interessati da patologie correlate all'esposizione alla luce solare, alle alte temperature e, più in generale, agli agenti atmosferici; esposizione che il cambiamento climatico in corso pare rendere sempre più rischiosa.

 

3. Cambiamento climatico: migrazioni climatiche e modelli di sviluppo

D’altronde ‹‹se il cambiamento climatico è una conseguenza delle attività umane queste sono, per la maggior parte, costituite da lavoro o sono comunque ad esso correlate. Non è un caso che il cambiamento climatico tenda ad essere confrontato con i livelli preindustriali››.

Così, se causa principale del cambiamento climatico è il lavoro, ‹‹ne consegue inevitabilmente che esso dovrà essere collocato al centro delle strategie di prevenzione, mitigazione e adattamento›› che lo stesso cambiamento climatico ci impone di adottare.

‹‹Non occorre guardare oltre l’esperienza quotidiana e accumulare prove scientifiche sulla realtà del cambiamento climatico e dell’impatto devastante che questo può avere››.

È quanto si legge in “Lavoro e cambiamenti climatici: l’Iniziativa verde” dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dove si aggiunge che, nonostante la Costituzione dell’O.I.L. del 1919 e la Dichiarazione di Filadelfia del 1944 non facciano alcun riferimento alla sostenibilità ambientale e al cambiamento climatico, ‹‹l’accelerazione sostenuta degli ultimi due decenni o più ha […] convinto i costituenti dell’OIL in tutto il mondo, che l’Organizzazione potrà perseguire efficacemente il proprio mandato per la giustizia sociale solo integrando la sostenibilità ambientale nell’Agenda del lavoro dignitoso››.

È evidente che dobbiamo scrivere con parole nuove il rapporto tra lavoro e ambiente anche alla luce del cambiamento climatico in corso; dovrà essere una nuova narrazione e, come tale, non potrà utilizzare vecchie e abusate parole come “ricatto occupazionale” o “promessa di occupazione”.

Il cambiamento climatico riguarda la vita di milioni di persone che, continuando nella lettura del rapporto, ‹‹sono già gravemente colpite da eventi meteorologici estremi, dalla mutevole capacità del loro ambiente naturale di continuare a sostenere attività produttive storiche e dall’aumento dei livelli di inquinamento››.

D’altronde i dati forniti dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) sul cambiamento climatico impressionano: ‹‹nel 2016 erano circa 22,5 milioni le persone all’anno sfollate a causa di inondazioni, carestie e altri fattori ambientali. Si prevede che saranno circa 200 milioni le persone che potrebbero dover abbandonare le loro abitazioni entro la metà del secolo, in modo permanente, a causa dell’innalzamento del livello del mare, di inondazioni sempre più devastanti e di forte siccità››.

Sono le c.d. migrazioni climatiche (diretta conseguenza del cambiamento climatico) che mettono in crisi la discutibile e semplicistica dicotomia migranti economici/richiedenti asilo che ancora ci si ostina presentare come mappa cromatica del fenomeno migratorio; un fenomeno che è invece complesso e che, a differenza dell’attuale modello di sviluppo occidentale, riesce a tenere insieme lavoro e ambiente (anche se, il più delle volte, con la forza della disperazione).

Secondo l’UNHCR (Link) il cambiamento climatico è la crisi che caratterizza il nostro tempo e la regione del Sahel è un’area in cui è già possibile osservare l’interazione tra cambiamento climatico, conflitti e migrazioni forzate. Inoltre è uno degli esempi più evidenti di come il cambiamento climatico interagisca negativamente con altre tendenze globali.

Parliamo di una fascia di territorio dell'Africa subsahariana che comprende anche buona parte del Mali, il Paese di Camara Fantamadi.

 

Ordinanza Regione Puglia nr. 182/2021: Link

 

Lavoro e cambiamenti climatici: l’Iniziativa verde – Rapporto del Direttore Generale”: Conferenza

internazionale del lavoro (sessione 106) del 2017: Link