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Camillo Olivetti: un italiano per bene

Camillo Olivetti
Camillo Olivetti

“So che tutti indistintamente dicono che faccio una bestialità e forse sarà vero, ma io non sono di questo parere” Camillo Olivetti in Lettere Americane

Nasce a Ivrea il 13 agosto 1868; il padre, piccolo agricoltore e mediatore di terreni, appartiene a un'agiata famiglia di origini ebraiche. Frequenta il Politecnico di Torino, dove si laurea in ingegneria elettrotecnica nel 1891.

Dopo la laurea soggiorna a Londra, dove perfeziona l'inglese, ma fa anche esperienze di lavoro in una fabbrica. Aderisce al partito socialista, sviluppando specifici interessi per il federalismo, le autonomie locali, le riforme istituzionali democratiche.

Nel 1893 accompagna Galileo Ferraris, suo professore all’università, al congresso di elettricità di Chicago. Il viaggio è un'occasione per girare in lungo e in largo gli Stati Uniti, dove resta per un anno e visita città, laboratori e fabbriche per comprendere meglio i fattori alla base del dinamismo economico e industriale degli USA. Segue corsi di fisica alla Stanford University e diventa assistente di ingegneria elettrica.

Dopo un secondo viaggio negli Stati Uniti, tornato in Italia fonda a Ivrea una piccola ditta per la costruzione di strumenti elettrici di misurazione, che in parte lui stesso disegna e brevetta; anche la fabbrica in mattoni rossi costruita per ospitare l'officina è frutto di un suo progetto. Camillo Olivetti sceglie personalmente gli operai uno a uno: quasi tutti provengono dal mondo contadino, ma lui li istruisce con un corso elementare di elettricità.

Nel ruolo di piccolo industriale e inventore Camillo Olivetti non dimentica le sue simpatie per gli ideali socialisti e "non tralascia alcun mezzo per insinuare le sue idee alla classe operaia", come recita una scheda segnaletica della polizia di Ivrea.

Nel 1903, per la necessità di trovare nuovi soci, risorse finanziarie e sbocchi commerciali, la piccola azienda di strumenti elettrici si trasferisce a Milano, dove nel 1905 assume la denominazione di C.G.S. (Centimetro, Grammo, Secondo). Ma Camillo Olivetti, sempre alla ricerca di nuove esperienze, dopo qualche tempo ne lascia la gestione ad altri e nel 1907 rientra a Ivrea. Probabilmente sta maturando l'idea di progettare e produrre macchine per scrivere, oggetti quasi sconosciuti in Italia, ma che certamente lui ha avuto modo di conoscere e apprezzare nel viaggio in america.

Il 29 ottobre 1908, utilizzando la piccola fabbrica in mattoni rossi, fonda a Ivrea la “Ing. C. Olivetti e C. Prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere” .

Alla laboriosa preparazione del primo modello di macchina per scrivere lavora un gruppo di una ventina di persone, che lo stesso ingegner Camillo provvede ad addestrare.

La prima lettera scritta a macchina è per la moglie: “Carissima Luigia. È questa la prima lettera che io scrivo con la nuova macchina ed è con grabde soddisfazione che io dedico a te queste poche righe”.

Alla fine del 1908 un nuovo viaggio negli Stati Uniti serve per raccogliere informazioni utili per il progetto, la cui gestazione si prolunga, anche perché i collaboratori hanno limitate capacità progettuali e il lavoro grava interamente su Camillo Olivetti, che peraltro tende caratterialmente ad accentrare le responsabilità e a progredire con le sole proprie forze. Dopo quasi tre anni il primo modello, la M1, viene presentato all'esposizione universale di Torino del 1911. Inizia così la grande avventura della "prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere".

Gli inizi non sono facili: Camillo Olivetti deve trovare nuovi soci e risorse finanziarie, deve costruire una rete di vendita e seguire i clienti, che spesso visita personalmente, magari accompagnando un fattorino che consegna una macchina o un meccanico dell'assistenza, a cui talvolta si sostituisce.
L'impegno e le capacità professionali dopo qualche tempo sono premiate e l'azienda inizia ad espandersi rapidamente. Nel 1920, con l’uscita di un secondo modello di macchina per scrivere, la M20, la produzione aumenta; sono tempi di scioperi e contestazioni, ma a Ivrea la situazione è diversa. Camillo Olivetti, con il suo prestigio morale e con la credibilità basata sul rapporto diretto e personale con ciascuno dei dipendenti, convince i capi sindacali che lui tutela meglio di chiunque altro gli interessi dei suoi operai: e in fabbrica il lavoro può procedere senza intoppi.
Nel 1922 costituisce la fonderia e nel 1926 la OMO (Officina Meccanica Olivetti) per la costruzione di macchine utensili, che lui stesso progetta. Il primo modello è un "trapano sensitivo", cui faranno seguito fresatrici, rettificatrici e altre macchine speciali per la produzione di parti di macchine per scrivere.
Assieme al figlio Adriano, rientrato da un viaggio di studio negli Stati Uniti, provvede alla riorganizzazione dell'attività produttiva della fabbrica e rafforza la struttura commerciale con la creazione di filiali e consociate in Italia e all'estero.

Nel corso degli anni '30 Camillo Olivetti cede al figlio sempre maggiori responsabilità nella conduzione dell'azienda, ma continua a svolgere un ruolo importante nel promuovere una intensa attività di progettazione e di produzione, con nuovi modelli di macchine per scrivere, i primi mobili per ufficio, le prime telescriventi e macchine da calcolo.

Nel 1938 lascia la presidenza della Società a favore del figlio Adriano, continuando però a seguirne le attività e gli sviluppi, in particolare continua l’impegno per il miglioramento dei servizi sociali per i dipendenti.

Come sua diretta responsabilità mantiene solo la direzione dello stabilimento macchine utensili.
Durante la seconda guerra mondiale scrive e pubblica clandestinamente un opuscolo che propone radicali riforme in campo sociale, economico-finanziario e industriale.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 deve abbandonare la propria casa di Ivrea e rifugiarsi nel biellese.

Sono momenti drammatici per il Paese, per l'azienda e per la famiglia Olivetti; momenti che probabilmente incidono sul suo morale e sulle sue condizioni di salute.
Il 4 dicembre del 1943 muore all'ospedale di Biella, dove viene sepolto nel cimitero ebraico, accompagnato sotto la pioggia da una folla giunta con ogni mezzo da ogni angolo del Canavese, nonostante il grave rischio del tempo di guerra.

Tutti gli operai che lo hanno seguito in vita lo accompagnano nel suo ultimo viaggio.