Carcere - Cassazione: l’accertamento dei requisiti di legge è precluso al giudice di legittimità
La Corte di Cassazione ha stabilito che nell’applicazione di misure cautelari, il giudice deve accertare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo al soggetto passivo e la sussistenza di esigenze cautelari. Tale accertamento, se logico e conforme ai principi di legge, è esente da ogni censura in sede di giudizio di legittimità.
Nel caso in esame, un avvocato, indagato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, era sottoposto alla misura coercitiva della custodia in carcere, applicata in base all’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame che accoglieva l’appello proposto dal pubblico ministero.
La Procura riteneva che il legale, abusando della qualità di avvocato, avesse garantito lo scambio di informazioni coperte da segreto e di altre informazioni essenziali alla sopravvivenza del clan di riferimento tra il proprio assistito, detenuto in quanto ritenuto a capo del sodalizio mafioso e altri esponenti del clan stesso e di altri clan. Secondo le indagini svolte, l’avvocato avrebbe partecipato a diversi summit di camorra, rappresentando il capoclan.
Il legale proponeva ricorso per Cassazione, deducendo vizio di motivazione, in ragione della mancanza di elementi circostanziali tali da giustificare il fumus commissi delicti e di esigenze cautelari tali da ritenere fondato un periculum libertatis.
La Corte di Cassazione, innanzitutto, precisa l’ambito del proprio giudizio, che, in ipotesi come quella proposta dal ricorso in oggetto, deve limitarsi “a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie”.
La richiesta di riesame, secondo i giudici di legittimità, ha la funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti di legge e la motivazione della pronuncia cautelare non deve essere fondata su prove ma su indizi e tendere all’accertamento non della responsabilità ma di una qualificata probabilità di colpevolezza.
Nel caso in disamina, i giudici della Cassazione ritengono che le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito siano in alcun modo censurabili, essendo state elaborate al termine di “un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede”. “Né la Suprema Corte può esprimere alcun giudizio sullo spessore dimostrativo delle risultanze procedimentali giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle acquisizioni probatorie agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità”.
La Cassazione ha, altresì precisato che il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio: questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione.
Nel dedurre vizio di motivazione della pronuncia impugnata, il ricorrente deve “dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dai giudici di merito una diversa ricostruzione”.
In considerazione di ciò, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 29 settembre 2015, n. 39345)
La Corte di Cassazione ha stabilito che nell’applicazione di misure cautelari, il giudice deve accertare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo al soggetto passivo e la sussistenza di esigenze cautelari. Tale accertamento, se logico e conforme ai principi di legge, è esente da ogni censura in sede di giudizio di legittimità.
Nel caso in esame, un avvocato, indagato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, era sottoposto alla misura coercitiva della custodia in carcere, applicata in base all’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame che accoglieva l’appello proposto dal pubblico ministero.
La Procura riteneva che il legale, abusando della qualità di avvocato, avesse garantito lo scambio di informazioni coperte da segreto e di altre informazioni essenziali alla sopravvivenza del clan di riferimento tra il proprio assistito, detenuto in quanto ritenuto a capo del sodalizio mafioso e altri esponenti del clan stesso e di altri clan. Secondo le indagini svolte, l’avvocato avrebbe partecipato a diversi summit di camorra, rappresentando il capoclan.
Il legale proponeva ricorso per Cassazione, deducendo vizio di motivazione, in ragione della mancanza di elementi circostanziali tali da giustificare il fumus commissi delicti e di esigenze cautelari tali da ritenere fondato un periculum libertatis.
La Corte di Cassazione, innanzitutto, precisa l’ambito del proprio giudizio, che, in ipotesi come quella proposta dal ricorso in oggetto, deve limitarsi “a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie”.
La richiesta di riesame, secondo i giudici di legittimità, ha la funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti di legge e la motivazione della pronuncia cautelare non deve essere fondata su prove ma su indizi e tendere all’accertamento non della responsabilità ma di una qualificata probabilità di colpevolezza.
Nel caso in disamina, i giudici della Cassazione ritengono che le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito siano in alcun modo censurabili, essendo state elaborate al termine di “un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede”. “Né la Suprema Corte può esprimere alcun giudizio sullo spessore dimostrativo delle risultanze procedimentali giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle acquisizioni probatorie agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità”.
La Cassazione ha, altresì precisato che il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio: questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicità della motivazione.
Nel dedurre vizio di motivazione della pronuncia impugnata, il ricorrente deve “dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dai giudici di merito una diversa ricostruzione”.
In considerazione di ciò, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 29 settembre 2015, n. 39345)