Carcere e sessualità: “anche noi siamo uomini e donne”!
La valente avvocata Maria Brucale, appassionata e appassionante per il suo impegno per il rispetto dei diritti dei detenuti ha scritto recentemente un articolo sul “Riformista”, in merito al diritto alla sessualità in carcere. La collega prende lo spunto da una recente ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che ha accolto il reclamo di un detenuto al 41 bis.
Il detenuto si era visto negare il permesso all’acquisto di riviste pornografiche. Il tribunale nell’accogliere il reclamo ha affermato che “La sessualità è un diritto soggettivo assoluto, relativo alla tutela della dignità del ristretto che non è mai comprimibile, della sessualità e del rispetto della propria vita privata e familiare di cui all’articolo 8 Cedu”. È, ancora, «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana». Va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato «tra i diritti inviolabili della persona che l’articolo 2 Costituzione impone di garantire».
Come argutamente evidenziato dalla Brucale, da tali premesse: “… si coglie un aspetto davvero struggente e in patente distonia con il dettato costituzionale e con i diritti fondamentali. Si legge nell’ordinanza che la tutela di quel diritto fa sì che debba essere concesso al reclamante di acquistare le riviste a luci rosse perché possa vivere la sessualità sia pur astratta; la possibilità di visionare fotografie erotiche consentirebbe, secondo il tribunale, di migliorare la vita privata del «detenuto sottoposto al regime differenziato per il quale l’orizzonte espressivo della sfera sessuale si riduce ad una dimensione effimera e sublimata». È sconcertante l’affermazione che esista un diritto assoluto e costituzionalmente garantito e, al contempo, che ci sia una tipologia di detenuti che non possono fruirne. La Costituzione non ammette che ci sia una carcerazione che estromette un ristretto dai diritti fondamentali”.
La distonia rilevata dalla Brucale non esiste, purtroppo nelle carceri italiane dove il diritto alla sessualità è negato a tutti i detenuti, a prescindere dal regime detentivo.
La Corte Costituzionale già nel 1987, poi nel 2012, ha parlato di «una esigenza reale e fortemente avvertita» che «merita ogni attenzione da parte del legislatore».
In Italia gli esponenti politici sono abituati a tanti dibattiti, convegni e parole che tali rimangono e non si tramutano mai in norme. Tutti i tentativi per far riconoscere il diritto alla sessualità in carcere sono rimasti lettera morta.
In Europa quale è la situazione?
A questo interrogativo, proviamo a rispondere con un veloce esame delle realtà carcerarie di alcuni paesi europei. Scopriamo che, fuori dall’Italia, i momenti di vera affettività per le persone ristrette in carcere, sono considerati giusti.
Sono 13 le nazioni che prevedono e riconoscono il diritto alla sessualità in carcere: Albania, Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia, Svizzera.
In Italia è un argomento tabù, che si presta alle facili ironie dei paladini del carcere duro e senza speranza.
In senato è stata presentata una proposta di legge che proviene dalla regione Toscana. La Commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale, presieduta da Giacomo Bugliani (Pd), ha licenziato con parere favorevole a maggioranza una proposta di legge al Parlamento, primo firmatario Leonardo Marras, capogruppo Pd. I consiglieri di Forza Italia e Lega Nord hanno espresso parere contrario.
La proposta interviene sulle norme che regolano l'ordinamento penitenziario (legge 354/1975 e successive modificazioni) vede tra i promotori Franco Corleone, Alessandro Margara, Monica Cirinnà, Oliviero Diliberto e Franco Anastasia.
Sono convinto che la proposta tale rimarrà e con questo quadro politico non verrà mai posta in discussione.
In ogni caso è un piacere leggere il primo articolo del testo presentato, per modificare la legge Gozzini: sotto il titolo “Rapporti con la famiglia”.
Tra gli scopi del carcere, teso alla rieducazione del condannato, quello nuovo prevede: “Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi”.
In queste poche righe c’è l’annuncio delle “stanze dell’amore” e dell’ingresso anche, ma non necessariamente, di una sessualità sana in carcere.
Franco Corleone, quando era sottosegretario alla giustizia, visitò le carceri di alcuni paesi europei e scrisse: “In Svizzera trovai un’unità immobiliare separata dal resto del carcere. In Olanda c’erano stanze in buone condizioni, ma non edifici distinti dal resto della prigione. In Spagna, sia a Barcellona che a Madrid, erano ugualmente previste”.
La sua proposta di cambiare solo l’ordinamento penitenziario fallì, il Consiglio di Stato, espresse un parere contrario scrivendo che era assolutamente necessaria una legge e non bastava soltanto mettere mano all’ordinamento penitenziario.
Non ha avuto fortuna neppure l’ex Guardasigilli Andrea Orlando quando a Milano nel 2018 ha organizzato gli Stati generali sul carcere. L’innovazione rivoluzionaria delle stanze dell’amore era prevista, ma alla fine venne stralciata per le perplessità di esponenti della stessa maggioranza.
La politica codarda dei like e del facile consenso preferisce sempre la tattica del rinvio e del poi si vedrà. Alessandro Margara in audizione, davanti alla commissione Giustizia della Camera, disse: “Vogliamo tenere assieme cose che possono apparire impossibili, ma non devono esserlo, cioè un carcere vivibile, in cui la pena non abbia nulla di afflittivo oltre la perdita della libertà”.
Era l’11 marzo del 1999 sono trascorsi “solamente” 11 anni in questo paese immobile e pieno di vanagloriosa retorica che si compiace di essere stato la culla del diritto e dimentica che: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”.