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Carcere e sessualità negata. Repressione è rieducazione?

Prison and denied sexuality. Repression is rehabilitation? (oppure: Is repression rehabilitation?)
Siamo (noi) la più grande tempesta
Ph. Paolo Panzacchi / Siamo (noi) la più grande tempesta

Abstract

La sessualità è un diritto anche per chi è detenuto. La rieducazione del condannato è soprattutto rispetto della sua natura umana.

Sexuality is a right also for prisoners. The rehabilitation of the condemned is above all respect for his human nature.

 

Sommario

1. Carcere e sessualità negata. Dignità è umanità

2. Una legge sulle love rooms. Un cammino in divenire

Summary:

1.Prison and denied sexuality. Dignity is humanity

2. A law on love rooms. Work in progress

 

1. Carcere e sessualità negata. Dignità è umanità

Il carcere è una realtà altra, difficile, faticosa da comprendere.

Il primo passo è una riflessione sulla libertà, sul vivere quotidiano, dal risveglio al sonno, sulle infinite piccole cose che scorrono in un giorno qualunque a scandire un tempo olistico che si anima di scelte, decisioni, organizzazione, proiezioni, volontà che si esprimono nell'individuare percorsi e obiettivi, nell'assecondare desideri o respingerli, nello stabilire priorità. La reclusione è una frattura del sé che implica innanzitutto una sottrazione del volere.

La vita è scandita da imperativi estranei che si subiscono e determinano il fluire di un tempo pressoché inerte in cui ogni agito è condizionato da logiche custodiali e gestito da dinamiche esterne, imposte, fuori dall'uomo. Così è, dal risveglio al sonno, il passeggio, l’aria, il cibo, il denaro alla "libretta"[1], il silenzio violato, la luce dei corridoi, un cielo troppo distante e grigliato, sempre, le telefonate settimanali, i pacchi stagionali e l'amore fuori, per chi lo ha, lontano, troppo lontano, da raggiungere, da preservare, per esserci nelle esigenze di ogni giorno, nelle abitudini che si perdono, la confidenza che si smarrisce, i cambiamenti inevitabili che spostano gli equilibri nelle famiglie, i figli che crescono, una storia che si disegna mentre la tua figura si fa assenza e si scompone, lentamente scompare dalle stanze di casa e dalle abitudini e smetti di essere sostegno per diventare impegno e limite, costi da sostenere, viaggi da affrontare, regole da seguire per incontrarsi, per parlare, colloqui e telefonate, lettere da rendere sostanza di rapporto.

Nella vocazione costituzionale di ogni pena il carcere rieduca, redime, rinnova, emenda, restituisce, infine, il cittadino, alla società civile. Non può essere meramente punitivo e sterilmente afflittivo. Il reinserimento deve essere parametro anche del giudice che perviene alla pronuncia di condanna perché è il senso, è la finalità ultima cui è protesa ogni detenzione. Mai la pena può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità atti a menomare la dignità della persona.

La Costituzione lo dice, la Costituzione lo pretende. "L'idea che la restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento costituzionale, il quale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti. I diritti inviolabili dell'uomo, il riconoscimento e la garanzia dei quali l'art. 2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell'ordine giuridico, trovano nella condizione di coloro i quali sono sottoposti a una restrizione della libertà personale i limiti a essa inerenti, connessi alle finalità che sono proprie di tale restrizione, ma non sono affatto annullati da tale condizione.  La restrizione della libertà personale secondo la Costituzione vigente non comporta dunque affatto una capitis deminutio di fronte alla discrezionalità dell'autorità preposta alla sua esecuzione (sentenza n. 114 del 1979). L'art. 27, terzo comma, della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Tali statuizioni di principio, nel concreto operare dell'ordinamento, si traducono non soltanto in norme e direttive obbligatorie rivolte all'organizzazione e all'azione delle istituzioni penitenziarie ma anche in diritti di quanti si trovino in esse ristretti.  Cosicché l'esecuzione della pena e la rieducazione che ne è finalità - nel rispetto delle irrinunciabili esigenze di ordine e disciplina - non possono mai consistere in "trattamenti penitenziari" che comportino condizioni incompatibili col riconoscimento della soggettività di quanti si trovano nella restrizione della loro libertà. La dignità della persona (art. 3, primo comma, della  Costituzione)  anche  in  questo caso - anzi: soprattutto in questo caso, il cui dato distintivo è la precarietà degli individui, derivante dalla mancanza di libertà, in condizioni  di  ambiente  per  loro natura destinate a separare dalla società civile  - è  dalla Costituzione  protetta  attraverso  il bagaglio  degli  inviolabili  diritti dell'uomo che anche il detenuto porta  con  sé lungo  tutto  il   corso   dell'esecuzione   penale, conformemente,  del resto, all'impronta generale che l'art.  1, primo comma, della legge n. 354 del 1975 ha inteso dare all'intera disciplina dell'ordinamento penitenziario"[2].

Questo il principio, questa l’utopia. Il carcere è privazione, afflizione, mortificazione quotidiana, negazione dei più elementari diritti, frustrazione costante della personalità, menomazione della sfera affettiva, castrazione della sessualità, annichilimento della natura stessa di uomini. Aliena, annienta gli istinti forzandoti a domarli, reprimerli, sconfessarli, trasformarli, custodirli, schiacciarli. Il carcere nega all’uomo di essere uomo.

Si legge nell’art. 18, comma secondo, legge 354 del 1975, ordinamento penitenziario: "I colloqui – tra il detenuto e i familiari - si svolgono in appositi locali sotto il controllo vista e non auditivo del personale di custodia". Tradotto in parole povere, la sessualità è negata. Il desiderio, la spinta naturale, l’istinto sono negati, spezzati, repressi, per l’intera durata della pena.

Il sesso fa parte dell’uomo, della sua essenza. Trascende l’istintualità, è sostanza di uomo. Il carcere strappa all’uomo la sua essenza, comprime, forza, brutalizza la sua natura, la mutila. Mutilazione è, può essere rieducazione? Può il carcere redimere, rinnovare, correggere, emendare, restituire alla società un uomo sano che ha reciso della sua sostanza, natura, essenza?

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