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Carlo Verdone: settant'anni di cinema e di risate "un sacco belli"

Carlo Verdone
Carlo Verdone

Un attore romano che con la sua personalità, il suo spirito libero, la sua intelligenza e il suo amore per Roma, entra nel cuore del pubblico non solo capitolino ma di tutta la nazione. Un’intervista dove Verdone parla del suo rapporto con Roma (una città che a volte ti onora sull’altare dell’appartenenza ma poi ti complica la vita, si fa ostile, mai affidabile, un po’ sporca, tenuta male, ma pur sempre un gioiello planetario unico e inestimabile),  del mestiere dell’attore e dei ricordi di Sora Lella, di Alberto Sordi e di Sergio Leone.

Per festeggiare i settant'anni di Carlo Verdone, ripubblichiamo un'intervista di Gianfranco Gramola del 28 maggio 2015 comparsa sul suo sito Interviste Romane.

 

Carlo, che ricordi hai della tua infanzia romana?

Ho dei bellissimi ricordi. Roma era una città disciplinata, pulita, una città dove le persone avevano molta dignità. Poi c’era sempre quel lato così ludico, romano dato dalla battuta, da quel modo di fare un po’ sornione, un po’ filosofico, un po’ sguaiato. Io sono nato nel ‘50 e quindi i miei ricordi iniziamo verso il ‘57. Ricordo che tutto quello che facevo con mia madre tipo le passeggiate e quando andavamo a campo de’ Fiori, aveva veramente un grande sapore. Sentivi la grande città. Oggi senti solo la città grande, capito? Quindi ho un ricordo in bianco e nero, però molto poetico. Quelli sono stati gli anni più belli della mia vita.

Attualmente com’è il tuo rapporto con Roma o meglio come vedi la Roma di oggi. Personalmente ho l’impressione che il pessimismo sia in vantaggio sull’ottimismo.

Purtroppo è vero caro Gianfranco. Io ho una casa che mi permette di vedere la città dall’alto. Ho una delle terrazze più alte di Roma. Vederla dall’alto è sempre meravigliosa e infatti le fotografie si sprecano specialmente nell’ora del tramonto. A me piace molto fotografare, non proprio la città, però ogni tanto mi capita che ci sono dei colori talmente particolari su Roma che esaltano stupendamente i monumenti, le cupole e qualche scatto lo faccio. Però quando uno dopo averla vista dall’alto, scende e va dentro Roma, si rende conto di tante magagne e tanti difetti. Purtroppo è una città che vive nella sciatteria non soltanto di chi la governa e non se ne occupa, ma anche della sciatteria degli stessi cittadini. Perché se gli stessi cittadini avessero avuto un po’ di educazione civica le cose forse sarebbero andate un pochino meglio. Ti faccio un esempio. Ieri c’era la  pioggia e non era il caso di prendere la macchina. Ho preso l’ombrello e andando a piedi mi sono reso conto che le strade sono un percorso di guerra, piene di buche, marciapiedi sbriciolati, cartacce, macchine parcheggiate dappertutto. Dispiace questo, dispiace perché è una città che viene maltrattata quando invece ha tanta storia alle spalle e anche tante immagini importanti, sacre, profane, poetiche e non merita di essere trattata male. 

Come vedi i romani (pregi e difetti)?

Sono cambiati. Prima alcuni quartieri come Trastevere, Garbatella, Testaccio che sono sempre stati quartieri che hanno espresso meglio di tutti l’anima della romanità, erano quartieri dove la gente si parlava con molta cordialità, spesso anche da finestra a finestra ed era  un po’ un teatro popolare in qualche modo. Oggi purtroppo regna la diffidenza. Questo perché? Perché non sai mai con chi hai a che fare. Ieri c’è stato un episodio qui a Roma, in zona Boccea, dove improvvisamente su un gruppo di persone è piombata una macchina a tutta velocità. Ne ha buttate a terra nove e ne ha ammazzata una persona e la macchina è scappata. Ecco, può succedere questo. Può succedere a New York, può succedere a Miami, può succedere ovunque. Però non succede a Berlino, non succede a Londra, non succede a Parigi. Questo è una città dove a volte la follia porta a situazione assurde, criminali. Questo perché? Perché non abbiamo dato o forse non siamo nemmeno in grado di dare dei luoghi per vivere per questi emigrati che ci siamo preso solo noi e non l’Europa. Adesso abbiamo rom, africani, cinesi, ecc… io sono una persona molto tollerante intendiamoci, però Roma è diventata un campo profughi veramente. Molti romani non le vedono perché stanno in centro, ma ci sono delle zone un pochino in periferia che sono terra di nessuno, dover si spaccia e si fa qualsiasi cosa. Quindi ci vorrebbero delle regole un po’ più ferree, però ci dovrebbe dare una mano anche lì Europa. Non è che è razzista il romano, però ce lo porti ad esserlo perché poi alla fine non è in grado di gestire tutte  queste cose, perché alla fine siamo rimasti soli con tutte queste situazioni di degrado.  Io non vorrei fare un’intervista pessimistica Gianfranco, però certamente se facciamo un paragone tra la Roma degli anni ’60 e quella di oggi c’è molta differenza. Le differenze ci sono e sono abissali. In questo momento abbiamo bisogno di una città che fa manutenzione. Dicono che non ci sono i soldi, allora saremmo costretti a vivere per molto tempo in queste condizioni. Sicuramente non ci fanno fare una bella figura soprattutto con i turisti e anche con noi stessi che l’amiamo.  

Nei momenti liberi in quale angolo di Roma ami rifugiarti?

In nessuno. Prendo la macchina e me ne vado in campagna. Ecco, la mia campagna è il luogo che io amo di più. Prendo la macchina e vado in Sabina, dove ho una bella casa, tranquilla, dove è stata allestita la biblioteca di mio padre con tutti i libri che abbiamo raccolto dal momento in cui abbiamo sgomberato la casa vicino a ponte Sisto. E quindi quello per me è un buon ritiro. Quasi tutti i fine settimana, quando posso, vado là, perché mi rigenero. Mi dispiace non avere un luogo a Roma dove rilassarmi o fare una bella passeggiata tranquilla. Poi si deve anche pensare che ho il problema della riconoscibilità da parte della gente, quindi faccio cinque metri e c’è chi ti chiede il selfie, la foto, ecc… Non godrei niente. In campagna invece la situazione è ben diversa.   

Cosa vuol dire per te “essere romano”?

Sono orgoglioso di essere romano, perché Roma è stata e continua ad essere, nonostante le sue magagne,  una città molto importante. E’ la capitale, è la città dove si incontrano le bellezze di varie epoche. Mi pare che Sorrentino nel film “la grande bellezza” l’ha descritta nei migliori dei modi, togliendole le macchine, togliendole la gente e facendola diventare metafisica. Però Roma quando è messa a lucido è quella là, quella che ci fa vedere Sorrentino. E allora quella è una carezza che mi fa sentire  orgoglioso di essere romano.  

Cosa ti manca di Roma quando sei via per lavoro?

Mi manca il clima. Il clima di Roma è sempre gradevole. Quando vado fuori o è  troppo freddo o è troppo caldo. Il clima di Roma mi piace, il clima primaverile è quello autunnale mi piace moltissimo. Mi manca quello che vedo dalla mia finestra, perché è un panorama fantastico. E’ una cosa che ti mette in pace per un attimo. 

Un consiglio al sindaco di Roma?

Di scegliersi dei collaboratori più efficaci certe volte. Innanzitutto stare molto attenti all’edilizia, perché una brutta edilizia anche in periferia rovina la città. Non c’è cosa più brutta dell’ingresso dall’aeroporto di Fiumicino a Roma, perché ci sono dei palazzi veramente brutti. Tutte le città hanno delle periferie ma Londra non è così. Parigi è brutta ma non è così. Noi siamo veramente straordinari nell’aver dato questo potere ai palazzinari romani, verso la metà degli anni ’60, che l’hanno distrutta,  perché hanno costruito dove non dovevano costruire, senza un piano regolatore. Quindi  hanno rovinato anche le periferie della città con dei colori, con degli stili che fanno a cazzotti fra di loro e che sono anche molto cafoni. Quindi consiglio al sindaco una cura particolare per il piano regolatore, una cura particolare per le strade,  per la loro manutenzione, per i servizi pubblici. Questa città ha bisogno di tantissime cure, tantissime. Però la prima è quella delle strade, perché tanti ragazzi che vanno con il motorino, si fanno male a causa delle buche. Se vai all’ospedale nel reparto ortopedia o traumatologia, il 95 per cento è gente che è cascata sulle buche di Roma con le moto.   

I tuoi ricordi di Sora Lella?

Forse è stata l’ultima grande caratterista del cinema italiano, è stata una vecchia anima di Roma, un po’ brontolona, un po’ bonacciona però molto saggia. Quelle  vecchie matrone che oggi non si trovano più. Quelle che hanno visto la guerra, che l’hanno vissuta e che poi hanno cercato di rifarsi in qualche modo dopo la guerra, lavorando a campo de’ Fiori in un banchetto di frutta e verdura per poi aprire il ristorante sull’Isola Tiberina “Sora Lella”. E’ sempre stata una donna che mi ha voluto molto bene, e io ho voluto molto bene a lei perché rivedevo in lei il bene, il bello e il positivo della città.

I tuoi ricordi di Sergio Leone?

Io devo molto a quell’uomo perché se non ci fosse stato quel grande regista e anche produttore nel mio caso forse la mia carriera avrebbe preso tutt’altra strada. E’ stato lui ad individuare le mie capacità e mi ha spronato a dirigermi da solo nei primi film, dandomi dei consigli preziosissimi, perché lui era un regista assolutamente supremo e quindi io ho un ricordo di grande affetto e di grande nostalgia perché anche lui rappresentava una Roma che non c’è più.

Parlando di Roma è chiaro che bisogna menzionare Alberto Sordi! Come lo hai conosciuto?

Io l’ho incontrato tante volte, il destino ci ha fatto uno scherzo abbastanza incredibile, perché Sordi abitava, quando io ero bambino, di fronte alla  mia finestra della camera da letto che dava sulla via delle Zoccolette, e in tale via c’era la stanza dove dormiva Alberto Sordi. Io ero molto piccolo però sentivo molto nominare Alberto Sordi e  sapevo che era un attore. La televisione a quell’epoca non trasmetteva film, per andare a vedere un film di Alberto Sordi bisognava andare al cinema, ma io al cinema preferivo vedere i western, Maciste, Ercole. L’ho raccontato molte volte nelle interviste che gli tiravo dei sassi sulla finestra, così, per scherzo, come fanno i bambini un po’ dispettosi. Sapevo che là c’era una persona importante. Un giorno si arrabbiò e mi disse che gli avevo rotto le scatole. L’incontrai per la prima volta quando feci “Bianco, rosso e verdone”. Sergio Leone fece una proiezione del film invitando Alberto Sordi, Monica Vitti e Falcao. Non ho mai capito perché c’era Falcao, forse per il figlio che era tifoso della Roma. Lì fece vedere “Bianco, rosso e Verdone”, perché era incerto sul film. Sergio Leone non credeva tanto in “Bianco, rosso e Verdone”, lo aveva prodotto ma aveva paura, soprattutto aveva paura che quel marito logorroico risultasse molto antipatico al pubblico e non portasse successo. Si è sbagliato perché poi il clou di “Bianco, rosso e Verdone” era il marito logorroico di Magda. Alla fine della proiezione mi ricordo che Sordi si alzò, mi aprì le braccia, mi abbracciò e mi disse: “Viè qua” e mi disse: “Che cos’è quel marito, che cos’è quel marito, bravo, bravo, bravo”. Allora Sergio Leone si tranquillizzò un attimo e poi Leone lavorò con Sordi affinché si potesse mettere in piedi un film tra me e Sordi, cioè un padre e un figlio. Quindi fu Sergio Leone l’artefice dell’incontro tra me ed Alberto Sordi, e poi quando ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura è nata un’amicizia molto forte. Chiaramente io già stimavo Alberto Sordi perché a quell’epoca avevo visto tutta la sua filmografia e siamo andati molto d’accordo e c’è stato un bel rapporto tra noi. Ho avuto alcuni privilegi a livello privato che molti non hanno avuto. Visitare la casa, vedere la piscina, vedere dei quadri molto importanti, vedere il teatro personale di Alberto Sordi. Lui aveva una grande casa che non era frequentata perché quando morì la prima sorella è entrato in una sorta di lutto perenne, non ha più fatto cene, una cosa molto strana, però con me scherzava, mi apriva un po’ le casseforti di questa bella villa e per me fare “In viaggio con papà” è stato il coronamento di un sogno, perché alla fine stavo recitando accanto all’attore che più avevo amato dal punto di vista della commedia italiana, il più importante sicuramente. Oggi purtroppo quello che è successo mi è un po’ dispiaciuto, si è un po’ offuscata un’immagine di Sordi. Parlo dell’eredità, insomma tutti ‘sti soldi, lasciati così senza indicazioni precise. Però qualche indicazione le aveva date, e allora io oggi sono presidente dell’Associazione Alberto Sordi per i giovani, che si deve occupare di cultura, però di far lavorare alcuni giovani di talento ma con reddito familiare basso, all’interno di intuizioni culturali, manifestazioni culturali, e ne abbiamo molte, adesso già 6 ragazzi stanno già lavorando stipendiati da noi, e noi facciamo questo lavoro gratis, cioè una cosa che voleva Sordi, quindi io l’ho portata avanti, poi c’è un’altra fondazione che è “Museo Sordi” dove sono sempre nel Consiglio d’Amministrazione, ma non sono Presidente e quindi si tratta di gestire delle cifre molto importanti. Siamo ovviamente controllati dal Tribunale, dalla Prefettura e quindi cerchiamo di fare le cose nel migliore dei modi, in ricordo di Alberto Sordi.

Come ricordi i tuoi inizi ? Il mondo del cinema era come te lo immaginavi o ti ha deluso?

No! Non mi ha deluso per niente. Agli inizi quando ho cominciato a fare cinema mi sembrava  di essere in un sogno. Entravo in un mondo che avevo sempre visto dall’esterno nel quale non pensavo minimamente di entrare, perché avevo mille paure, mille timori  di non farcela. Però io avevo una laurea, avevo già fatto i miei studi che erano diversi dal cinema. Erano studi universitari, però quando cominci a fare l’attore a livello universitario, poi a livello un pochino più professionale, poi è arrivata la televisione dove ho avuto successo, poi è arrivato Sergio Leone che mi ha proposto il primo film m’è sembrato che mi si concretizzasse come una sorta di miracolo. Però io ho lavorato con rigore, con amore, con molta disciplina cercando di fare del mio meglio, cercando soprattutto di essere sincero e di fare le cose che volevo fare. Se io sono 38 anni che lavoro e che è un tempo molto lungo e quasi impossibile per chiunque, è perché non ho mai dato lo stesso film al pubblico e sicuramente il pubblico ha sentito da parte mia molta onestà, molta disciplina, molto amore nei confronti di loro. Io ho sacrificato molte cose private pur di lavorare come il pubblico voleva. E’ una missione alla fine.

La tua più gran soddisfazione artistica?

Quando io feci “Borotalco”, che era un film estremamente delicato, perché veniva da due film che erano virtuosi, il pubblico e la critica s’erano messi in testa che i miei modi di fare cinema si potevano esaurire con facilità perché avevo sparato tutti i miei proiettili nei primi due film. In poche parole avevano dei dubbi su quando io avrei affrontato un film con la mia faccia, senza le caratterizzazioni, le parrucche, le voci, ecc… Quindi con “Borotalco” mi sono giocato molto della mia carriera, o meglio mi sono giocato tutto. Quando vidi il risultato di “Borotalco” , dal punto di vista dell’affluenza del pubblico, dall’incasso e dai 5 David di Donatello che ho preso, dentro di me  dissi:  “Ce l’ho fatta”. Questo è stato il primo sentore che avevo superato la fase del virtuosismo e che potevo  fare dei film con la faccia mia,  dirigendo gli attori in maniera canonica, non da virtuoso.

Hai mai fatto delle scelte di cui ti sei pentito?

No! Non rinnego niente di quello che ho fatto. Va bene tutto quello che ho fatto, anche i film minori, anche quelli che potevano venire meglio, perché il mio percorso nasce anche da qualche film minore o che è venuto meno bene. Perché uno poi trova il coraggio per poter fare meglio dopo. Uno poi se ne rende conto di aver fatto un film minore. Allora quando arriva quello dopo, tu hai più energia, più dinamica, più concentrazione per affrontare un film superiore.

Un tuo sogno artistico?

Mi piacerebbe prima o poi fare in film soltanto come regista, poter dirigere una donna di 50 anni, due ragazzi di 20, senza me di mezzo. Il problema è vedere poi il pubblico come lo prende, perché potrebbe interpretarlo come un addio alle scene di Verdone che passa dietro la cinepresa. Ogni tanto quando mi fermo nei bar a parlare con le signore, mi dicono: “ Non ti allontanare troppo dalla commedia, tu ci devi essere”. Io sto cominciando a essere grandicello e prima o poi questa cosa dell’addio alle scene dovrà avvenire per forza. Però è un mio sogno quello, perché mi piacerebbe un giorno avventurarmi in un film dove non ci sono io dentro, ma avrò la libertà di raccontare magari altre storie, altri problemi, altri temi.    

Perché non fai teatro?

Perché non ho la mentalità teatrale. Ho fatto due stagioni e ho recitato all’Eliseo di Roma, a Firenze al teatro Niccolini. Non ho fatto molto teatro, perché per me era una gran fatica, perché non mi risparmiavo. Quindi la sera nello spettacolo che avevo scritto interpretavo ben 26 personaggi. Interpretare 26 personaggi ammazza anche un elefante. Dopo quella esperienza mi è rimasto il trauma della gran fatica e allora ho deciso che il cinema faceva più per me, con i suoi tempi lenti. Al teatro non ci penso più, probabilmente è una mia pecca, però è una mia non sopportazione di fare tutte le sere la stessa cosa. Non ho la mentalità di attore teatrale.

Adesso a cosa stai lavorando?

Sto lavorando al mio prossimo film e adesso il titolo lo dirà De Laurentiis quando ci saranno le giornate promozionali a Riccione. Con me ci sarà Antonio Albanese e sarà un film molto differente, un film molto dinamico, molto rocambolesco e molto divertente. Il copione è molto buono. Secondo me io e Albanese abbiamo la possibilità di fare veramente i fuochi d’artificio assieme.  

Cosa pensi di papa Francesco?

Mi sembra che deve faticare moltissimo perché smuovere la curia in qualche modo è molto complicato, però è un uomo che ha portato la semplicità, ha portato il pontificato  più a contatto con la gente e questo è un bene perché è benvenuto dai fedeli  e anche dalla gente che non crede, perché lo sente come una persona molto semplice, molto pragmatico, di buon senso e molto aperto per certe cose. Quindi ha accorciato la distanza che c’era tra il pontefice e i fedeli. Sta sempre in mezzo alla gente, non vuole guardie del corpo, non vuole niente, solo la semplicità. Ha fatto una bella rivoluzione.

Il tuo rapporto con la Fede?

Io sono credente, sono anche cattolico. Però ogni tanto quando sento notizie di persone che se ne stanno andando, e io ne ho perse tante ultimamente, ecco là la fede, traballa un po’, perché in genere se ne vanno sempre i buoni, quelli che hanno un anima bella. Purtroppo devo dire che negli ultimi anni è accaduta non dico una carneficina, ma ci sono state delle cose che mi hanno turbato molto. Queste sono cose che mi mettono molto in crisi certe volte con la fede, perché non riesci a capire il senso della vita. Però devo dire che sono dei momenti di confusione momentanei perché poi in qualche modo uno prega affinché ritorni la fede.   

Tanti auguri, Carlo!