Cassazione Civile: il danno esistenziale deve essere provato - non è concepibile come danno in re ipsa
La sentenza si segnala per la ricostruzione dei profili del danno esistenziale e soprattutto per la chiarezza con cui si nega la sussistenza di un diritto al riconoscimento del danno esistenziale in quanto danno in re ipsa.
Conclusioni
"Ineriscono alla sfera della famiglia, costituzionalmente protetta, i pregiudizi alla realizzazione personale derivanti dalla perdita del prossimo congiunto, in conseguenza di un fatto illecito altrui. La distruzione del nucleo familiare, la impossibilità dei superstiti di esplicare la propria personalità nei rapporti con il congiunto, la relazione affettiva nel rapporto paterno con la giovanissima figlia, la perdita delle attività sociali e culturali costituiscono delle privazioni e modifiche delle abitudini della vita, in senso negativo che rientrano nelle dimensioni costitutive del danno da perdita parentale. Il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno, unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, ed alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione.
Questa Corte, nella sentenza delle SU citata (5672/06) ha posto in evidenza la possibilità che dal fatto lesivo (nella specie da inadempimento contrattuale per illegittimo demansionamento del lavoratore) derivi una pluralità di danni, al lavoratore, da risarcire a titolo biologico, esistenziale e morale; la stessa logica si verifica nella fatti specie di un illecito sanitario, ascrivibile ai sanitari ed a titolo solidale alla struttura sanitaria (e per essa alla Regione Campania la cui legittimazione non è in contestazione), che determina la morte imprevista di una giovanissima paziente, inserita in un nucleo familiare giovane sia per i genitori che per i fratelli conviventi. Il danno parentale presenta dunque vari aspetti, "anche di ordine patrimoniale, morale, e di" modifica delle qualità della vita, ma spetta alle vittime ed alla intelligenza dei loro difensori, apprestare una difesa adeguata e domande sostenute, oltre che da validissimi riferimenti costituzionali," da una serie dettagliata di circostanze che illustrano la vita della figlia in famiglia ed il dolore e le perdite, anche esistenziali, conseguenti a tale morte.
Non è possibile, per le ragioni più volte dette da questa Corte, a partire dall’incipit del 2003, condividere la tesi di un danno esistenziale, come species del danno non patrimoniale da inserire accanto al danno biologico ed al danno morale soggettivo, svincolato dall’elemento soggettivo del fatto reato. La più volte citata sentenza delle su del 2006 risolve un contrasto interno alla sezione lavoro della Corte in tema di danno in re ipsa o di danno iuxta allegata et probata, e stabilisce il principio di diritto ponendo a carico del danneggiato la prova; la definizione data del danno esistenziale è riferita ad una situazione tipica di lesione della identità professionale del lavoratore sul luogo di lavoro, con un preciso riferimento ai valori laburistici e solidali di cui agli art.1 e 2 della Costituzione (cui aggiungiamo anche gli articoli 3, 4 e 41 n.2 per una migliore sistematica) e dunque è una definizione peculiare e pragmatica, indirizzata dalla natura dello illecito considerato.
In definitiva: "Questa Corte condivide la lettura costituzionalmente orientata dell’art.2059 cod. civile, ma secondo un rigoroso principio di tipicità delle fattispecie da tutelare, incluse le posizioni soggettive inerenti a diritti umani inviolabili ed inclusi gli interessi essenziali della persona umana, che rientrando nella elaborazione dei cd. nuovi diritti, assume rilievo costituzionale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Posizione da ultimo ribadita dalla sentenza del 12 ottobre, 2006 n.23918, che espressamente considera la limitata valenza delle SU in tema di risoluzione di un conflitto sul danno da demansionamento e da inadempimento contrattuale datoriale. Spetta al legislatore intervenire con una modifica legislativa del testo dell’art.2059 con la espressa inclusione di fattispecie tipiche emergenti (sul modello del codice civile tedesco riformato nel 2002), mentre spetta ai giudici nazionali garantire ai propri cittadini il ricorso effettivo alla giurisdizione, anche civile, nel caso di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto della Unione e dalle comuni tradizioni costituzionali (art 11-107 della Costituzione europea e art.24 della Costituzione italiana).
Il metodo del combinato disposto, tra precetto costituzionale e clausola generale del neminem laedere, rende costituzionalmente rilevante la materia risarcitoria, e la funzione integrale del risarcimento del danno alla persona. Ed è il metodo che resta valido anche per il consolidamento delle varie fattispecie di illecito o di inadempimento in relazione alle quali si vogliono configurare situazioni di danni esistenziali. Danni che risultano modellati su una matrice rigorosamente consequenzialistica, ma che hanno spesso natura composita in relazione alla eterogeneità degli interessi della persona, non tutti meritevoli di tutela. E’ vero che il danno esistenziale sovente non coincide necessariamente con la lesione di un bene o di un interesse costituzionalmente protetto, ma se tale coincidenza si verifica l’obbligo della tutela giurisdizionale è garantito".
Il parallelo tra danno esistenziale in Italia e in Germania
Innanzitutto la Cassazione ha preso in esame, sulla scorta dei motivi di ricorso, l’evoluzione giurisprudenziale e normativa riscontrata negli ultimi anni in Italia e in Germania.
"Il motivo e quindi la memoria illustrativa sul punto contengono una accurata ricostruzione storica del riconoscimento, dapprima nella elaborazione dottrinale e quindi da parte dei giudici di merito, del danno esistenziale, per giungere alla svolta decisiva, operata dalle sentenze gemelle del 2003 (DD 8827 e 8828), recepite come diritto vivente dalla Corte Costituzionale (n.233 del 2003), che hanno dato finalmente una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile, pur nell’ambito della unitarietà dello illecito civile, estendendo la tutela del danno non patrimoniale ai diritti inviolabili, intesi come posizioni soggettive o interessi personali costituzionalmente protetti. Negli stessi anni, sotto la spinta della Corte Costituzionale tedesca, una analoga riforma avveniva nell’ordinamento germanico, con la modifica del paragrafo 253 del GBG, ricopiato nel 1942 dall’art.2059 del codice civile.
Il nuovo testo (in vigore dal 1 agosto 2002) della norma del codice tedesco, recita: "Per il danno che non è patrimoniale (Schmerzensgeld) può chiedersi un indennizzo in denaro nei soli casi determinati dalla legge. Se il risarcimento è dovuto per la lesione del corpo, della salute, della libertà o della autodeterminazione sessuale, può chiedersi una equa indennità in danaro anche per il danno che non è patrimoniale".
Questa riforma è stata criticata in quanto riduttiva, rispetto alla riforma introdotta dalla Cassazione e convalidata dalla Corte Costituzionale del 2003, che invece ha consentito di ampliare il contenuto tipicizzato del danno ingiusto non patrimoniale da illecito, a tutte le posizioni soggettive costituzionalmente protette. La riforma italiana peraltro, come ha acutamente sottolineato la difesa del ricorrente, appare in linea con l’apertura della Corte Costituzionale italiana alla interpretazione dell’ art. 2 della Costituzione come clausola aperta di garanzia della inviolabilità anche in sede civile dei diritti umani, in intima connessione con il principio di solidarietà e con quello di eguaglianza sostanziale (come impegno della Repubblica e dei suoi organi a rimuovere gli ostacoli alla espansione della persona umana e del lavoratore come primario partecipe della vita sociale). L’interpretazione sistematica dei diritti della persona, conduce dunque alla applicazione della clausola del neminem laedere anche al settore dei diritti fondamentali, secondo il metodo del combinato disposto, tra norma precettiva costituzionale a garanzia del diritto soggettivo, e la clausola generale di cui all’art.2043 del codice civile, esteso anche all’art.2059 (cfr.Cass.12 ottobre 2006 n.23918, ff 8 in parte motiva).
La Corte Costituzionale tedesca, pur non interferendo sulla modesta riforma del codice civile, afferma tuttavia la necessità di completare la tutela civile, attraverso il riconoscimento del danno da lesione del diritto generale della personalità (allgemeiness Personlichkeitsrecht).
Come si nota, due importanti Stati dell’unione, dotati di una Costituzione che espressamente prevede riconoscimento e tutela anche in sede civile, dei diritti umani, seguono vie diverse ma convergenti verso la effettività della tutela anche in via giurisdizionale".
Più avanti la Cassazione ha concluso: "Il legislatore italiano non si è dunque ispirato alla riforma codicistica germanica del paragrafo 253 Comma secondo del B.G.B, e neppure alla configurazione di una categoria unitaria del danno esistenziale, nella quale ricondurre tutti i pregiudizi che a prescindere dalla fonte (illecito o contratto o legge speciale) da cui derivano o dallo specifico ambito dalla sfera personale che coinvologono, si manifestano sempre come modificazioni peggiorative delle attività attraverso le quali il singolo realizza la propria personalità.
La stessa definizione del danno biologico da illecito della circolazione, contenuta negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni, a carattere ricognitivo del diritto vivente e dello stato dell’arte medico legale, evidenzia la struttura complessa del danno biologico, che ha una componente a prova scientifica medico legale e due componenti a prova libera (la incidenza negativa sulle attività quotidiane e la incidenza negativa sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato).
Se si dovesse accogliere la proposta della figura unitaria del danno esistenziale, la definizione analitica data dal codice delle assicurazioni, sicuramente includerebbe anche una componente esistenziale, integrando la valutazione tabellare, per il principio generale della riparazione integrale del danno alla salute".
L’inammissibilità del riconoscimento del danno in re ipsa
Sostiene dunque il ricorrente di aver chiesto, sin dal primo grado e ribadito in appello, di aver subito un danno esistenziale iure proprio, in relazione alle rilevanti modificazioni della propria vita privata e del rapporto familiare o parentale, quale conseguenza irreparabile della perdita della figlia di appena sette anni (FF 19 e 20 del ricorso), aggiunge poi che il danno è in re ipsa (danno già presunto per la sua stessa natura), e che pertanto non necessita di prova in concreto né di accertamento medico legale, e che deve presumersi sino a prova contraria, ogni qualvolta la offesa, per la sua gravità, colpisce soprattutto in modo irreversibile la integrità e solidarietà degli affetti e del nucleo familiare. Sostiene inoltre come errata la inclusione della vita di relazione nell’ambito del danno biologico.
Essendo questo il nucleo della difesa sostanziale, malgrado l’abbondanza dei riferimenti giurisprudenziali ed il forte quadro dei riferimenti costituzionali e di diritto comune ed alla Convenzione sui diritti umani, occorre dar conto della non decisività ed autosufficienza del ricorso, proprio in relazione al principio dello onere della prova, confermato dalle SU di questa Corte, nella recente sentenza 2 marzo 2006 n.6472 e nelle successive Cass. semplici n 23918 del 2006 e 13546 del 2006. Le tre decisioni appena richiamate concordano tutte nel ritenere che la prova, anche del danno parentale-esistenziale, è a carico di chi ne chiede il risarcimento, ed il giudice deve decidere iuxta allegata et probata, secondo le prove, anche in via presuntiva, dedotte dalla parte.
Nel caso di specie invece è perentoria la affermazione del DANNO IN RE IPSA, riproducendosi la teoria del cd. danno evento, in connessione alla violazione del diritto, e con valutazione equitativa rimessa al prudente apprezzamento del giudice.
Poiché questa Corte ritiene che la esistenza del danno parentale, qualunque sia il profilo dedotto (come danno diretto di ordine psichico, o come patema d’animo proprio del danno morale, o come autonomo danno esistenziale, ma ancorato a posizioni soggettive costituzionalmente protette) debba essere provata come danno conseguenza (nella specie di un illecito sanitario da cui è derivata la morte di una giovanissima paziente ricoverata e non debitamente curata), il motivo stesso difetta in radice di decisività e di autosufficienza, non rendendo evidenti le ragioni specifiche e le circostanze rilevanti da cui desumere, anche in via presuntiva la esistenza del danno.
Non sussiste pertanto nessun error in iudicando e nessuna violazione delle norme sostanziali e comunitarie richiamate.
Non sussiste neppure il vizio della motivazione, ed in vero, come si evince chiaramente dalla motivazione impugnata (ff 8 e 9) la Corte ha considerato essenzialmente il danno parentale come danno morale soggettivo(ff 8), ritenendo riduttiva la valutazione tabellare data dai primi giudici e provvedendo ad una adeguata rideterminazione, tenendo conto delle varie circostanze (ff 6) dedotte per dimostrare la entità e la intensità delle sofferenze patite dal padre e quindi (ff 9) ha escluso la considerazione del danno esistenziale, assumendo che il profilo dedotto per tale pregiudizio era stato considerato, come componente del danno psichico, nel risarcimento del danno biologico, onde una terza liquidazione avrebbe condotto quanto meno ad una duplicazione delle poste risarcitorie. Non sussiste contraddittorietà, proprio in relazione alla non chiarezza delle causae petendi poste in essere dal ricorrente, che avrebbe dovuto saper scegliere il profilo causale più rilevante ai fini della indi viduazione della posta risarcitoria, non contestando neppure la non congruità eventuale della liquidazione modesta del danno biologico (v. sentenza di appello a ff 8).
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 8 ottobre 2007, n.20987: Danno esistenziale - Danno-evento - Danno in re ipsa - Esclusione - Danno-conseguenza - Ammissibilità).
La sentenza si segnala per la ricostruzione dei profili del danno esistenziale e soprattutto per la chiarezza con cui si nega la sussistenza di un diritto al riconoscimento del danno esistenziale in quanto danno in re ipsa.
Conclusioni
"Ineriscono alla sfera della famiglia, costituzionalmente protetta, i pregiudizi alla realizzazione personale derivanti dalla perdita del prossimo congiunto, in conseguenza di un fatto illecito altrui. La distruzione del nucleo familiare, la impossibilità dei superstiti di esplicare la propria personalità nei rapporti con il congiunto, la relazione affettiva nel rapporto paterno con la giovanissima figlia, la perdita delle attività sociali e culturali costituiscono delle privazioni e modifiche delle abitudini della vita, in senso negativo che rientrano nelle dimensioni costitutive del danno da perdita parentale. Il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno, unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, ed alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione.
Questa Corte, nella sentenza delle SU citata (5672/06) ha posto in evidenza la possibilità che dal fatto lesivo (nella specie da inadempimento contrattuale per illegittimo demansionamento del lavoratore) derivi una pluralità di danni, al lavoratore, da risarcire a titolo biologico, esistenziale e morale; la stessa logica si verifica nella fatti specie di un illecito sanitario, ascrivibile ai sanitari ed a titolo solidale alla struttura sanitaria (e per essa alla Regione Campania la cui legittimazione non è in contestazione), che determina la morte imprevista di una giovanissima paziente, inserita in un nucleo familiare giovane sia per i genitori che per i fratelli conviventi. Il danno parentale presenta dunque vari aspetti, "anche di ordine patrimoniale, morale, e di" modifica delle qualità della vita, ma spetta alle vittime ed alla intelligenza dei loro difensori, apprestare una difesa adeguata e domande sostenute, oltre che da validissimi riferimenti costituzionali," da una serie dettagliata di circostanze che illustrano la vita della figlia in famiglia ed il dolore e le perdite, anche esistenziali, conseguenti a tale morte.
Non è possibile, per le ragioni più volte dette da questa Corte, a partire dall’incipit del 2003, condividere la tesi di un danno esistenziale, come species del danno non patrimoniale da inserire accanto al danno biologico ed al danno morale soggettivo, svincolato dall’elemento soggettivo del fatto reato. La più volte citata sentenza delle su del 2006 risolve un contrasto interno alla sezione lavoro della Corte in tema di danno in re ipsa o di danno iuxta allegata et probata, e stabilisce il principio di diritto ponendo a carico del danneggiato la prova; la definizione data del danno esistenziale è riferita ad una situazione tipica di lesione della identità professionale del lavoratore sul luogo di lavoro, con un preciso riferimento ai valori laburistici e solidali di cui agli art.1 e 2 della Costituzione (cui aggiungiamo anche gli articoli 3, 4 e 41 n.2 per una migliore sistematica) e dunque è una definizione peculiare e pragmatica, indirizzata dalla natura dello illecito considerato.
In definitiva: "Questa Corte condivide la lettura costituzionalmente orientata dell’art.2059 cod. civile, ma secondo un rigoroso principio di tipicità delle fattispecie da tutelare, incluse le posizioni soggettive inerenti a diritti umani inviolabili ed inclusi gli interessi essenziali della persona umana, che rientrando nella elaborazione dei cd. nuovi diritti, assume rilievo costituzionale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Posizione da ultimo ribadita dalla sentenza del 12 ottobre, 2006 n.23918, che espressamente considera la limitata valenza delle SU in tema di risoluzione di un conflitto sul danno da demansionamento e da inadempimento contrattuale datoriale. Spetta al legislatore intervenire con una modifica legislativa del testo dell’art.2059 con la espressa inclusione di fattispecie tipiche emergenti (sul modello del codice civile tedesco riformato nel 2002), mentre spetta ai giudici nazionali garantire ai propri cittadini il ricorso effettivo alla giurisdizione, anche civile, nel caso di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dal diritto della Unione e dalle comuni tradizioni costituzionali (art 11-107 della Costituzione europea e art.24 della Costituzione italiana).
Il metodo del combinato disposto, tra precetto costituzionale e clausola generale del neminem laedere, rende costituzionalmente rilevante la materia risarcitoria, e la funzione integrale del risarcimento del danno alla persona. Ed è il metodo che resta valido anche per il consolidamento delle varie fattispecie di illecito o di inadempimento in relazione alle quali si vogliono configurare situazioni di danni esistenziali. Danni che risultano modellati su una matrice rigorosamente consequenzialistica, ma che hanno spesso natura composita in relazione alla eterogeneità degli interessi della persona, non tutti meritevoli di tutela. E’ vero che il danno esistenziale sovente non coincide necessariamente con la lesione di un bene o di un interesse costituzionalmente protetto, ma se tale coincidenza si verifica l’obbligo della tutela giurisdizionale è garantito".
Il parallelo tra danno esistenziale in Italia e in Germania
Innanzitutto la Cassazione ha preso in esame, sulla scorta dei motivi di ricorso, l’evoluzione giurisprudenziale e normativa riscontrata negli ultimi anni in Italia e in Germania.
"Il motivo e quindi la memoria illustrativa sul punto contengono una accurata ricostruzione storica del riconoscimento, dapprima nella elaborazione dottrinale e quindi da parte dei giudici di merito, del danno esistenziale, per giungere alla svolta decisiva, operata dalle sentenze gemelle del 2003 (DD 8827 e 8828), recepite come diritto vivente dalla Corte Costituzionale (n.233 del 2003), che hanno dato finalmente una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile, pur nell’ambito della unitarietà dello illecito civile, estendendo la tutela del danno non patrimoniale ai diritti inviolabili, intesi come posizioni soggettive o interessi personali costituzionalmente protetti. Negli stessi anni, sotto la spinta della Corte Costituzionale tedesca, una analoga riforma avveniva nell’ordinamento germanico, con la modifica del paragrafo 253 del GBG, ricopiato nel 1942 dall’art.2059 del codice civile.
Il nuovo testo (in vigore dal 1 agosto 2002) della norma del codice tedesco, recita: "Per il danno che non è patrimoniale (Schmerzensgeld) può chiedersi un indennizzo in denaro nei soli casi determinati dalla legge. Se il risarcimento è dovuto per la lesione del corpo, della salute, della libertà o della autodeterminazione sessuale, può chiedersi una equa indennità in danaro anche per il danno che non è patrimoniale".
Questa riforma è stata criticata in quanto riduttiva, rispetto alla riforma introdotta dalla Cassazione e convalidata dalla Corte Costituzionale del 2003, che invece ha consentito di ampliare il contenuto tipicizzato del danno ingiusto non patrimoniale da illecito, a tutte le posizioni soggettive costituzionalmente protette. La riforma italiana peraltro, come ha acutamente sottolineato la difesa del ricorrente, appare in linea con l’apertura della Corte Costituzionale italiana alla interpretazione dell’ art. 2 della Costituzione come clausola aperta di garanzia della inviolabilità anche in sede civile dei diritti umani, in intima connessione con il principio di solidarietà e con quello di eguaglianza sostanziale (come impegno della Repubblica e dei suoi organi a rimuovere gli ostacoli alla espansione della persona umana e del lavoratore come primario partecipe della vita sociale). L’interpretazione sistematica dei diritti della persona, conduce dunque alla applicazione della clausola del neminem laedere anche al settore dei diritti fondamentali, secondo il metodo del combinato disposto, tra norma precettiva costituzionale a garanzia del diritto soggettivo, e la clausola generale di cui all’art.2043 del codice civile, esteso anche all’art.2059 (cfr.Cass.12 ottobre 2006 n.23918, ff 8 in parte motiva).
La Corte Costituzionale tedesca, pur non interferendo sulla modesta riforma del codice civile, afferma tuttavia la necessità di completare la tutela civile, attraverso il riconoscimento del danno da lesione del diritto generale della personalità (allgemeiness Personlichkeitsrecht).
Come si nota, due importanti Stati dell’unione, dotati di una Costituzione che espressamente prevede riconoscimento e tutela anche in sede civile, dei diritti umani, seguono vie diverse ma convergenti verso la effettività della tutela anche in via giurisdizionale".
Più avanti la Cassazione ha concluso: "Il legislatore italiano non si è dunque ispirato alla riforma codicistica germanica del paragrafo 253 Comma secondo del B.G.B, e neppure alla configurazione di una categoria unitaria del danno esistenziale, nella quale ricondurre tutti i pregiudizi che a prescindere dalla fonte (illecito o contratto o legge speciale) da cui derivano o dallo specifico ambito dalla sfera personale che coinvologono, si manifestano sempre come modificazioni peggiorative delle attività attraverso le quali il singolo realizza la propria personalità.
La stessa definizione del danno biologico da illecito della circolazione, contenuta negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni, a carattere ricognitivo del diritto vivente e dello stato dell’arte medico legale, evidenzia la struttura complessa del danno biologico, che ha una componente a prova scientifica medico legale e due componenti a prova libera (la incidenza negativa sulle attività quotidiane e la incidenza negativa sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato).
Se si dovesse accogliere la proposta della figura unitaria del danno esistenziale, la definizione analitica data dal codice delle assicurazioni, sicuramente includerebbe anche una componente esistenziale, integrando la valutazione tabellare, per il principio generale della riparazione integrale del danno alla salute".
L’inammissibilità del riconoscimento del danno in re ipsa
Sostiene dunque il ricorrente di aver chiesto, sin dal primo grado e ribadito in appello, di aver subito un danno esistenziale iure proprio, in relazione alle rilevanti modificazioni della propria vita privata e del rapporto familiare o parentale, quale conseguenza irreparabile della perdita della figlia di appena sette anni (FF 19 e 20 del ricorso), aggiunge poi che il danno è in re ipsa (danno già presunto per la sua stessa natura), e che pertanto non necessita di prova in concreto né di accertamento medico legale, e che deve presumersi sino a prova contraria, ogni qualvolta la offesa, per la sua gravità, colpisce soprattutto in modo irreversibile la integrità e solidarietà degli affetti e del nucleo familiare. Sostiene inoltre come errata la inclusione della vita di relazione nell’ambito del danno biologico.
Essendo questo il nucleo della difesa sostanziale, malgrado l’abbondanza dei riferimenti giurisprudenziali ed il forte quadro dei riferimenti costituzionali e di diritto comune ed alla Convenzione sui diritti umani, occorre dar conto della non decisività ed autosufficienza del ricorso, proprio in relazione al principio dello onere della prova, confermato dalle SU di questa Corte, nella recente sentenza 2 marzo 2006 n.6472 e nelle successive Cass. semplici n 23918 del 2006 e 13546 del 2006. Le tre decisioni appena richiamate concordano tutte nel ritenere che la prova, anche del danno parentale-esistenziale, è a carico di chi ne chiede il risarcimento, ed il giudice deve decidere iuxta allegata et probata, secondo le prove, anche in via presuntiva, dedotte dalla parte.
Nel caso di specie invece è perentoria la affermazione del DANNO IN RE IPSA, riproducendosi la teoria del cd. danno evento, in connessione alla violazione del diritto, e con valutazione equitativa rimessa al prudente apprezzamento del giudice.
Poiché questa Corte ritiene che la esistenza del danno parentale, qualunque sia il profilo dedotto (come danno diretto di ordine psichico, o come patema d’animo proprio del danno morale, o come autonomo danno esistenziale, ma ancorato a posizioni soggettive costituzionalmente protette) debba essere provata come danno conseguenza (nella specie di un illecito sanitario da cui è derivata la morte di una giovanissima paziente ricoverata e non debitamente curata), il motivo stesso difetta in radice di decisività e di autosufficienza, non rendendo evidenti le ragioni specifiche e le circostanze rilevanti da cui desumere, anche in via presuntiva la esistenza del danno.
Non sussiste pertanto nessun error in iudicando e nessuna violazione delle norme sostanziali e comunitarie richiamate.
Non sussiste neppure il vizio della motivazione, ed in vero, come si evince chiaramente dalla motivazione impugnata (ff 8 e 9) la Corte ha considerato essenzialmente il danno parentale come danno morale soggettivo(ff 8), ritenendo riduttiva la valutazione tabellare data dai primi giudici e provvedendo ad una adeguata rideterminazione, tenendo conto delle varie circostanze (ff 6) dedotte per dimostrare la entità e la intensità delle sofferenze patite dal padre e quindi (ff 9) ha escluso la considerazione del danno esistenziale, assumendo che il profilo dedotto per tale pregiudizio era stato considerato, come componente del danno psichico, nel risarcimento del danno biologico, onde una terza liquidazione avrebbe condotto quanto meno ad una duplicazione delle poste risarcitorie. Non sussiste contraddittorietà, proprio in relazione alla non chiarezza delle causae petendi poste in essere dal ricorrente, che avrebbe dovuto saper scegliere il profilo causale più rilevante ai fini della indi viduazione della posta risarcitoria, non contestando neppure la non congruità eventuale della liquidazione modesta del danno biologico (v. sentenza di appello a ff 8).
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 8 ottobre 2007, n.20987: Danno esistenziale - Danno-evento - Danno in re ipsa - Esclusione - Danno-conseguenza - Ammissibilità).