Cassazione Penale: 231 per spa a cui il comune ha trasferito raccolta e smaltimento rifiuti

La società d’ambito costituita nella forma di società per azioni per svolgere, secondo criteri di economicità, le funzioni in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alla stessa da enti pubblici territoriali è vincolata dal rispetto della disciplina del Decreto Legislativo 231/2001?

La risposta della Cassazione è affermativa, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale di Enna che con ordinanza aveva rigettato la richiesta diretta all’applicazione delle misure cautelari della sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli già concessi ed in via subordinata la nomina di un commissario giudiziale per la durata di un anno.

Seguiamo le argomentazioni della Cassazione.

“Appare dunque evidente che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina idi cui al Decreto Legislativo 231/2001; deve necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo. Nel caso in questione appare pacifico lo svolgimento dell’attività economica da parte della società, che, anzi, proprio in ragione della sua struttura societaria evidenzia la presenza di una tale caratteristica. Tale conclusione peraltro è condivisa dallo stesso Tribunale del riesame, che sottolinea come la società deve informare, tra l’altro, la propria attività a criteri di economicità consentendo la totale copertura dei costi della gestione integrata e integrale del ciclo dei rifiuti, con conseguente applicabilità, nei suoi confronti dell’art. 2201 del c.c. Ciò premesso però il Tribunale del riesame ha escluso l’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 sulla base dell’avvenuto trasferimento di funzioni dall’ente territoriale Comune alla società d’ambito costituita in forma di s.p.a., a seguito del commissariamento emergenziale della regione Sicilia in materia di rifiuti, come imposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della protezione civile. Proprio dal trasferimento delle funzioni dall’ente territoriale alla Società d’ambito deriverebbe l’impossibilità di applicare la disciplina del d.lgs. n. 231/2001.

Una tale conclusione non può essere condivisa.

La ratio dell’esenzione è infatti quella di escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001 enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalmente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione. In questo caso, infatti, verrebbero in considerazione ragioni dirimenti che traggono la loro origine dalla necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del Paese.

Nella fattispecie in esame tuttavia proprio la preminente, se non esclusiva, attività di impresa che deve essere riconosciuta alla Società non può essere messa in dubbio dallo svolgimento di una attività, che ha sicuramente ricadute indirette su beni costituzionalmente garantiti, quali ad esempio il diritto alla salute (art. 32 cost.), il diritto all’ambiente (art. 9 cost.), ma che innanzitutto si caratterizza per una attività e per un servizio che, per statuto, sono impostati su criteri di economicità, ravvisabili nella tendenziale equiparazione tra i costi ed i ricavi, per consentire la totale copertura dei costi della gestione integrata ed integrale del ciclo dei rifiuti. Non si tratta dunque di avallare un criterio "formale" di applicazione della norma, ma di individuare attraverso una lettura strutturale della norma medesima, il suo corretto ambito applicativo, quale emerge anche dal dato letterale. L’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i comuni, non possono tralaticiamente essere riconosciute a soggetti che anno a struttura una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione. Una conclusione diversa porterebbe all’inaccettabile conclusione, sicuramente al di fuori sia della volontà del legislatore delegante che del legislatore delegato, di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in esame un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore dello smaltimento dei rifiuti, e quindi con attività in cui viene in rilievo, come interesse diffuso, il diritto alla salute e all’ambiente, ma anche là dove viene in rilievo quello all’informazione, alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico e artistico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, in sostanza in tutti i casi in cui vengono ad essere coinvolti, seppur indirettamente, dall’attività degli enti interessati, i valori costituzionali di cui alla parte prima della Costituzione.

Né, sulle base delle argomentazioni svolte dal P.M., può ritenersi corretta la ritenuta esclusione del pericolo concreto della reiterabilità della commissione di illeciti analoghi a quelli per cui si procede. In realtà la circostanza della nomina di amministratori scelti dalla Regione è di per sé circostanza neutra rispetto all’esigenza di escludere il pericolo di reiterazione di condotte di rilevanza penale, in presenza di una attività di liquidazione, che non esclude, ma anzi richiede, sulla base del dato incontestabile dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio di impresa, e sulla base di documenti specificamente indicati dal p.m. ricorrente e provenienti dalla stessa Società, l’espletamento di gare di appalto, l’avviamento di impianti industriali (attività di compostaggio), procedure per il compostaggio domestico, addirittura rinnovo parco macchine e mezzi, la cui compatibilità con la procedura di liquidazione appare allo stato di non i chiara interpretazione.

Il provvedimento impugnato dunque, non appare aver fatto corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 1, 15, 45 d.lgs. n. 231/2001, nel rigettare sia la richiesta principale di applicazione della misura cautelare della sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli già concessi, che quella subordinata di nomina di un commissario giudiziale per la durata di un anno. Deve dunque essere annullato l’impugnato provvedimento con rinvio al Tribunale di Enna per nuovo esame”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 10 gennaio 2011, n.234)

La società d’ambito costituita nella forma di società per azioni per svolgere, secondo criteri di economicità, le funzioni in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alla stessa da enti pubblici territoriali è vincolata dal rispetto della disciplina del Decreto Legislativo 231/2001?

La risposta della Cassazione è affermativa, contrariamente a quanto deciso dal Tribunale di Enna che con ordinanza aveva rigettato la richiesta diretta all’applicazione delle misure cautelari della sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli già concessi ed in via subordinata la nomina di un commissario giudiziale per la durata di un anno.

Seguiamo le argomentazioni della Cassazione.

“Appare dunque evidente che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina idi cui al Decreto Legislativo 231/2001; deve necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo. Nel caso in questione appare pacifico lo svolgimento dell’attività economica da parte della società, che, anzi, proprio in ragione della sua struttura societaria evidenzia la presenza di una tale caratteristica. Tale conclusione peraltro è condivisa dallo stesso Tribunale del riesame, che sottolinea come la società deve informare, tra l’altro, la propria attività a criteri di economicità consentendo la totale copertura dei costi della gestione integrata e integrale del ciclo dei rifiuti, con conseguente applicabilità, nei suoi confronti dell’art. 2201 del c.c. Ciò premesso però il Tribunale del riesame ha escluso l’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 sulla base dell’avvenuto trasferimento di funzioni dall’ente territoriale Comune alla società d’ambito costituita in forma di s.p.a., a seguito del commissariamento emergenziale della regione Sicilia in materia di rifiuti, come imposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della protezione civile. Proprio dal trasferimento delle funzioni dall’ente territoriale alla Società d’ambito deriverebbe l’impossibilità di applicare la disciplina del d.lgs. n. 231/2001.

Una tale conclusione non può essere condivisa.

La ratio dell’esenzione è infatti quella di escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001 enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalmente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione. In questo caso, infatti, verrebbero in considerazione ragioni dirimenti che traggono la loro origine dalla necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del Paese.

Nella fattispecie in esame tuttavia proprio la preminente, se non esclusiva, attività di impresa che deve essere riconosciuta alla Società non può essere messa in dubbio dallo svolgimento di una attività, che ha sicuramente ricadute indirette su beni costituzionalmente garantiti, quali ad esempio il diritto alla salute (art. 32 cost.), il diritto all’ambiente (art. 9 cost.), ma che innanzitutto si caratterizza per una attività e per un servizio che, per statuto, sono impostati su criteri di economicità, ravvisabili nella tendenziale equiparazione tra i costi ed i ricavi, per consentire la totale copertura dei costi della gestione integrata ed integrale del ciclo dei rifiuti. Non si tratta dunque di avallare un criterio "formale" di applicazione della norma, ma di individuare attraverso una lettura strutturale della norma medesima, il suo corretto ambito applicativo, quale emerge anche dal dato letterale. L’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i comuni, non possono tralaticiamente essere riconosciute a soggetti che anno a struttura una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione. Una conclusione diversa porterebbe all’inaccettabile conclusione, sicuramente al di fuori sia della volontà del legislatore delegante che del legislatore delegato, di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in esame un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore dello smaltimento dei rifiuti, e quindi con attività in cui viene in rilievo, come interesse diffuso, il diritto alla salute e all’ambiente, ma anche là dove viene in rilievo quello all’informazione, alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico e artistico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, in sostanza in tutti i casi in cui vengono ad essere coinvolti, seppur indirettamente, dall’attività degli enti interessati, i valori costituzionali di cui alla parte prima della Costituzione.

Né, sulle base delle argomentazioni svolte dal P.M., può ritenersi corretta la ritenuta esclusione del pericolo concreto della reiterabilità della commissione di illeciti analoghi a quelli per cui si procede. In realtà la circostanza della nomina di amministratori scelti dalla Regione è di per sé circostanza neutra rispetto all’esigenza di escludere il pericolo di reiterazione di condotte di rilevanza penale, in presenza di una attività di liquidazione, che non esclude, ma anzi richiede, sulla base del dato incontestabile dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio di impresa, e sulla base di documenti specificamente indicati dal p.m. ricorrente e provenienti dalla stessa Società, l’espletamento di gare di appalto, l’avviamento di impianti industriali (attività di compostaggio), procedure per il compostaggio domestico, addirittura rinnovo parco macchine e mezzi, la cui compatibilità con la procedura di liquidazione appare allo stato di non i chiara interpretazione.

Il provvedimento impugnato dunque, non appare aver fatto corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 1, 15, 45 d.lgs. n. 231/2001, nel rigettare sia la richiesta principale di applicazione della misura cautelare della sanzione interdittiva dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli già concessi, che quella subordinata di nomina di un commissario giudiziale per la durata di un anno. Deve dunque essere annullato l’impugnato provvedimento con rinvio al Tribunale di Enna per nuovo esame”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 10 gennaio 2011, n.234)