Cassazione Penale: diritti di difesa dell’ente sotto processo per responsabilità ex 231

Interessante pronuncia della Cassazione che chiarisce alcune importanti questioni processuali nel caso di procedimento nei confronti dell’ente per responsabilità da reato di cui al Decreto Legislativo 231/2001.

La Cassazione ha ribadito che “L’articolo 39 Decreto Legislativo 231/2001 pone al rappresentante legale che sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo un esplicito divieto di rappresentare l’ente, divieto che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante: è evidente in tali casi il conflitto di interessi che si verificherebbe qualora l’ente fosse rappresentato dallo stesso soggetto imputato del reato presupposto”.

”Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 Decreto Legislativo 231/2001 è assoluto, non ammette deroghe in quanto è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo imputato in un procedimento penale; d’altra parte tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se fosse ammessa la possibilità che l’ente partecipasse al procedimento rappresentato da un soggetto portatore di interessi configgenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l’esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure dall’art. 39 cit. e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice, come invece sostiene il ricorrente. Il divieto assoluto di rappresentanza scatta in presenza della situazione contemplata dall’art. 39 cit., cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità”.

"Il divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 cit. non può che valere anche nell’ipotesi in cui il rappresentante dell’ente sia soltanto indagato, in quanto la ratio della disposizione va individuata nella necessità di evitare situazioni di conflitto di interesse con l’ente, verificabili soprattutto nelle prime e delicate fasi delle indagini, "di fondamentale importanza per le acquisizioni richieste per gli atti propulsivi del procedimento" (così, Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 15689, A.R.I. lnternational s.r.l.). D’altra parte, nel nostro sistema processuale le garanzie previste a favore dell’imputato si estendono all’indagato e tale regola, sancita dall’art. 61 c.p.p., trova applicazione anche nel processo a carico dell’ente, attraverso la norma di chiusura di cui all’art. 34 Decreto Legislativo 231/2001".

"Così inteso - prosegue la Cassazione - il divieto di cui all’art. 39 Decreto Legislativo 231/2001 produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante "incompatibile" all’interno del procedimento penale che riguarda l’ente devono essere considerate inefficaci. La riprova di questa soluzione radicale è costituita dall’art. 43 comma 2 Decreto Legislativo 231/2001, che individua l’unica eccezione al divieto di rappresentanza, in quanto riconosce espressamente l’efficacia delle notifiche eseguite mediante la consegna al legale rappresentante "anche se imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo".

... "la semplice nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del rappresentante legale "incompatibile" deve considerarsi ricompresa nel divieto posto dall’art. 39 comma 1 Decreto Legislativo 231/2001, in quanto realizzata da un soggetto che non è legittimato a rappresentare l’ente, cioè ad esprimere la volontà del soggetto collettivo nel procedimento che lo riguarda. Del resto la nomina del difensore non può essere considerata un atto neutro, ma anzi è strettamente connessa alla partecipazione nel processo, anche in considerazione dei maggiori poteri rappresentativi che il difensore ha nel processo a carico dell’ente (art. 39 comma 4 Decreto Legislativo 231/2001), sicché è evidente come una tale decisione possa apparire quanto meno "sospetta" qualora provenga da un soggetto che la legge considera "incompetente" a rappresentare l’ente. Tra l’altro si tratta di una scelta che determina l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra le parti, garantito anche dal segreto professionale, sicché l’atto di nomina deve avere i caratteri di una libera determinazione dell’ente e non può essere rimessa ad un soggetto che si trova in una situazione di conflitto di interessi, presunta dalla legge in termini assoluti. Le preoccupazioni pratiche rispetto alla necessità di far intervenire al più presto un difensore di fiducia per tutelare la posizione dell’ ente, ad esempio per impugnare provvedimenti cautelari emessi a suo carico, sono recessive rispetto all’esigenza di assicurare il pieno ed effettivo diritto di difesa all’ente stesso, anche attraverso un atto di nomina del difensore che non appaia inquinato da valutazioni estranee all’interesse della società coinvolta nel processo. In queste ipotesi la nomina verrà effettuata da un diverso organo della società, che potrà anche essere il nuovo rappresentante legale ovvero il rappresentante ad processum, ma deve escludersi che il difensore possa essere designato dal rappresentante in situazione di incompatibilità”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 28 ottobre 2009, n.41398: Responsabilità da reato dell’ente - Rappresentanza).

Interessante pronuncia della Cassazione che chiarisce alcune importanti questioni processuali nel caso di procedimento nei confronti dell’ente per responsabilità da reato di cui al Decreto Legislativo 231/2001.

La Cassazione ha ribadito che “L’articolo 39 Decreto Legislativo 231/2001 pone al rappresentante legale che sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo un esplicito divieto di rappresentare l’ente, divieto che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante: è evidente in tali casi il conflitto di interessi che si verificherebbe qualora l’ente fosse rappresentato dallo stesso soggetto imputato del reato presupposto”.

”Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 Decreto Legislativo 231/2001 è assoluto, non ammette deroghe in quanto è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo imputato in un procedimento penale; d’altra parte tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se fosse ammessa la possibilità che l’ente partecipasse al procedimento rappresentato da un soggetto portatore di interessi configgenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l’esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure dall’art. 39 cit. e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice, come invece sostiene il ricorrente. Il divieto assoluto di rappresentanza scatta in presenza della situazione contemplata dall’art. 39 cit., cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità”.

"Il divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 cit. non può che valere anche nell’ipotesi in cui il rappresentante dell’ente sia soltanto indagato, in quanto la ratio della disposizione va individuata nella necessità di evitare situazioni di conflitto di interesse con l’ente, verificabili soprattutto nelle prime e delicate fasi delle indagini, "di fondamentale importanza per le acquisizioni richieste per gli atti propulsivi del procedimento" (così, Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 15689, A.R.I. lnternational s.r.l.). D’altra parte, nel nostro sistema processuale le garanzie previste a favore dell’imputato si estendono all’indagato e tale regola, sancita dall’art. 61 c.p.p., trova applicazione anche nel processo a carico dell’ente, attraverso la norma di chiusura di cui all’art. 34 Decreto Legislativo 231/2001".

"Così inteso - prosegue la Cassazione - il divieto di cui all’art. 39 Decreto Legislativo 231/2001 produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante "incompatibile" all’interno del procedimento penale che riguarda l’ente devono essere considerate inefficaci. La riprova di questa soluzione radicale è costituita dall’art. 43 comma 2 Decreto Legislativo 231/2001, che individua l’unica eccezione al divieto di rappresentanza, in quanto riconosce espressamente l’efficacia delle notifiche eseguite mediante la consegna al legale rappresentante "anche se imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo".

... "la semplice nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del rappresentante legale "incompatibile" deve considerarsi ricompresa nel divieto posto dall’art. 39 comma 1 Decreto Legislativo 231/2001, in quanto realizzata da un soggetto che non è legittimato a rappresentare l’ente, cioè ad esprimere la volontà del soggetto collettivo nel procedimento che lo riguarda. Del resto la nomina del difensore non può essere considerata un atto neutro, ma anzi è strettamente connessa alla partecipazione nel processo, anche in considerazione dei maggiori poteri rappresentativi che il difensore ha nel processo a carico dell’ente (art. 39 comma 4 Decreto Legislativo 231/2001), sicché è evidente come una tale decisione possa apparire quanto meno "sospetta" qualora provenga da un soggetto che la legge considera "incompetente" a rappresentare l’ente. Tra l’altro si tratta di una scelta che determina l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra le parti, garantito anche dal segreto professionale, sicché l’atto di nomina deve avere i caratteri di una libera determinazione dell’ente e non può essere rimessa ad un soggetto che si trova in una situazione di conflitto di interessi, presunta dalla legge in termini assoluti. Le preoccupazioni pratiche rispetto alla necessità di far intervenire al più presto un difensore di fiducia per tutelare la posizione dell’ ente, ad esempio per impugnare provvedimenti cautelari emessi a suo carico, sono recessive rispetto all’esigenza di assicurare il pieno ed effettivo diritto di difesa all’ente stesso, anche attraverso un atto di nomina del difensore che non appaia inquinato da valutazioni estranee all’interesse della società coinvolta nel processo. In queste ipotesi la nomina verrà effettuata da un diverso organo della società, che potrà anche essere il nuovo rappresentante legale ovvero il rappresentante ad processum, ma deve escludersi che il difensore possa essere designato dal rappresentante in situazione di incompatibilità”.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 28 ottobre 2009, n.41398: Responsabilità da reato dell’ente - Rappresentanza).