Cassazione Penale: il componente del CdA risponde di falso in bilancio per la cattiva gestione del legale rappresentante
La Cassazione ha stabilito che il componente del consiglio di amministrazione di una società risponde del reato di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta nel caso in cui la società sia caduta in dissesto per la cattiva gestione da parte del rappresentante legale.
Sul componente del consiglio di amministrazione grava una ben precisa responsabilità, essendo questi tenuti a svolgere, in base a quanto previsto dall’articolo 2392 del Codice Civile, la propria attività con la “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”, una forma di diligenza qualificata e diversa da quella ordinaria del buon padre di famiglia ex articolo 1176, comma 1, del Codice Civile.
Una forma di diligenza che una parte della dottrina ha qualificato come professionale, non esistendo in realtà alcun albo e non configurandosi quindi la stessa come una “professione protetta”.
Irrilevante è che il rappresentante legale abbia agito “da sovrano assoluto” e che la stessa imputata fosse priva di reali poteri decisionali. In capo ai membri del consiglio grava un preciso obbligo di controllo e sorveglianza sull’operato degli altri membri.
La Corte territoriale aveva constatato che, in base a interventi specifici svolti dall’imputata in merito alla situazione contabile, era da ritenersi provata una sua attiva partecipazione all’amministrazione della società fallita.
Di conseguenza, il componente della CdA risponde del reato di bancarotta impropria, in concorso con il reale gestore e responsabile, essendo sussistente l’elemento soggettivo di tale reato, ossia il dolo, “da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori”.
(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 9 ottobre 2014, n. 42257)
La Cassazione ha stabilito che il componente del consiglio di amministrazione di una società risponde del reato di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta nel caso in cui la società sia caduta in dissesto per la cattiva gestione da parte del rappresentante legale.
Sul componente del consiglio di amministrazione grava una ben precisa responsabilità, essendo questi tenuti a svolgere, in base a quanto previsto dall’articolo 2392 del Codice Civile, la propria attività con la “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”, una forma di diligenza qualificata e diversa da quella ordinaria del buon padre di famiglia ex articolo 1176, comma 1, del Codice Civile.
Una forma di diligenza che una parte della dottrina ha qualificato come professionale, non esistendo in realtà alcun albo e non configurandosi quindi la stessa come una “professione protetta”.
Irrilevante è che il rappresentante legale abbia agito “da sovrano assoluto” e che la stessa imputata fosse priva di reali poteri decisionali. In capo ai membri del consiglio grava un preciso obbligo di controllo e sorveglianza sull’operato degli altri membri.
La Corte territoriale aveva constatato che, in base a interventi specifici svolti dall’imputata in merito alla situazione contabile, era da ritenersi provata una sua attiva partecipazione all’amministrazione della società fallita.
Di conseguenza, il componente della CdA risponde del reato di bancarotta impropria, in concorso con il reale gestore e responsabile, essendo sussistente l’elemento soggettivo di tale reato, ossia il dolo, “da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori”.
(Corte di Cassazione - Quinta Sezione Penale, Sentenza 9 ottobre 2014, n. 42257)