Cassazione Penale: vademecum per il rispetto del diritto all’oblio nei talk show
Leggiamo i passaggi fondamentali della sentenza.
"In particolare, con riferimento all’ipotesi della diffamazione a mezzo mass media, è risaputo che la libertà di stampa, precipua espressione del diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 Cost., comporta la compressione dei beni giuridici della riservatezza, dell’onore e della reputazione, che attenendo alla sfera dei diritti della persona, hanno pur essi dignità costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.). Attualità della notizia ed attualità dell’interesse pubblico costituiscono risvolti di una delle condizioni alle quali è subordinato l’esercizio del diritto di cronaca o di critica che, sostanziando quel presidio costituzionale, giustifica il sacrificio degli anzidetti beni giuridici ed integra, sul piano penale, la speciale esimente di cui all’art.51 c.p..
Il decorso del tempo può attenuare l’attualità della notizia e far scemare, al tempo stesso, anche l’interesse pubblico dell’informazione.
Può anche verificarsi, nondimeno, che all’effetto di dissolvenza dell’attualità della notizia non faccia riscontro l’affievolimento dell’interesse pubblico o che – non più attuale la notizia – riviva, per qualsivoglia ragione, l’interesse alla sua divulgazione.
Nondimeno, in quest’ultima ipotesi, il persistente o rivitalizzato interesse pubblico, che – in costanza di attualità della notizia – doveva equilibrarsi con il diritto alla riservatezza, all’onore od alla reputazione, deve trovare – quando la notizia non è più attuale – un contemperamento con un nuovo diritto, quello all’oblio, anche nell’ulteriore accezione semantica di legittima aspettativa della persona ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva.
…
La ricerca di un giusto bilanciamento delle opposte esigenze è particolarmente delicata nell’ipotesi in cui si tratti di notizie relative ad indagini riguardanti un grave episodio delittuoso, che, a suo tempo, abbia destato enorme impressione nell’opinione pubblica e che, al pari di tanti altri, sia rimasto senza un colpevole.
…
Riferire a distanza di tempo, dello sviluppo di indagini di polizia giudiziaria deve ritenersi consentito in una ricostruzione storica dell’evento, pure a distanza di tempo e persino in chiave di critica all’operato degli inquirenti ed al modo in cui è stata svolta l’inchiesta. Non solo, ma secondo un fatto di costume oggi invalso e, comunemente, accetto, è consentito pure rivisitare in talk show televisivi gravi fatti delittuosi oggetto di indagini e persino di processo, nella ricerca di una verità mediatica in parallelo a quella sostanziale od a quella processuale. Iniziative di siffatto genere riscuotono, a quanto pare, apprezzabili indici di gradimento nell’utenza e sembrano inserirsi in un singolare fenomeno mediatico che tende a offrire una realtà immaginifica o virtuale, capace, nondimeno, per forza di persuasione, di sovrapporsi – ove acriticamente recepita dagli utenti – a quella sostanziale o, quanto meno, a collocarsi in un ambito in cui i confini tra immaginario e reale diventano sempre più labili e non facilmente distinguibili.
Ma in tali casi l’obbligo deontologico del giornalista deve parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiore dell’ordinario.
Non gli è, infatti, consentito, neppure in chiave retrospettiva, riferire di ipotesi investigative o di meri sospetti degli inquirenti (veri o presunti che siano) senza precisare, al tempo stesso, che quelle ipotesi o sospetti sono rimasti privi di riscontro. Le ipotesi degli investigatori che non abbiano trovato conforto nelle indagini sono il nulla assoluto, cui deve essere inibita ogni rilevanza esterna in quanto la loro divulgazione. Monca del relativo esito, è capace di nuocere alla reputazione ed all’onorabilità delle persone che siano state (ingiustamente) sospettate. Allo stesso modo – potrebbe dirsi – in cui non hanno dignità esterna e meritano di essere relegate nel dimenticatoio o definitivamente cestinate le bozze rivedute e corrette di un’opera letteraria o le riprese non riuscite di un grande film, tagliate in sede i montaggio.
Ove esigenze di ricostruzione artistica lo richiedano e permanga – o si riattualizzi – l’interesse pubblico alla relativa propalazione, la notizia deve essere accompagnata dalla doverosa avvertenza che le tesi investigative sono rimaste a livello di mera ipotesi di lavoro in quanto non hanno trovato alcuna conferma o, addirittura, sono state decisamente smentite dallo sviluppo istruttorio.
Parimenti, può essere lecito riferire della qualità di indagato che una persona abbia assunto nell’ambito di una determinata inchiesta penale, ma – ove l’attività di indagine preliminare non abbia portato ad un epilogo tale da consentire il rinvio a giudizio e si sia conclusa con un decreto di archiviazione – il giornalista, che rievochi quella vicenda, è obbligato a darne conto, avendo il dovere giuridico di rendere una informazione completa e di effettuare, all’uopo, tutti i necessari controlli per verificare quale approdo abbia mai avuto quella determinata indagine.
Alla stessa stregua, egli può riferire di determinate attività investigative, ma è tenuto a comunicarne l’esito, perché dire che una persona è stata perquisita, controllata, o sottoposta particolari esami (quali, ad esempio, DNA, stub o quant’altro) - nel quadro di un’indagine per gravi fatti delittuosi – senza precisare che quegli accertamenti hanno avuto riscontro negativo significa ledere l’immagine e la reputazione della persona interessata ed il suo diritto all’oblio, come sopra enunciato.
Una notizia monca od incompleta è capace, infatti, di le fede l’onorabilità dell’interessato e la proiezione sociale della sua personalità. Solo la completezza dell’informazione può, infatti, consentire all’utente od al lettore di formarsi un corretto e ponderato giudizio di valore – o, semmai, di disvalore – su una data vicenda o su una determinata persona".
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 novembre 2009, n.45051: Diffamazione in talk show).
Leggiamo i passaggi fondamentali della sentenza.
"In particolare, con riferimento all’ipotesi della diffamazione a mezzo mass media, è risaputo che la libertà di stampa, precipua espressione del diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 Cost., comporta la compressione dei beni giuridici della riservatezza, dell’onore e della reputazione, che attenendo alla sfera dei diritti della persona, hanno pur essi dignità costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.). Attualità della notizia ed attualità dell’interesse pubblico costituiscono risvolti di una delle condizioni alle quali è subordinato l’esercizio del diritto di cronaca o di critica che, sostanziando quel presidio costituzionale, giustifica il sacrificio degli anzidetti beni giuridici ed integra, sul piano penale, la speciale esimente di cui all’art.51 c.p..
Il decorso del tempo può attenuare l’attualità della notizia e far scemare, al tempo stesso, anche l’interesse pubblico dell’informazione.
Può anche verificarsi, nondimeno, che all’effetto di dissolvenza dell’attualità della notizia non faccia riscontro l’affievolimento dell’interesse pubblico o che – non più attuale la notizia – riviva, per qualsivoglia ragione, l’interesse alla sua divulgazione.
Nondimeno, in quest’ultima ipotesi, il persistente o rivitalizzato interesse pubblico, che – in costanza di attualità della notizia – doveva equilibrarsi con il diritto alla riservatezza, all’onore od alla reputazione, deve trovare – quando la notizia non è più attuale – un contemperamento con un nuovo diritto, quello all’oblio, anche nell’ulteriore accezione semantica di legittima aspettativa della persona ad essere dimenticata dall’opinione pubblica e rimossa dalla memoria collettiva.
…
La ricerca di un giusto bilanciamento delle opposte esigenze è particolarmente delicata nell’ipotesi in cui si tratti di notizie relative ad indagini riguardanti un grave episodio delittuoso, che, a suo tempo, abbia destato enorme impressione nell’opinione pubblica e che, al pari di tanti altri, sia rimasto senza un colpevole.
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Riferire a distanza di tempo, dello sviluppo di indagini di polizia giudiziaria deve ritenersi consentito in una ricostruzione storica dell’evento, pure a distanza di tempo e persino in chiave di critica all’operato degli inquirenti ed al modo in cui è stata svolta l’inchiesta. Non solo, ma secondo un fatto di costume oggi invalso e, comunemente, accetto, è consentito pure rivisitare in talk show televisivi gravi fatti delittuosi oggetto di indagini e persino di processo, nella ricerca di una verità mediatica in parallelo a quella sostanziale od a quella processuale. Iniziative di siffatto genere riscuotono, a quanto pare, apprezzabili indici di gradimento nell’utenza e sembrano inserirsi in un singolare fenomeno mediatico che tende a offrire una realtà immaginifica o virtuale, capace, nondimeno, per forza di persuasione, di sovrapporsi – ove acriticamente recepita dagli utenti – a quella sostanziale o, quanto meno, a collocarsi in un ambito in cui i confini tra immaginario e reale diventano sempre più labili e non facilmente distinguibili.
Ma in tali casi l’obbligo deontologico del giornalista deve parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiore dell’ordinario.
Non gli è, infatti, consentito, neppure in chiave retrospettiva, riferire di ipotesi investigative o di meri sospetti degli inquirenti (veri o presunti che siano) senza precisare, al tempo stesso, che quelle ipotesi o sospetti sono rimasti privi di riscontro. Le ipotesi degli investigatori che non abbiano trovato conforto nelle indagini sono il nulla assoluto, cui deve essere inibita ogni rilevanza esterna in quanto la loro divulgazione. Monca del relativo esito, è capace di nuocere alla reputazione ed all’onorabilità delle persone che siano state (ingiustamente) sospettate. Allo stesso modo – potrebbe dirsi – in cui non hanno dignità esterna e meritano di essere relegate nel dimenticatoio o definitivamente cestinate le bozze rivedute e corrette di un’opera letteraria o le riprese non riuscite di un grande film, tagliate in sede i montaggio.
Ove esigenze di ricostruzione artistica lo richiedano e permanga – o si riattualizzi – l’interesse pubblico alla relativa propalazione, la notizia deve essere accompagnata dalla doverosa avvertenza che le tesi investigative sono rimaste a livello di mera ipotesi di lavoro in quanto non hanno trovato alcuna conferma o, addirittura, sono state decisamente smentite dallo sviluppo istruttorio.
Parimenti, può essere lecito riferire della qualità di indagato che una persona abbia assunto nell’ambito di una determinata inchiesta penale, ma – ove l’attività di indagine preliminare non abbia portato ad un epilogo tale da consentire il rinvio a giudizio e si sia conclusa con un decreto di archiviazione – il giornalista, che rievochi quella vicenda, è obbligato a darne conto, avendo il dovere giuridico di rendere una informazione completa e di effettuare, all’uopo, tutti i necessari controlli per verificare quale approdo abbia mai avuto quella determinata indagine.
Alla stessa stregua, egli può riferire di determinate attività investigative, ma è tenuto a comunicarne l’esito, perché dire che una persona è stata perquisita, controllata, o sottoposta particolari esami (quali, ad esempio, DNA, stub o quant’altro) - nel quadro di un’indagine per gravi fatti delittuosi – senza precisare che quegli accertamenti hanno avuto riscontro negativo significa ledere l’immagine e la reputazione della persona interessata ed il suo diritto all’oblio, come sopra enunciato.
Una notizia monca od incompleta è capace, infatti, di le fede l’onorabilità dell’interessato e la proiezione sociale della sua personalità. Solo la completezza dell’informazione può, infatti, consentire all’utente od al lettore di formarsi un corretto e ponderato giudizio di valore – o, semmai, di disvalore – su una data vicenda o su una determinata persona".
(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 novembre 2009, n.45051: Diffamazione in talk show).