Cassazione SU Civili: ragionevole durata del processo e eccezione di difetto di giurisdizione
Con la pronuncia n. 24883 del 9.10.2008, le Sezioni Unite, dopo aver ripercorso l’evoluzione del quadro legislativo, hanno chiarito che:
1) in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito fino a quando la causa non sia decisa nel merito ed è altresì proponibile, entro i medesimi termini, il regolamento preventivo di giurisdizione;
2) la sentenza di primo grado è sempre impugnabile per difetto di giurisdizione mentre quella di appello lo è solo nel caso in cui sul punto non si sia formato giudicato (implicito o esplicito);
3) il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio fino a quando non si sia formato giudicato (implicito o esplicito) sul punto.
Il principio della ragionevole durata del processo diviene, pertanto, la chiave di lettura dell’art. 37 cpc, interpretazione confermata anche attraverso la comparazione sistematica con l’art. 38 cpc. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, la decisione di una causa nel merito, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 276, secondo comma, e 37 cpc, implica che il giudice abbia risolto in senso positivo la questione pregiudiziale della giurisdizione.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la parte formuli impugnazione senza eccepire esplicitamente il difetto di giurisdizione, si verifica il fenomeno dell’acquiescenza, con le preclusioni che ne derivano ex artt. 329, II comma, e 324 cpc. Pertanto, l’art. 37 cpc secondo cui “ il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della p.a. o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo” deve essere letto in chiave restrittiva, risultando oggi in contrasto con il principio di economia processuale.
Il tenore letterale della norma, continua la Corte, resta integro solo nel caso in cui la sentenza non contenga statuizioni che implichino l’affermazione della giurisdizione come, per esempio, nel caso di pronunce sull’ammissibilità della domanda. L’interpretazione basata sulla sola lettera della legge, infatti, viola il combinato disposto di cui agli artt. 24 e 111 Cost., consentendo una inutile regressione del processo al suo stato iniziale e vanificando ben due gradi di giudizio.
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite, Sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883: Difetto di giurisdizione - Rilevabilità - Ragionevole durata del processo).
[Avv. Ilaria Pietroletti]
Con la pronuncia n. 24883 del 9.10.2008, le Sezioni Unite, dopo aver ripercorso l’evoluzione del quadro legislativo, hanno chiarito che:
1) in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito fino a quando la causa non sia decisa nel merito ed è altresì proponibile, entro i medesimi termini, il regolamento preventivo di giurisdizione;
2) la sentenza di primo grado è sempre impugnabile per difetto di giurisdizione mentre quella di appello lo è solo nel caso in cui sul punto non si sia formato giudicato (implicito o esplicito);
3) il difetto di giurisdizione è rilevabile d’ufficio fino a quando non si sia formato giudicato (implicito o esplicito) sul punto.
Il principio della ragionevole durata del processo diviene, pertanto, la chiave di lettura dell’art. 37 cpc, interpretazione confermata anche attraverso la comparazione sistematica con l’art. 38 cpc. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, la decisione di una causa nel merito, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 276, secondo comma, e 37 cpc, implica che il giudice abbia risolto in senso positivo la questione pregiudiziale della giurisdizione.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la parte formuli impugnazione senza eccepire esplicitamente il difetto di giurisdizione, si verifica il fenomeno dell’acquiescenza, con le preclusioni che ne derivano ex artt. 329, II comma, e 324 cpc. Pertanto, l’art. 37 cpc secondo cui “ il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della p.a. o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo” deve essere letto in chiave restrittiva, risultando oggi in contrasto con il principio di economia processuale.
Il tenore letterale della norma, continua la Corte, resta integro solo nel caso in cui la sentenza non contenga statuizioni che implichino l’affermazione della giurisdizione come, per esempio, nel caso di pronunce sull’ammissibilità della domanda. L’interpretazione basata sulla sola lettera della legge, infatti, viola il combinato disposto di cui agli artt. 24 e 111 Cost., consentendo una inutile regressione del processo al suo stato iniziale e vanificando ben due gradi di giudizio.
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite, Sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883: Difetto di giurisdizione - Rilevabilità - Ragionevole durata del processo).
[Avv. Ilaria Pietroletti]