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Codice dei contratti e Codice del Terzo settore: interpretazioni a confronto

Nel nostro Paese il Terzo settore rappresenta oramai una realtà sempre più rilevante, sia sotto il profilo sociale, per la natura dei servizi svolti, che sotto il profilo occupazionale
Codice del Terzo settore
Codice del Terzo settore

Codice dei contratti e Codice del Terzo settore: interpretazioni a confronto


Nel nostro Paese il Terzo settore rappresenta oramai una realtà sempre più rilevante, sia sotto il profilo sociale, per la natura dei servizi svolti, che sotto il profilo occupazionale.

Il panorama dei soggetti che operano in tale ambito è molto variegato. In particolare, secondo i dati ISTAT (dati al 31.12.2019), su oltre 362.634 istituzioni non profit attive in Italia, l’85% (oltre 308 mila) sono costituite in forma di associazione, riconosciute e non riconosciute, anche se, dal punto di vista occupazionale, queste coprono solo il 18,9% dei lavoratori complessivi, con 163 mila persone. Sotto tale profilo, il vero motore sono le cooperative sociali, che pur rappresentando solo il 4,3% del numero di enti complessivo, offrono lavoro ad oltre 456 mila persone, vale a dire circa il 53% del totale.

Seguono poi le fondazioni, che rappresentano il 2,2% degli enti non profit con oltre 102 mila addetti retribuiti, e, infine, le quasi 40 mila “altre forme giuridiche” (rappresentate principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative) che danno lavoro a oltre 138 mila persone.

Proprio al fine di promuovere un modello economico socialmente responsabile, che, quindi, concili la crescita economica con il raggiungimento di specifici obiettivi sociali (quali, ad esempio, l’incremento occupazionale e l’inclusione ed integrazione sociale) le P.A. spesso ricorrono a tali soggetti affidando loro lo svolgimento di servizi pubblici in favore della collettività, soprattutto per l’acquisto o l’affidamento di servizi alla persona.

Tutto ciò, unito al conseguente notevole impatto della spesa per i servizi sociali sulla finanza pubblica, impone di porre un focus sui rapporti fra Pubblica Amministrazione e Terzo settore.

Allo stato, infatti, la pubblica amministrazione ha a disposizione due possibili linee d’approccio per soddisfare i bisogni emergenti dalle aree di attività di interesse generale.

La prima consiste, ovviamente, nello scegliere di fornire direttamente o indirettamente i servizi e le prestazioni, attraverso un soggetto individuato secondo la procedura di natura competitiva, disciplinata dalle norme del codice dei contratti pubblici.

Al riguardo occorre precisare che anche gli enti del Terzo settore possono partecipare alle gare indette dalle P.A.. Secondo quanto stabilito dal Consiglio di Stato, infatti, l’assenza del fine di lucro non è di per sé ostativa alla partecipazione ad appalti pubblici, non essendo il fine di lucro un elemento essenziale della nozione di operatore economico (si veda sul punto la sentenza n. 116 del 2016).

In alternativa, a tale procedura, le P.A. possono scegliere di operare coinvolgendo gli enti del Terzo settore mediante gli strumenti previsti dagli artt. 55 e ss. del d.lgs. 117/2017.

Il Legislatore ha, infatti, previsto che le amministrazioni pubbliche assicurino il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, individuando tutta una serie di strumenti volti ad accrescere la qualità delle scelte d’intervento, in particolare attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento.

La co-programmazione è finalizzata all'individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili.

La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti.

Infine, l’individuazione degli enti del Terzo Settore con cui attivare il partenariato, può avvenire mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner.

In ogni caso, le scelte della pubblica amministrazione dovranno sempre essere guidate da criteri di economicità dell’azione amministrativa ed equilibrio di bilancio, nonché di accessibilità del servizio.

L’art. 56 prevede, invece, che le amministrazioni pubbliche possano sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale specifiche convenzioni, finalizzate allo svolgimento, in favore di terzi, di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Queste potranno prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale delle spese effettivamente sostenute e documentate.

Co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e convenzionamento sono strumenti tra loro necessariamente connessi e collegati, in quanto la stipula di una convenzione necessita di una preliminare attività di co-programmazione e co-progettazione volta a cercare di costruire e mantenere una rete stabile di rapporti con i soggetti del Terzo settore.

Inizialmente, in assenza di una specifica normativa che disciplinasse in maniera organica l’affidamento di servizi agli enti del Terzo settore e alle cooperative sociali, alcune utili indicazioni operative in materia erano state rese dall’ANAC, con la delibera n. 32 del 2016, proprio al fine di offrire chiarimenti alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli operatori del settore.

Con l’entrata in vigore del Codice dei contratti e del Codice del Terzo settore, alcuni dubbi interpretativi in merito alla disciplina applicabile per gli affidamenti di servizi sociali erano sorti proprio alla luce della regolamentazione degli appalti di servizi sociali prevista dal Codice dei contratti pubblici e della manifestata preoccupazione di coordinare tali previsioni con gli innovativi istituti proposti dal d.lgs. n. 117/2017. Per tale ragione, nell’ambito del più generale fine di predisporre il Piano Nazionale Anticorruzione 2018, l’ANAC ha indicato la necessità di provvedere all’adeguamento delle “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”, precedentemente emanate, chiedendo al Consiglio di Stato di verificare alcune potenziali criticità.

Con il parere n. 2052/2018 il Consiglio di Stato si è espresso sulla compatibilità degli istituti della co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e delle convenzioni previsti dagli artt. 55 e ss. del Codice del Terzo Settore con la normativa vigente in tema di contratti pubblici, manifestando criticità considerate non superabili se non in peculiari e specifiche applicazioni.

In particolare, il Consiglio di Stato aveva ribadito come l’affidamento dei servizi sociali dovesse di regola “rispettare la normativa pro-concorrenziale di origine europea” e come, tale normativa, non trovasse applicazione esclusivamente nei casi in cui la procedura: non avesse carattere selettivo, non tendesse all’affidamento di un servizio, oppure, anche qualora tendesse all’affidamento di un servizio, l’affidatario lo svolgesse a titolo integralmente gratuito.

Conseguentemente, e sempre al fine di individuare dei criteri univoci per gli affidamenti di servizi sociali, e, dunque, coordinare la normativa dei contratti pubblici con la disciplina del terzo settore, l’ANAC aveva predisposto un nuovo schema di Linee Guida, da sottoporre a consultazione, recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”.

Secondo l’ANAC il predetto coordinamento avrebbe dovuto compiersi prevedendo che “alle concessioni sociali si applicano le disposizioni indicate all’art. 164 del codice dei contratti pubblici”, ossia l’intera disciplina prescritta per le concessioni dal Codice dei contratti pubblici, in tal modo superando l’art. 19 della direttiva 2014/23/UE che prevede l’applicazione alle concessioni per i servizi sociali solo di alcuni istituti in essa espressamente richiamati.

Tuttavia, il Consiglio di Stato, con il parere n. 3235/2019, partendo da una ricognizione dei poteri regolatori dell’ANAC e delle distinte Linee Guida emanabili dall’Autorità, ha rilevato come il potere di regolazione flessibile della stessa (esercitabile mediante strumenti privi di efficacia obbligatoria) debba ritenersi legittimamente utilizzabile esclusivamente con riferimento alle procedure di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, escludendo invece la possibilità di emanare Linee Guida, ancorché non vincolanti, fuori dal delineato perimetro.

Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover restituire lo schema di Linee Guida all’ANAC al fine di verificare la compatibilità delle stesse con il prossimo Regolamento unico, invitando l’Autorità a “rivedere le linee guida … con riferimento alle norme e agli istituti disciplinati dal Codice del Terzo Settore che non possono rientrare nel campo di operatività delle linee guida non vincolanti” e, in ogni caso, evidenziando il divieto per l’ANAC di introdurre, mediante Linee Guida, una disciplina più restrittiva per le concessioni per servizi sociali (come si verificherebbe dall’applicazione di tutta la disciplina prevista, in generale, per le concessioni dalla Parte III del Codice dei contratti pubblici).

In tale delicato contesto si inserisce la sentenza n. 131 del 01.07.2020 della Corte Costituzionale che, nell’affrontare la questione di legittimità dell’art 55 del Codice, ha posto alcuni principi fondamentali in materia di Terzo settore, discostandosi profondamente dalla interpretazione dei rapporti tra Codice dei contratti e Codice del Terzo settore resa dal Consiglio di Stato.

Mentre per quest’ultimo, infatti, le norme euro unitarie, caratterizzate dalla pervasività della nozione di servizi di interesse economico generale, dovevano avere il primato rispetto alle disposizioni del Codice del Terzo settore (le quali finivano per essere disapplicate o quanto meno confinate nell’ambito di una gratuità intesa come elargizione necessariamente in perdita dell’ente del Terzo settore); secondo la Corte Costituzionale, con il predetto Codice si è data attuazione ai fondamentali principi costituzionali che consentono di sottrarre i servizi sociali svolti dal terzo settore dal novero delle attività economicamente rilevanti e dalla correlativa disciplina, centrata sul principio di concorrenza.

In particolare, la sentenza prende le mosse dal contenzioso tra Stato e Regione Umbria circa una norma che rendeva applicabile l’istituto di cui all’art. 55, alle cooperative di comunità senza tuttavia specificare la necessità che esse dovessero assumere la qualifica di impresa sociale e, quindi, essere incluse nel perimetro del Terzo settore.

Secondo i Supremi giudici, l’art. 55 CTS, nel disciplinare i rapporti tra enti del Terzo settore e pubbliche amministrazioni, ha dato attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, della Costituzione, realizzando, per la prima volta in termini generali, una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria di cui al suddetto art. 118.

“Si è quindi voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una autonoma iniziativa dei cittadini”, conseguenza del “riconoscimento della profonda socialità che connota la persona umana e della sua possibilità di realizzare una azione positiva e responsabile”. Ne discende una concezione del Terzo settore “come un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici, rivolti a perseguire il bene comune, a svolgere attività di interesse generale, senza perseguire finalità lucrative soggettive, sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione e a rigorosi controlli”; tali enti, secondo la Corte, “costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale”.

L’obiettivo diviene quello di instaurare un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la co-programmazione, la co-progettazione e il partenariato si configurano, quindi, come fasi di un procedimento complesso, espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.

Il modello così configurato, infatti, non si basa sulla mera corresponsione di un corrispettivo dal pubblico al privato, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico.

In conclusione, la sentenza 131/2020 della Corte costituzionale, quale fonte autorevole e di alto profilo istituzionale, ha introdotto alcuni punti fermi certamente in grado di restituire nitidezza interpretativa all’intero quadro normativo. Ad oggi risulta, pertanto, difficile sostenere l’illegittimità degli istituti di amministrazione condivisa. Ciò che occorre è attuarli al meglio, in coerenza con i principi sui quali essi si poggiano.