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Art. 97 - Consultazione della banca dati nazionale unica (2)

1. Ai fini del rilascio della documentazione antimafia, la banca dati nazionale unica può essere consultata, secondo le modalità di cui al regolamento previsto dall’articolo 99, da: (3)

a) i soggetti indicati dall’articolo 83, commi 1 e 2, del presente decreto;

b) le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;

c) gli ordini professionali;

c–bis) l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, per le finalità di cui all’articolo 6–bis del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (1).

(1) Lettera aggiunta dall’ art. 2, comma 13–ter, D.L. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. 125/2013.

(2) Rubrica così modificata dall’ art. 5, comma 1, lett. c), D.LGS. 153/2014, a decorrere dal 26 novembre 2014.

(3) Comma così modificato dall’ art. 5, comma 1, lett. c), D.LGS. 153/2014, a decorrere dal 26 novembre 2014.

Rassegna di giurisprudenza

La L. 136/2010, intitolata «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia», ha introdotto, nell’art. 2 che reca la specifica delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, il comma 1, lett. c), il quale ha istituto la BDNA, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

È evidente che l’art. 2, comma 1, lett. c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lett. a) e b); dunque, la lettera c) si riferisce anche a quei rapporti – come nel caso di specie l’AUA – che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o l’esercizio di attività pericolose per la salute e per l’ambiente.

Né giova replicare che l’espressione «rapporti» si riferisca solo ai contratti e alle concessioni, ma non alle autorizzazioni, che secondo una classica concezione degli atti autorizzatori non costituirebbero un “rapporto” con l’Amministrazione.

Tale conclusione non solo è smentita dal tenore letterale dell’art. 2, comma 1, lett. c), che non differenzia le une dalle altre come fanno, invece, la lett. a) e la lett. b) (che richiama la lett. a), ma anche a livello sistematico contrasta con una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a SCIA, come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine all’attuazione del D. Lgs. 124/2015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere 839/2016 sulla riforma della disciplina della SCIA).

Di qui la legittimità, anche prima dell’introduzione dell’art. 89–bis – di cui ora si dirà – con il decreto correttivo 153/2015, delle originarie previsioni contenute nel Codice delle leggi antimafia attuative dei fondamentali principî già contenuti in nuce nell’art. 2 della legge delega e, in particolare: – dell’art. 83, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui all’art. 84, prima di rilasciare o consentire i provvedimenti di cui all’art. 67 (tra cui rientrano, appunto, le autorizzazioni di cui alla lett. f); – dell’art. 91, comma 1, laddove prevede che detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67; – dell’art. 91, comma 7, che prevede che con regolamento, adottato con decreto del Ministro dell’Interno – di concerto con quello della Giustizia, con quello delle Infrastrutture e con quello dello Sviluppo economico ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 400/1988 – siano individuate «le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore di impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all’art. 67», dovendosi ricordare che l’art. 67 tra l’altro prevede, alla lett. f), proprio le «altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate».

L’introduzione dell’art. 89–bis, dunque, non rappresenta una novità né, ancor meno, una distonia nel sistema, ma è anzi coerente con esso, secondo la chiara tendenza legislativa di cui si è detto, avviata dalla legge delega, che aveva già trovato parziale attuazione, sul piano sostanziale, nelle richiamate disposizioni del codice delle leggi antimafia.

Tale disposizione prevede, nel comma 1, che «quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia» e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, «l’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta».

Con questa previsione, che non ha natura attributiva di un nuovo potere sostanziale, invero già rinvenibile nei dati di diritto positivo sopra evidenziati, ma ha al più carattere specificativo e procedimentale, il codice delle leggi antimafia ha inteso chiarire e disciplinare l’ipotesi nella quale il Prefetto, nell’eseguire la consultazione della BDNA per il rilascio della comunicazione antimafia, appuri che vi sia il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa.

L’art. 98, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, come è noto, prevede che nella BDNA, ora operativa, «sono contenute le comunicazioni e le informazioni antimafia, liberatorie ed interdittive» e, dunque, tutti i provvedimenti che riguardano la posizione “antimafia” dell’impresa; la BDNA consente, ai sensi del comma 2, la consultazione dei dati acquisiti nel corso degli accessi nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, disposti dal Prefetto, e tramite il collegamento ad altre banche dati, ai sensi del comma 3, anche la cognizione di eventuali ulteriori dati anche provenienti dall’estero.

Si tratta di disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo ed espansivo, a livello economico, e la dimensione sovente transnazionale delle attività imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose.

Va qui ricordato che il Prefetto, richiesto di rilasciare la documentazione antimafia, può emettere la comunicazione antimafia liberatoria, attestando che la stessa è stata emessa utilizzando il collegamento alla BDNA, in due ipotesi: a) quando non emerge, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 (art. 88, comma 1: cosiddetta comunicazione de plano); b) quando, emersa la sussistenza di una di dette cause ed effettuate le necessarie verifiche, di cui all’art. 88, comma 2, per accertare la «corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della BDNA alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamenti», queste abbiano dato un esito negativo e non sussista più, nell’attualità, alcuna causa di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).

Nel corso di tali verifiche, quando emerga dalla BDNA la presenza di provvedimenti definitivi di prevenzione, ai sensi dell’art. 67, comma 1, o comunque di dati che, ai sensi del richiamato art. 98, impongano una necessaria attività di verifica nell’impossibilità di emettere la comunicazione antimafia de plano, il Prefetto può riscontrare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in base all’art. 89–bis, ed emettere informazione antimafia, sostitutiva della comunicazione richiesta.

Ciò può verificarsi, ad esempio, quando il Prefetto, nell’eseguire il collegamento alla BDNA e le verifiche di cui all’art. 88, comma 2, constati l’esistenza di «una documentazione antimafia interdittiva in corso di validità a carico dell’impresa», come ad esempio una pregressa informativa emessa in rapporto ad un contratto pubblico, secondo quanto prevede espressamente l’art. 24, comma 2, DPCM 193/2014 (regolamento recante le modalità di funzionamento, tra l’altro, della BDNA, istituita ai sensi dell’art. 96), o acquisisca dati risultanti da precedenti accessi in cantiere, ai sensi dell’art. 98, comma 2, o informazioni provenienti dall’estero, ai sensi dell’art. 98, comma 3.

L’istituzione della BDNA, prevista dall’art. 2 della legge delega sopra ricordato e resa operativa con il DPCM 193/2014, consente ora al Ministero dell’Interno, e per esso ai Prefetti competenti, di monitorare, e di “mappare”, le imprese sull’intero territorio nazionale – o, addirittura, anche nelle loro attività svolte all’esterno – e nello svolgimento di qualsivoglia attività economica, che essa sia soggetta a comunicazione o a informazione antimafia, sicché l’autorità prefettizia, richiesta di emettere una comunicazione antimafia liberatoria, ben può venire a conoscenza, nel collegarsi alla Banca dati, che a carico dell’impresa sussista una informativa antimafia o ulteriori elementi di apprezzabile significatività, provvedendo ad emettere, ai sensi dell’art. 89–bis, comma 2, , una informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.

E ciò perfettamente in linea con la richiamata previsione dell’art. 2, comma 1, lett. c) della legge delega che, giova ripeterlo, ha istituto una BDNA, testualmente, con «immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale» e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

Tale ultima finalità, chiaramente enunciata dal legislatore, pienamente giustifica, il potere prefettizio di emettere una informativa antimafia, ricorrendone i presupposti dell’art. 84, comma 4, e dell’art. 91, comma 6, in luogo e con l’effetto della richiesta comunicazione antimafia. (Cons. Stato, Sez. 3, 565/2017).

 

Ulteriori fonti normative

DPCM 193/2014, contenente le modalità di funzionamento, accesso, consultazione e collegamento della BDNA con altre Banche dati, tra le quali il Centro elaborazione dati di cui all’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n.121, il sistema informatico presso la DIA ed i sistemi informativi presso le Camere di Commercio. L’atto è reperibile al seguente link: http://www.normattiva.it/uri–res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.del.presidente.del.consiglio.dei.ministri:2014–10–30;193!vig=2017–03–01

La BDNA è pienamente operativa dal 7 gennaio 2016 ed è istituita presso il Ministero dell’Interno, Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie.