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Art. 609 - Cognizione della corte di cassazione

1. Il ricorso attribuisce alla corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti.

2. La corte decide altresì le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

Rassegna giurisprudenziale

Cognizione della corte di cassazione (art. 609)

Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 3, 33879/2018).

Non compete alla Corte di Cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (SU, 39061/2009).

In tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile, disponendo, ai sensi dell’art. 609, l’annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative in melius (SU, 46653/2015).

La particolare tenuità del fatto costituisce una causa di non punibilità atipica per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi e, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone, tra l’altro, l’accertamento della responsabilità penale ossia l’accertamento dell’esistenza del reato e della sua attribuibilità all’imputato. Essa ha natura sostanziale essendo applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D. Lgs. 28/2015, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Corte di cassazione può anche rilevare di ufficio ai sensi dell’art. 609, comma la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito (SU, 1368/2016, richiamata da Sez. 2, 47286/2018).

Non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, 13826/2017).

Non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem sostanziale, in quanto l’accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, né è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali (Sez. 3, 34143/2018).

Tra le questioni che, ai sensi dell’art. 609, comma secondo, possono essere rilevate anche d’ufficio nel giudizio di cassazione non si può far rientrare l’errata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena relativamente alla quale la parte interessata non abbia formulato doglianze; parte da individuarsi esclusivamente nel pubblico ministero, in quanto la parte civile non è legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 per difetto d’interesse avverso il capo della sentenza che abbia concesso la sospensione condizionale della pena, finanche nella ipotesi in cui il beneficio non sia stato subordinato al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili (Sez. 5, 1289/2019).

In riferimento alla proponibilità di questioni non dedotte con il ricorso in appello, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2 - secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, salvo che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello - trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 5, 42588/2018).

I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili per aspecificità (SU, 8825/2017) «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, 28011/2013), in quanto le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, 11951/2014) (riassunzione a cura di Sez. 5, 42588/2018).

L’onere di specificità dei motivi di impugnazione si declina ulteriormente nei casi di duplice conforme sentenza di merito, nel senso che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, purchè in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, 5336/2018).

È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 3, 53127/2016).

Allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c) la Corte è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali. Diversamente, quando viene invocato un atto che contiene un elemento di prova il principio della “autosufficienza del ricorso” costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all’art. 360, n. 5, Cod. proc. civ., dalla giurisprudenza civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicché è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, 41751/2018).

Il giudice di legittimità non deve essere costretto alla “ricerca” di quegli atti che confermerebbero la tesi del ricorrente, essendo piuttosto onere di chi impugna e dispone dell’intero incarto processuale mettere la Corte di legittimità in grado di valutare la fondatezza della doglianza (Sez. 5, 36684/2017).

Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, 44191/2018).

L’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche od ambientali va riferita alle sole violazioni delle condizioni richieste dagli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, mentre le eventuali illegittimità formali, come quelle relative a violazione delle altre previsioni del citato art. 268 o alla mancata motivazione del decreto autorizzativo, determinano, semmai, l’invalidità del mezzo istruttorio, giacché la categoria dell’inutilizzabilità inerisce alle prove vietate per la loro intrinseca illegittimità oggettiva ovvero per effetto di una manifesta illegittimità del procedimento acquisitivo, che le ponga al di fuori del sistema processuale. Ne consegue che il vizio della motivazione del provvedimento del PM che dispone l’esecuzione delle operazioni di intercettazione (nella specie telefoniche ed ambientali) mediante apparati diversi da quelli esistenti presso l’ufficio della procura della Repubblica rileva sotto il profilo della nullità delle intercettazioni, quale effetto del vizio del decreto autorizzativo, e non della loro inutilizzabilità, sicché la relativa denuncia soggiace ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182. Ciò posto, la doglianza di inutilizzabilità relativa ai denunziati vizi di motivazione ovvero agli altri vizi formali sopra ricordati è inammissibile se avanzata per la prima volta in cassazione e dunque in modo del tutto tardivo rispetto ai limiti di deducibilità sopra evidenziati. Va aggiunto che, peraltro, il motivo così proposto non obbedisce neanche ai necessari requisiti di autosufficienza, non avendo la parte ricorrente allegato i decreti autorizzati di cui si denunzia l’illegittimità sicché il ricorso è inammissibile (Sez. 5, 32670/2018).

Deve essere rilevata la nullità assoluta ed insanabile della notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato avvenuta in udienza mediante lettura dell’atto al sostituto processuale del difensore, non potendo trovare applicazione il principio di equipollenza della lettura alle notificazioni previsto dall’art. 148, comma 5, che riguarda unicamente “i provvedimenti” e “gli avvisi dati dal giudice verbalmente” e non anche gli atti processuali che devono essere necessariamente consegnati al destinatario (Sez. 3, 18875/2018).

L’omessa notifica al difensore di fiducia del rinvio dell’udienza disposto con contestuale indicazione della data di rinvio e alla presenza del difensore di ufficio, designato ex art. 97, comma 4, non determina alcuna nullità, in quanto il difensore di ufficio nominato in luogo di quello impedito agisce in nome e per conto di quello di fiducia sostituito e rappresenta la parte processuale interessata al corretto andamento del processo (Sez. 6, 35981/2017).

Mentre l’art. 148 comma 3 dispone che gli atti siano notificati “per intero”, la sanzione di nullità è, poi, comminata dal successivo art. 171 lett. a) solo per il caso in cui l’atto sia notificato “in modo incompleto” (e fuori dei casi in cui è consentita la notifica per estratto). Ne consegue - stante la non piena corrispondenza delle due norme - che deve considerarsi atto completo e quindi utilmente notificabile, quello che, per quanto non “intero”, contenga tuttavia gli elementi essenziali di conoscenza per il pieno esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, 27538/2017).

La nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184.

In tale prospettiva, la notificazione della citazione dell’imputato effettuata presso il domicilio reale a mani di persona convivente, anziché presso il domicilio eletto, non integra necessariamente una ipotesi di “omissione” della notificazione ex art. 179 ma dà luogo, di regola, ad una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178 lett. c), soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180, sempre che non appaia in astratto o risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, nel qual caso integra invece la nullità assoluta ed insanabile di cui all’art. 179 comma 1 , rilevabile dal giudice di ufficio in ogni stato e grado del processo (SU, 119/2004).

È nulla la notificazione eseguita a norma dell’art. 157, comma 8-bis,  presso il difensore di fiducia, qualora l’imputato abbia dichiarato oppure eletto domicilio per le notificazioni, con la specificazione che si tratta di nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 (Sez. 1, 27778/2018).

Le notifiche degli atti processuali dirette ad un imputato dichiarato interdetto per infermità di mente devono essere eseguite anche presso il tutore, a pena di nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. L’art. 166 prevede invero per la persona interdetta un particolare sistema di messa a conoscenza degli atti consistente in una duplice notifica da eseguirsi, secondo le regole generali, sia presso il tutore che direttamente nei confronti dell’incapace (non potendosi escludere a priori che lo stesso sia in grado di rendersi conto della natura e del contenuto di ciò che gli viene notificato). Ne consegue che l’omissione anche di una sola delle due notifiche prescritte dalla legge dà luogo, a una nullità assoluta essendo la notifica non irregolare, ma equiparabile ad una notifica omessa (Sez. 2, 52277/2017).

La nullità conseguente all’incompatibilità dell’interprete ha natura relativa e, pertanto, nell’ipotesi in cui la parte vi assista, deve essere eccepita, a pena di decadenza, prima del compimento dell’atto ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo (Sez. 2, 31691/2018).

A norma dell’art. 38 L. 287/1951, di riordinamento dei giudizi di assise, quando nelle leggi di procedura penale si fa riferimento a giudice di competenza superiore o a giudice superiore, la corte di assise si considera giudice di competenza superiore agli altri giudici di primo grado; l’art. 23 dispone che, se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza e se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l’incompetenza è rilevata ed eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dal primo comma del successivo art. 491. Dal combinato disposto di tali norme consegue l’inapplicabilità della preclusione, posta dall’art. 491 nella fase di giudizio che si sia svolta dinanzi al tribunale, essendo la corte di assise giudice considerato superiore dall’art. 38 citato (Sez. 2, 25657/2003).

La nullità del decreto di citazione a giudizio per insufficiente determinazione del fatto ex art. 555, comma 1, lett. c), e comma 2, non integra una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178, ma rientra tra quelle relative di cui all’art. 181, con la conseguenza che essa non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491È pertanto affetto da abnormità il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento rilevi d’ufficio l’invalidità (tra l’altro, nella specie, oltre il termine di cui all’art. 491), atteso che non è consentito al giudice sostituirsi alle parti nel rilevare cause di nullità relative, a pena del sovvertimento dei principi generali su cui si fonda nel nostro ordinamento il sistema della invalidità degli atti processuali (Sez. 2, 26298/2016).

La violazione del termine a comparire davanti al Tribunale, previsto dall’art. 552, comma 3, in giorni sessanta, non determina la nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, bensì una nullità generale di carattere intermedio, rilevabile d’ufficio ex art. 180. e deducibile, ai sensi dell’art. 182, comma 2, dalla parte interessata all’osservanza della norma violata, a pena di decadenza, prima dell’apertura del dibattimento; qualora la parte compaia dichiarando che la comparizione è determinata dal solo intento di fare rilevare l’irregolarità, ha diritto, ex art. 184, comma 2, ad un termine a difesa che deve essere tale da assicurare all’imputato il godimento dei termini complessivamente stabiliti dall’art. 552, comma 3, a fare data dalla prima notifica (Sez. 3, 30178/2018).

La giurisprudenza di legittimità è divisa sulla natura della nullità del decreto di citazione a giudizio prevista dall’art. 552, comma 3, perché non preceduto dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero per mancanza dell’invito all’indagato a presentarsi a rendere l’interrogatorio richiesto nel termine di cui all’art. 415-bis, comma 3. Secondo un primo orientamento, trattasi di nullità relativa che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491, subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 5, 34515/2014).

Secondo altro più recente e maggioritario orientamento, l’inosservanza è riconducibile alle nullità di ordine di generale di cui all’art. 178, lett. c), a c.d. “regime intermedio”, sicché può essere dedotta, ai sensi dell’art. 180, prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, 2382/2018).

L’erronea instaurazione del rito con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare non dà luogo a nullità assoluta ed insanabile, ma solo ad una nullità a regime intermedio rilevabile, a pena di decadenza, subito dopo il compimento, per la prima volta, dell’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 1, 5967/2014).

Le nullità di cui agli artt. 180 e 181 concernenti la deliberazione di esaurimento dell’assunzione delle prove debbono essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 5, 7108/2016).

L’omessa indicazione del capo di imputazione in merito alla finalità dell’azione delittuosa contestata  il fine di procurare a sé o ad altri un profitto  non ha alcuna rilevanza ai fini della dedotta nullità della sentenza ex art. 522, purché il fatto contestato sia individuato con estrema precisione, sicchè l’elemento del profitto sia ricavabile in via induttiva dal contesto. Soddisfatte queste condizioni, nessuna violazione del diritto di difesa può dirsi avvenuta. In ogni caso, un’eventuale doglianza difensiva in merito al contenuto del capo di imputazione, riguardando la completezza della contestazione, deve essere eccepita in primo grado nell’ambito delle questioni preliminari e riproposta in appello, a pena di decadenza (Sez. 2, 16063/2018).

L’acquisizione della relazione di consulenza tecnica di parte (nella specie, del PM) in assenza della previa audizione del suo autore non ne comporta l’inutilizzabilità, ma integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178 comma 1 lett. c), soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 e alla sanatoria di cui all’art. 183 comma 1 lett. a); ne deriva che, in tal caso, la parte presente al compimento di detta nullità deve dolersene immediatamente nelle forme prescritte, pena la decadenza dal potere di deducibilità e la conseguente sanatoria dovuta all’accettazione degli effetti dell’atto (Sez. 6, 25807/2014).

Qualora il decreto che dispone il giudizio destinato all’imputato venga per errore notificato presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio validamente eletto, sussiste una nullità non assoluta, ma a regime intermedio, come tale deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall’art. 491, in quanto l’atto deve ritenersi comunque giunto a conoscenza dell’interessato (Sez. 4, 29311/2018).

Nel procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza, mancando l’udienza preliminare, le eventuali questioni di competenza vanno proposte, a pena di decadenza, solo in apertura di udienza; ciò in applicazione della norma di carattere generale dettata dall’art. 21, comma 2, secondo cui l’incompetenza per territorio è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1 (Sez. 1, 16545/2018).

L’incompetenza del tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 491 comma 1, come richiamato dall’art. 23 comma 2; né, a tal fine, rileva il disposto di cui all’art. 48 del D.Lgs. 274/2000, il quale non deroga al regime della non rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per materia del tribunale a favore del giudice di pace, limitandosi a stabilire che il giudice, qualora debba dichiarare l’incompetenza per materia a favore del giudice di pace, la dichiara con sentenza e trasmettendo gli atti al PM e non direttamente al giudice di pace (Sez.7, 38195/2018).

Nella giurisprudenza di legittimità si evidenziano opzioni diverse in relazione al termine per la costituzione di parte civile ed alla conseguente inammissibilità dell’istanza di ammissione al processo per sopravvenuta decadenza. Una tesi afferma che il termine per la proposizione dell’istanza di costituzione di parte civile coincide con quello immediatamente antecedente all’apertura del dibattimento, pur se alla prima udienza non ammessa per ragioni formali, ma reiterata, quale primo atto, proprio all’udienza di rinvio (Sez. 5, 4972/2007). Più di recente, Sez. 5, 28157/2015 ha ritenuto che il termine ultimo per la costituzione di parte civile debba individuarsi, ex art. 79, comma 1 e 484, comma 1, nel momento antecedente all’apertura del dibattimento allorché il giudice ha esaurito l’accertamento della regolare costituzione delle parti, dopo avere deciso le eventuali questioni sollevate al riguardo, ai sensi dell’art. 491, comma 1. Altra tesi propende per l’inammissibilità della costituzione di parte civile che sia avvenuta successivamente al compimento degli adempimenti per la verifica della regolare costituzione delle parti, pur se siano ancora proponibili le questioni previste dall’art. 491, le quali, invece, la presuppongono (Sez. 5, 38982/2013) (l’elencazione si deve a Sez. 5, 21501/2018 che tuttavia non ha preso posizione al riguardo). Il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale ai sensi dell’art. 468, comma 1, poiché il requisito della “novità” non è limitato ai soli mezzi di prova che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali (Sez. 3, 38222/2017).

La categoria dell’abnormità è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento con il tema della tassatività, che, come è noto, pervade il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in sé l’esigenza di approntare uno strumento - eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi - che assicuri il controllo sulla legalità del procedere della giurisdizione. L’abnormità, quindi, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente eccentrico rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma utilizzato al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, ciò che segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del potere di adottarlo. In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un fenomeno unitario. Se all’AG può riconoscersi l’attribuzione circa l’adottabilità di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l’attribuzione a far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale – la conseguenza non potrà essere altra che quella dell’abnormità, cui consegue l’esigenza di rimozione (SU, 25957/2009). Labnormità, nella duplice accezione strutturale e funzionale, va ricondotta ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge. L’ammissibilità, inoltre, deve essere individuata sulla base della situazione processuale prospettata nel ricorso a prescindere da verifiche nel merito delle anomalie prospettate, ricordandosi che la categoria è stata creata dalla giurisprudenza di legittimità per consentire di rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema o che si pone di impedimento allo sviluppo processuale, ma essa presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione alla deroga che viene attuata al principio di tassatività delle nullitàPer un’esatta individuazione dell’area del vizio rilevabile, occorre escludervi, da un lato, i c.d. vizi innocui che costituiscono il vero e proprio limite logico della categoria (e si riscontrano nei casi in cui vi è una irrilevanza sopravvenuta dell’anomalia, avendo il giudice esercitato un potere che non gli spettava, ma senza che ciò abbia realizzato una stasi del processo, anche ove una indebita regressione vi sia stata); dall’altro, tutte le situazioni di illegittimità dell’atto, per le quali l’ordinamento ha previsto una specifica sanzione processuale. Non si può dunque ricorrere alla categoria dell’abnormità al fine di giustificare il ricorso immediato per cassazione avverso atti affetti soltanto da nullità o comunque non condivisi, poiché ciò si tradurrebbe nella elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1 (Sez. 4, 29349/2018).

L’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive in quanto devono essere attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte (Sez. 2, 25924/2018).

Non è affetta da nullità, ma meramente irrituale, la notificazione (nella specie, a mezzo fax) avvenuta mediante consegna al difensore di fiducia domiciliatario di un’unica copia dell’atto da notificare, con l’espressa indicazione in esso dei destinatari specificamente individuati nell’imputato e nel difensore; in particolare non sussiste la nullità della notifica dell’avviso dell’udienza, effettuata, a mezzo fax, in unico esemplare al comune studio dei due difensori, in quanto la violazione delle disposizioni di cui all’art. 54 Att.  - per il quale il numero di copie degli atti da notificare deve essere uguale a quello dei destinatari della notificazione - non è sanzionata a pena di nullità, stante il principio di tassatività delle nullità (Sez. 5, 25649/2018).

Poiché le norme che stabiliscono i termini a comparire non sanzionano mai espressamente la loro violazione con la nullità, è inevitabile dedurla con il tramite dell’art. 178 considerandola nullità di ordine generale concernente l’intervento dell’imputato (art. 178, comma 1, lett. c), ostando il riconoscimento su base diversa il principio di tassatività (Sez. 1, 13380/2018).

In presenza di un’errata qualificazione del provvedimento genetico, non è configurabile alcun meccanismo di tutela dell’interessato, i cui diritti difensivi non sono in alcun modo pregiudicati, fermo restando che l’atto di sequestro, anche se formalmente qualificato come ordinanza, ha comunque natura e valore di decreto (Sez. 3, 1549/2018).

La mancata osservanza delle formalità di acquisizione delle prove può porsi, eventualmente, sul piano della nullità della prova, sempre che tale sanzione sia prevista con riferimento alla singola violazione, in base al principio di tassatività delle nullità (Sez. 2, 9404/2018).

In tanto si può porre una questione di invalidità derivata, nella forma della nullità secondo il ricorrente, in quanto si possa configurare una invalidità/nullità presupposta e, necessariamente, una nullità prevista dal codice di rito, come noto informato al principio della tassatività delle nullità. Una mera omissione, vale a dire un non-atto, non può concettualmente dar vita ad una nullità, proprio in applicazione del principio della tassatività (Sez. 1, 22856/2018).

In tema di appello, la relazione della causa di cui al comma 1 dell’art. 602 ha funzione meramente espositiva e non ha alcuna incidenza sul principio del contraddittorio. La violazione di questa previsione è priva di specifica sanzione e non crea alcuna nullità (Sez. 1, 207/2018).

Nelle ipotesi in cui sia disposto che la partecipazione dell’imputato al dibattimento avvenga a distanza, l’inosservanza del termine di dieci giorni per la comunicazione alle parti ed ai difensori del relativo decreto non determina alcuna nullità, non essendo questa prevista dalla legge, bensì una mera irritualità (Sez. 2, 8897/2017).

La decisione del giudice di disporre per il deposito della motivazione di un termine più lungo fino a 45 giorni, in conformità alla facoltà che gli è concessa dal comma 10 dell’art. 309 non può essere oggetto di impugnazione, non essendo ipotizzabile alcuna nullità in proposito per il principio della tassatività delle nullità (Sez. 2, 8732/2017).

In tema di misure di prevenzione, la differenza, strutturale e funzionale, tra un decreto ed un mero avviso di fissazione dell’udienza implica, dunque, che il secondo non debba contenere, a pena di nullità, indicazioni esulanti dalle previsioni normative. In altri termini, l’avviso di fissazione dell’udienza in camera di consiglio rappresenta soltanto una provocatio ad opponendum nei confronti della proposta di misura di prevenzione, un invito al contraddittorio, e non deve contenere indicazioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla norma regolatrice: contrariamente a quanto disposto, ad esempio, dall’art. 552, che prevede una serie di requisiti contenutistici del decreto di citazione a giudizio, la cui mancanza integra una nullità, l’art. 7, comma 2, D.Lgs. 159/2011 prevede soltanto che l’avviso di fissazione dell’udienza indichi la data, l’AG procedente ed i destinatari dello stesso (PM, proposto, eventuali terzi interessati, rispettivi difensori). Ne consegue che non è sancita, tanto meno a pena di nullità, l’indicazione del tipo di pericolosità posto a fondamento della richiesta e degli elementi di fatto dai quali la si ritiene desumibile, trattandosi di requisiti non previsti dalla norma. Peraltro, il principio di tassatività delle nullità non consente di estendere la nullità sancita dall’art. 7, comma 7, D.Lgs. 159/2011 al di fuori delle ipotesi espressamente stabilite; in tal senso, la nullità per inosservanza dell’art. 7, comma 2 citato, deve ritenersi circoscritta alla sola ipotesi nella quale non venga notificato l’avviso di fissazione dell’udienza, analogamente a quanto previsto dall’art. 178, lett. b) e c) (Sez. 5, 21831/2017).

L’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34, allorché non rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, né tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non è causa di nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. a) (Sez. 7, 30209/2018).

Le incompatibilità disciplinate dal codice di procedura penale non hanno nulla a che vedere con le condizioni di capacità del giudice, la cui mancanza determina la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178. Perciò gli atti compiuti dal giudice incompatibile non sono nulli, ma possono essere dichiarati inefficaci solo con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione. Ne consegue che l’incompatibilità non può essere dedotta come motivo di impugnazione, ma solo come motivo di ricusazione nelle forme e nei termini prescritti dall’art. 38 (Sez. 24304/2018).

Il vigente codice, tutte le volte che indica il giudice competente all’esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento, si riferisce a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno alla persona fisica dei magistrati che li compongonoNe consegue che, nella fase del giudizio, la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura cautelare deve essere esaminata e decisa dal Tribunale, in composizione monocratica o collegiale, dalla Corte d’assise, dalla Corte d’appello o dalla Corte d’assise d’appello investiti della cognizione, nel merito, del processo, preferibilmente, ma non necessariamente, nella composizione fisica dei magistrati componenti l’organo giudicante che sta conducendo l’istruttoria dibattimentale o che, pur avendo definito il processo in quel determinato grado, è ancora in possesso dei relativi atti. D’altro canto, il principio di immutabilità del giudice, di cui all’art. 525 , è riferito e riferibile solo alla deliberazione della sentenza, in quanto destinato a garantire che il giudizio sulla responsabilità dell’imputato sia espresso, nel rispetto dei principi di oralità, immediatezza e contraddittorio cui si ispira il processo penale, dalle stesse persone fisiche che hanno preso parte al dibattimento e presenziato all’assunzione delle prove: ne consegue che l’eventuale diversità di composizione (rispetto a quella dell’organo competente alla trattazione del processo) dell’organo, collegiale o monocratico, designato nei casi, modi e termini previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario, che decida in ordine ad alcuna delle dette richieste in materia cautelare, non incide sulla legittimità dei relativi provvedimenti, stante il principio di tassatività delle nullità e la mancanza di una specifica previsione di tale diversità come causa di nullità o la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall’art. 178, comma 1, lett. a) , che sono tutte connesse alla violazione di norme concernenti la capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi secondo le norme di ordinamento giudiziario (Sez. 2, 28855/2018).

La trattazione congiunta del rito abbreviato con altro procedimento nei confronti di altre posizioni separate nell’ambito dello stesso originario procedimento, non è causa di abnormità o di nullità della decisione, né, tanto meno, di una situazione di incompatibilità suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiché la coesistenza dei procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (Sez. 3, 30895/2018).

La pregiudiziale costituzionale, per espressa previsione normativa (L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, comma 2), determina la sospensione obbligatoria del procedimento che priva il giudice della potestas decidendi fino alla definizione della pregiudiziale medesima, né alle parti è attribuito alcun potere di rimuovere tale stasi processuale, essendo immodificabili ed insindacabili sia l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale sia il pedissequo provvedimento di sospensione; tuttavia, nell’ipotesi in cui venga obbligatoriamente sospeso un procedimento in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare, il soggetto ad essa sottoposto che ritenga di aver maturato il diritto a riacquistare lo status libertatis per il verificarsi di una delle cause estintive del provvedimento coercitivo di cui all’art. 306, non incontra alcun ostacolo a far valere la sua pretesa in giudizio e può quindi promuovere davanti al giudice per le indagini preliminari, o ad uno dei giudici competenti per i vari gradi ai sensi dell’art. 279, un’azione di accertamento finalizzata alla declaratoria della sopravvenuta caducazione della misura ed all’ottenimento dell’ordinanza di immediata liberazione o di cessazione della misura estinta, secondo quanto dispongono, rispettivamente, il primo e il secondo comma del predetto articolo 306 ; trattasi, invero, di azione di natura dichiarativa, rivolta alla tutela di un diritto assoluto ed inviolabile, esperibile in ogni tempo salvo il limite della preclusione ove la questione abbia già formato oggetto di giudicato cautelare nelle sedi proprie. Le riferite indicazioni inducono, quindi, a ritenere che la pronunciata sospensione del solo giudizio incidentale in ordine al rinvio dell’udienza - con prosecuzione del processo per l’assunzione delle prove integri un provvedimento abnorme (Sez. 5, 25124/2018).

Lassegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio, salvo il possibile rilievo disciplinare, può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all’art. 33, comma 1, non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti. Lo stravolgimento dei principi e canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario non si risolve nella mera inosservanza delle disposizioni amministrative che disciplinano le tabelle degli uffici giudicanti ed i criteri per l’assegnazione degli affari penali, ma deve essere, piuttosto, ravvisato in presenza di situazioni caratterizzate dall’arbitrio nella designazione del giudice e realizzate, al di fuori di ogni previsione tabellare, per costituire un giudice ad hoc (Sez. 5, 10100/2018).

La trattazione da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli relativi ai reati previsti dall’art. 550 non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale di cui all’art. 43-bis, comma terzo, lett. b), dell’ordinamento giudiziario (RD n. 12 del 30 gennaio 1941), introduce un mero criterio organizzativo dell’assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari (Sez. 5, 5810(2018).

In tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora l’istanza di revoca della confisca venga rigettata dal giudice senza il previo intervento del PM, è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’istante volta a far valere, quale vizio del procedimento, la mancata partecipazione del PM; qualora il decreto di inammissibilità della richiesta, previsto dall’art. 666, comma 2, , nel procedimento di esecuzione, non sia stato preceduto dall’acquisizione del prescritto parere del PM, quella che si configura è una nullità a regime “intermedio”, riconducibile alle previsioni di cui all’art.178, comma 1, lett. b),  e non deducibile dalla parte privata ma soltanto dallo stesso PM, per violazione del contraddittorio cartolare alla cui realizzazione è finalizzata l’audizione di detto organo (Sez. 5, 12612/2017).

La carenza di valida delega al vice procuratore onorario per l’esercizio dell’azione penale - ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. n. 274 del 2000 - determina una nullità di ordine generale concernente la violazione delle disposizioni relative alla partecipazione necessaria del PM al procedimento. Evidentemente quindi, ed a maggior ragione, integra violazione delle predette disposizioni concernenti la partecipazione necessaria del PM l’esercizio di attività giurisdizionale da parte di vice procuratore onorario la cui nomina, scaduta, non sia stata tempestivamente confermata, non potendosi ritenere sufficiente la successiva ratifica, la quale non può sanare una totale carenza di funzione al momento di concreto svolgimento dell’attività giudiziaria di PM in udienza (Sez. 5, 6216/2016).

L’articolo 666 prescrive, ai commi 3 e 4 (salvi i casi contemplati dal comma 2), il procedimento camerale partecipato, ai sensi dell’art. 127, con l’ulteriore requisito dell’intervento necessario del difensore e del PM. Sicché, se il giudice della esecuzione provvede de plano, fuori dei casi tassativamente previsti dall’ articolo 666, comma 2, con inosservanza delle forme di rito prescritte, tanto comporta la nullità di ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli articoli 178 e 179 del procedimento (Sez. 1, 45880/2014).

Secondo un principio di diritto pacifico, l’obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97, esclude che le parti, anche se abilitate all’esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da sè stesse, non valendo il richiamo, ex art. 6 CEDU, alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ai fini dell’adeguamento del diritto interno, posto che esso è riferito solo alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia. Successivamente, si è ribadito che, anche a seguito dell’entrata in vigore della L. 247/2012 (Ordinamento della professione forense), l’autodifesa nel processo penale non è consentita, in difetto di una espressa previsione di legge che la legittimi. Dalla violazione del delineato divieto discende la nullità di ordine generale, assoluta ed insanabile, ex art. 178, comma 1, lett. c) e 179, dell’attività processuale compiuta con l’autodifesa dell’imputato, attesa la carenza di valido presidio defensionaleNullità che non può non ravvisarsi anche nel caso in cui l’assistenza defensionale sia prestata dall’avvocato che ricopra la veste di imputato dello stesso reato, oggetto di un procedimento originariamente unitario e successivamente separato in conseguenza delle diverse opzioni in rito compiute dai concorrenti, atteso che in tale ipotesi, proprio per la stretta interrelazione fra le posizioni soggettive derivante dalla comune imputazione, la difesa da parte del coimputato potrebbe comportare un vulnus ancora più serio all’effettività del diritto di difesa (Sez. 6, 30452/2018).

Le ricerche necessarie ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità devono essere eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi indicati dall’art. 159, derivando, diversamente, la nullità assoluta del decreto di irreperibilità e delle conseguenti notificazioni, se attinenti alla citazione dell’imputato (Sez. 1, 32329/2018).

Quando dalla progressione processuale non emerga alcun elemento indicativo della incapacità dell’imputato di comprendere gli atti a lui diretti e della correlata lesione del diritto alla partecipazione consapevole, non incomba sul giudice alcun obbligo di attivare i presidi di tutela indicati dall’art. 143  che devono essere disposti solo ove emergano elementi univocamente indicativi della incapacità di comprensione della lingua italiana, essendo escluso che tale incapacità possa essere riconosciuta solo perché l’imputato non ha la cittadinanza italiana. La eventuale nullità generata dalla mancata attivazione dei presidi di garanzia previsti dall’art. 143 è peraltro qualificabile come generale a regime intermedio, dato che è generata dalla lesione del diritto di difesa conseguente al mancato esercizio del diritto alla partecipazione consapevole: la stessa è pertanto sottoposta al regime di decadenze e sanatorie previsto dagli artt. 178 e ss. (Sez. 2, 30379/2018).

La mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 come interpretato da Corte costituzionale, sentenza 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178, lett. c) e 180) la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte (Sez. 2, 31292/2018).

Sono valide le notifiche effettuate all’imputato presso il difensore di fiducia dopo la prima eseguita personalmente, salvo espressa dichiarazione di non accettazione del difensore, non allegata nel caso di specie, o di dichiarazione o elezione di domicilio (SU, 58120/2017).

L’omesso avviso al difensore di fiducia della data fissata per la celebrazione del giudizio abbreviato di appello determina una nullità di ordine generale intermedio che non è sanata dalla mancata eccezione del vizio di notifica da parte del sostituto d’ufficio, ex art. 97, comma 4, del difensore non avvisato (Sez. 2, 28180/2018).

Quanto al mancato avviso dell’interrogatorio ex art. 294  a uno dei due difensori nominati, tale omissione non dà luogo ad una nullità assoluta, ex art. 179, bensì a regime intermedio, ai sensi dell’art. 180 del codice di rito, con la conseguenza che tale vizio è da ritenersi sanato se la parte o uno dei suoi difensori presenti all’atto non la eccepiscono prima del suo compimento ovvero nel caso di mancata comparizione di entrambi i difensori all’udienza, implicando tale condotta la volontaria e consapevole rinuncia della difesa e della parte, globalmente considerata, a far rilevare l’omessa comunicazione ad uno dei difensori (Sez. 2, 31755/2018).

La nullità per erronea dichiarazione di assenza in luogo della contumacia è a regime intermedio perché attinente all’intervento dell’imputato ex art. 178, lett. e) cosicché essa deve essere eccepita immediatamente dal difensore nel relativo giudizio (Sez. 7, 31524/2018).

Non è ravvisabile il legittimo impedimento a comparire dell’imputato sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora in comune diverso da quello in cui ha sede il Tribunale procedente, quando lo stesso non abbia chiesto l’autorizzazione al giudice competente per partecipare all’udienza (Sez. 7, 27781/2018).

Determina una nullità d’ordine generale, a regime intermedio, la mancata traduzione in udienza dell’imputato detenuto e regolarmente citato che, non essendo assoluta, non può essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Sez. 4, 26856/2018).

La contestuale ricorrenza di una causa estintiva del reato e di una nullità processuale della sentenza non impone nel giudizio di cassazione l’annullamento di questa se risulta - e la circostanza nel caso di specie è pacifica - che il giudice di merito non potrebbe comunque ritenere sussistenti le condizioni per pronunciare, attraverso una operazione di mera constatazione, un proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2 (Sez. 3, 31418/2018).

L’omesso avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa, che ne abbia fatto espressa richiesta determina la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità del decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 127, comma 5 (Sez. 6, 27768/2018).

L’atto di costituzione e la correlata nomina fiduciaria del difensore rappresentano l’esternazione della volontà della persona giuridica di partecipare in modo attivo e consapevole al processo instaurato a carico dell’ente. Ne segue che la revoca illegittima di tali atti si risolve, di fatto, nella esclusione dell’ente dal processo, ovvero nella violazione della disciplina prevista dall’art. 39 del D. Lgs. 231/2001 che regola in modo tassativo le modalità (costituzione e nomina del difensore di fiducia) attraverso le quali l’ente manifesta la volontà di partecipazione attiva al procedimento ed al processoAnche in questo caso, come in quello analizzato nel paragrafo che precede, gli enti ricorrenti a causa della dichiarazione di contumacia, effettuata nonostante la regolarità e costituzione della correlata, ed altrettanto illegittima, nomina di un difensore di ufficio sostitutivo di quello regolarmente nominato non hanno partecipato al procedimento nelle forme tassative previste dal citato art. 39. La nullità assoluta conseguente alla “sostanziale assenza” dell’ente e del difensore legittimamente nominato impone la regressione del procedimento alla fase in cui la nullità si è verificata, ovvero a quella della apertura del dibattimento (quando cioè era stata illegittimamente dichiarata la contumacia con rimozione del difensore di fiducia legittimamente nominato ed illegittima sostituzione con difensore di ufficio) (Sez. 2, 41012/2018).

Secondo un principio di diritto pacifico, l’obbligo della difesa tecnica, sancito dagli artt. 96 e 97, esclude che le parti, anche se abilitate all’esercizio della funzione di avvocato, possano essere difese da sè stesse, non valendo il richiamo, ex art. 6 CEDU, alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ai fini dell’adeguamento del diritto interno, posto che esso è riferito solo alle norme internazionali di natura consuetudinaria e non a quelle di natura pattizia. Successivamente, si è ribadito che, anche a seguito dell’entrata in vigore della L. 247/2012 (Ordinamento della professione forense), l’autodifesa nel processo penale non è consentita, in difetto di una espressa previsione di legge che la legittimi. Dalla violazione del delineato divieto discende la nullità di ordine generale, assoluta ed insanabile, ex art. 178, comma 1, lett. c) e 179, dell’attività processuale compiuta con l’autodifesa dell’imputato, attesa la carenza di valido presidio defensionaleNullità che non può non ravvisarsi anche nel caso in cui l’assistenza defensionale sia prestata dall’avvocato che ricopra la veste di imputato dello stesso reato, oggetto di un procedimento originariamente unitario e successivamente separato in conseguenza delle diverse opzioni in rito compiute dai concorrenti, atteso che in tale ipotesi, proprio per la stretta interrelazione fra le posizioni soggettive derivante dalla comune imputazione, la difesa da parte del coimputato potrebbe comportare un vulnus ancora più serio all’effettività del diritto di difesa (Sez. 6, 30452/2018).

In tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179  ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184  e comunque la decadenza dalla possibilità di farla rilevare oltre i termini previsti dall’art. 180 (Sez. 2, 29447/2018).

In tema di misure cautelari, il provvedimento genetico è affetto da nullità di ordine generale assoluta ed insanabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, comma 1, lett. b) e 179, quando il titolo cautelare non è sorretto dalla richiesta di applicazione della misura del PM (Sez. 5, 23657/2018).

L’inesatta indicazione della data di udienza nel decreto di citazione è causa di nullità perché equivale a un’omessa citazione (Sez. 6, 16391/2018).

L’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma 1 lett. c) e 179, comma 1, quando di esso è obbligatoria la presenza, a nulla rilevando che la notifica sia stata effettuata al difensore d’ufficio e che in udienza sia stato presente un sostituto nominato ex art. 97, comma 4 (SU, 24630/2015).

L’istanza di rinvio dell’udienza presentata dal difensore per concomitante impegno professionale è soggetta ai seguenti requisiti di ammissibilità: tempestiva prospettazione dell’impedimento, rappresentazione delle ragioni che rendono essenziale la presenza del difensore nel diverso processo, indicazione dell’assenza nel primo processo di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato, nonché l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art.102 ., sia nel processo a cui intenda partecipare sia in quello in cui chiede il rinvio. Solo all’esito di tale verifica preliminare, il giudice dovrà accertare il carattere eventualmente dilatorio della richiesta, valutando nel merito l’urgenza del procedimento concomitante, tenuto conto dell’obbligo di diligenza gravante sul difensore, che gli impone di dare preferenza alla posizione processuale che risulterebbe maggiormente pregiudicata dalla mancata trattazione del giudizio. Qualora il giudice ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio, può configurarsi la nullità della sentenza (Sez. 4, 24364/2018).

L’anticipazione dell’udienza rispetto all’ora prefissata integra una nullità assoluta in quanto, impedendo l’intervento dell’imputato e l’esercizio del diritto di difesa, equivale alla sua omessa citazione (Sez. 4, 18431/2018).

Se un imputato è assistito da due difensori di fiducia e uno dei due non è stato citato, tale omissione comporta una nullità insanabile. La circostanza che il difensore presente all’udienza non abbia proposto alcuna eccezione non determina la sanatoria della nullità verificatasi, se tale difensore non è stato nominato di fiducia e non è neanche il sostituto di uno dei difensori di fiducia (Sez. 5, 15717/2018).

Una volta venuto meno per qualunque causa il difensore originariamente preposto, il giudice, che abbia preso di ciò contezza, deve designare un difensore di ufficio all’imputato che non provveda ad autonoma nomina fiduciaria. La sostituzione, ex art. 97, comma 4, può essere in tal caso giustificata soltanto allorché alla designazione di cui sopra non si sia potuto tempestivamente provvedere  in particolare, a fronte di una ritardata comunicazione dell’atto dismissivo del mandato fiduciario rispetto all’incombente da realizzare; esaurito il quale, la nomina ex art. 97, comma 1, del codice torna doverosa. L’inosservanza di tale precetto da parte del giudice, e quindi il fatto di avere questi viceversa nominato di volta in volta, in relazione ai successivi sviluppi della fase processuale, un sostituto difensore sempre diverso, scelto soltanto sulla base del criterio della pronta reperibilità, non assicura l’indispensabile stabilità del rapporto con l’imputato né garantisce l’assunzione di adeguate iniziative a sua tutela, sì da ingenerare nullità da radicale negazione del concetto stesso di equo processo (Sez. 1, 16958/2018).

L’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare configura un’ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento equiparabile all’omessa citazione dell’imputato (Sez. 5, 32657/2018).

Quanto al mancato avviso dell’interrogatorio ex art. 294 a uno dei due difensori nominati, tale omissione non dà luogo ad una nullità assoluta, ex art. 179, bensì a regime intermedio (Sez. 2, 31755/2018).

Nell’ipotesi di sentenza d’appello pronunciata de plano in violazione del contraddittorio tra le parti, che, in riforma della sentenza dì condanna di primo grado, dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di Cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2 (SU, 28954/2017).

Se è indubbiamente fondato il rilievo della nullità assoluta ed insanabile della sentenza predibattimentale impugnata, allorché emessa de plano, in violazione del contraddittorio tuttavia ciò non comporta la necessaria regressione del procedimento alla fase del merito in quanto il giudice del rinvio non potrebbe far altro che confermare il medesimo esito terminativo del processo, con conseguente carenza di interesse dell’ufficio del PM ad impugnare la sentenza de qua (Sez. 2, 25978/2018).

La sentenza predibattimentale di appello, di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione, emessa de plano, è viziata da nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b) e c), 179, comma 1.  Il contraddittorio tra le parti, infatti, ha valore di rango costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.), ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza EDU, ed è il postulato indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo, la cui violazione è il paradigma da cui traggono origine tutte le forme di nullità previste dal codice di rito (Sez. 3, 25002/2018).

Nell’ipotesi di sentenza d’appello pronunciata de plano in violazione del contradditorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiari l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2 (SU, 28954/2017).

In presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. 5, 32624/2018).

Nel giudizio abbreviato, sono rilevabili e deducibili le nullità assolute di cui all’art. 179, comma 1, la cui presenza può dirsi impedisca la nascita del processo quale voluto dal vigente ordinamento e le inutilizzabilità cosiddette patologiche (relative a prove assunte contra legem). Ne consegue che l’eventuale irritualità nell’acquisizione di un atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (Sez. 6, 19496/2018).

Il provvedimento assunto dal giudice dell’esecuzione de plano, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, ricorribile per cassazione ai sensi dell’ultimo inciso dell’art. 666, comma 2, è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179, per effetto della estensiva applicazione delle previsioni della omessa citazione dell’imputato e dell’assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (Sez. 1, 32279/2018).

Nel giudizio di esecuzione non trova applicazione la disposizione di cui all’art. 157, comma 8-bis, se si tratta della prima notificazione dopo l’instaurazione del giudizio di esecuzione, ovvero quella di cui all’art. 161 comma 4, se il condannato non ha dichiarato o eletto domicilio nel processo di esecuzione. E poiché nel caso specifico il ricorrente non ha ricevuto nessuna comunicazione personale dopo l’instaurazione del processo esecutivo e, non potevano essere applicate le norme dianzi richiamate, la sua omessa citazione nel giudizio di esecuzione e l’irregolarità nell’instaurazione del contraddittorio determina una nullità assoluta ex art. 178 lett. c) e art. 179 (Sez. 1, 31037/2018).

Il mancato esperimento del tentativo di conciliazione nel processo dinanzi al giudice di pace non dà luogo a nessuna nullità, giacché la previsione di cui all’art. 29, comma 4, D. Lgs. 274/2000 per la quale il giudice promuove la conciliazione tra le parti, non sfugge alla discrezionalità del giudice, il quale, intanto darà corso alla conciliazione, in quanto ritenga che essa sia possibile; ne consegue che, qualora il querelante non compaia e, comunque, non dia segni di disponibilità alla conciliazione ed in analoga situazione versi il querelato, il quale può avere autonomo interesse all’accertamento negativo di responsabilità, il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non può essere censurato, poiché, in caso contrario, attribuirebbe alla norma una funzione dilatoria, inconciliabile con il principio di economia processuale che la ispira (Sez. 5, 32377/2018).

In tema di MAE, l’inosservanza da parte della PG, incaricata dell’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura coercitiva emessa dalla corte di appello, del dovere di informare l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore nello Stato richiedente, ai sensi dell’art. 9, comma 5-bis, L. 69/2005, introdotto dall’art. 4, comma 1, lett. h), D. Lgs. 184/2016, non determina alcuna invalidità o inefficacia dell’atto di arresto o della sentenza che dispone la consegna dell’interessato. Peraltro, pur volendo prescindere dal principio richiamato e ritenere che l’inosservanza della informazione prevista dall’art. 9, comma 5-bis, L. 69/2005 produca una nullità, questa, non riguardando l’iniziativa del PM o l’omessa citazione dell’imputato o l’assenza del difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza, non è assoluta, ma a regime intermedio, attenendo all’intervento ed all’assistenza dell’imputato, e, pertanto, ai sensi degli artt. 180 e 182 , deve essere eccepita, se la parte è presente, immediatamente, ovvero, nel caso in cui non lo sia, prima della deliberazione della decisione di primo grado, costituita, nel caso in esame, da quella oggetto del ricorso (Sez. 6, 33705/2018).

Le Sezioni Unite, nello statuire l’obbligo del PM di provvedere a mettere a disposizione tempestivamente le registrazioni delle intercettazioni (SU, 20300/2010), hanno precisato che l’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificato ritardo del PM rispetto a tale obbligo, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. In conseguenza di tale vizio, se esso è stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio di cui all’art. 309, comma 9, le suddette trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel giudizio de libertate ma ciò non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal PM, né la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271, comma 1, né ancora la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300, 301, 302, 303, 309, comma 10): gli atti di intercettazione sono in sé pienamente validi e potranno essere considerati elementi probatori non appena le difese avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate dalla PG. L’omesso avviso all’interessato della data e del luogo di espletamento delle analisi dei campioni per i quali non è prevista la revisione configura una nullità a regime intermedio, atteso che la mancanza dell’avviso dell’inizio del procedimento di analisi non integra una violazione del contraddittorio (Sez. 3, 30884/2018).

L’omesso deposito degli atti in cancelleria prima della celebrazione dell’interrogatorio di garanzia determina la nullità dell’interrogatorio dell’indagato (o dell’imputato) ai sensi degli artt. 178, comma 1, 180, 182, nullità a regime intermedio che deve essere eccepita al compimento dell’atto, ossia dell’interrogatorio (Sez. 6, 18840).

La mancata notifica all’imputato e al difensore dell’avviso della richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari, costituisce vizio di nullità relativa a regime intermedio che avrebbe dovuto essere eccepito dopo l’accertamento per la prima volta della costituzione delle parti, ai sensi degli artt. 181, comma 2, e 491, comma 1 (Sez. 1, 54075/2017).

Le nullità di ordine generale a regime intermedio non possono essere dedotte a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante delle nullità ai sensi dell’art. 183 (Sez. 3, 30654/2018).

La nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari al difensore di fiducia è a regime intermedio e, pertanto, deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, 2382/2018).

È nulla la notificazione eseguita a norma dell’art. 157, comma 8-bis, presso il difensore di fiducia, qualora l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni. Trattasi tuttavia di nullità di ordine generale a regime intermedio, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180  (Sez. 3, 29628/2018).

La dichiarazione di nomina del difensore di fiducia effettuata dall’imputato (o indagato) detenuto con atto ricevuto dal direttore dello stabilimento di custodia a norma dell’art. 123, ha immediata efficacia come se fosse direttamente ricevuta dall’AG destinataria, alla quale deve essere comunicata con urgenza con le modalità e gli strumenti previsti dall’art. 44 Att.; ne consegue che è affetto dalla nullità di carattere generale a regime intermedio di cui all’art. 178 lett. c) l’atto compiuto in mancanza del previo avviso al difensore di fiducia così tempestivamente nominato, ancorché la nomina non sia pervenuta all’ufficio dell’autorità procedente prima della fissazione dell’atto medesimo (Sez. 4, 29294/2018).

Il rituale avviso al difensore di fiducia è dovuto e la relativa omissione dà luogo a nullità, a nulla rilevando la circostanza che si tratti di impugnazione avverso la sentenza pronunciata a seguito di rito abbreviato e, pertanto, a partecipazione soltanto facoltativa delle parti (Sez. 1, 9419/2018).

La violazione del termine a comparire di venti giorni stabilita dall’art. 601, comma 3, non risolvendosi in una omessa citazione dell’imputato, costituisce una nullità a regime intermedio che risulta sanata nel caso in cui non sia eccepita entro i termini previsti dall’art. 180, richiamato dall’art. 182 (Sez. 7, 27323/2018).

Determina una nullità d’ordine generale, a regime intermedio, la mancata traduzione in udienza dell’imputato detenuto e regolarmente citato che, non essendo assoluta, non può essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Sez. 4, 26856/2018).

L’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza non determina una nullità assoluta ed insanabile, ma una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 180 la quale, pertanto, non può essere eccepita per la prima volta con l’atto introduttivo del giudizio di cassazione (Sez. 7, 11425/2018).

L’omissione della comunicazione al difensore della data di inizio delle operazioni determina la nullità a regime intermedio della perizia a norma dell’art. 178, comma 1, lett. c) e 180, da eccepire a pena di decadenza, anteriormente alla definizione del giudizio di primo grado (Sez. 6, 24930/2018).

È affetta da nullità a regime intermedio, rilevabile e/o deducibile ex art. 182, la nomina da parte del perito officiato della trascrizione delle intercettazioni, di un esperto, quale suo ausiliario, che proceda alla traduzione delle conversazioni, trattandosi di attività non meramente meccanica, che richiede di scegliere, tra più significati equipollenti di una parola, quella nella sostanza più fedele al contenuto del dialogo (Sez. 2, 6296/2016).

In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell’obbligo di dare avviso, al conducente da sottoporre in quel caso all’esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma 2,, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado ma che deve ritenersi sanata, ai sensi dell’art. 183 , qualora l’imputato formuli una richiesta di rito abbreviato (Sez. 4, 16131/2017).

Nel procedimento di esecuzione, disciplinato dall’art. 666, si applica la norma di cui all’art. 127, comma 4 e comma 5, che dispone, a pena di nullità, che l’udienza debba essere rinviata ove il condannato, che abbia fatto richiesta di essere sentito personalmente, sia legittimamente impedito ad essere presente all’udienza; si tratta di nullità a regime cd. intermedio di cui all’art. 180 (Sez. 1, 16534/2018).

La sanzione processuale conseguente alla violazione delle disposizioni che definiscono il contenuto tassativo del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale integra una nullità relativa (in quanto non riconducibile ad alcuno dei casi previsti dagli artt. 178 e 179) seppure sui generis, giacché ne è prevista la rilevabilità anche d’ufficio (ma non in ogni stato e grado del procedimento). Il relativo regime di deducibilità - in assenza di specifiche previsioni di segno diverso - è dunque quello ordinario previsto dall’art. 181 (Sez. 5, 27958/2018).

Non può essere rilevata per la prima volta in sede di legittimità la nullità derivante dalla mancanza degli elementi di identificazione dell’ordinanza che dispone la custodia in carcere, previsti dall’art. 292, comma secondo lett. b) , trattandosi di nullità relativa, disciplinata dalle regole generali in tema di deducibilità e segnatamente dall’art. 181, ultimo comma, con la conseguenza che essa deve essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa dinanzi al Tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità (Sez. 5, 4618/2015).

L’omesso avviso all’indagato della data fissata per l’udienza camerale di riesame è causa di una nullità che, seppur non definita assoluta dall’art. 127, comma 5, e non attinente ad una ipotesi in cui è obbligatoria la presenza del difensore, soggiace alla disciplina di cui agli artt. 180, 181 e 182 (Sez. 4, 41375/2016).

Se è vero che, quando è stata proposta opposizione, il decreto penale deve essere revocato, tuttavia esso funge sostanzialmente da atto di introduzione del giudizio conseguente all’opposizione e l’imputazione non può che essere quella risultante dal decreto penale: in caso contrario, come nella specie, si verifica un’invalidità della citazione a giudizio per omessa enunciazione del fatto in forma chiara e precisa (artt. 456, comma 1, 429 comma 1 lett. c) e comma 2, ); si tratta di nullità relativa che, a norma dell’articolo 181, deve essere dedotta, come pure avvenuto nella specie, nel termine di cui all’articolo 491, comma 1, ossia subito dopo il compimento delle formalità relative alla costituzione delle parti (Sez. 3, 19689/2018).

La nullità conseguente all’incompatibilità dell’interprete ha natura relativa e, pertanto, nell’ipotesi in cui la parte vi assista, deve essere eccepita, a pena di decadenza, prima del compimento dell’atto ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo (Sez. 4, 29113/2018).

L’inosservanza dell’obbligo di traduzione degli atti del procedimento instaurato nei confronti dell’imputato alloglotta causa una nullità relativa eccepibile ex art. 181 (Sez. 7, 44820/2017).

L’inosservanza del termine di comparizione dell’imputato costituisce una nullità relativa, che è sanata se non eccepita nei termini di cui all’art. 181 e non una nullità assoluta, configurabile solo in caso di omessa citazione dello stesso (Sez. 7, 28638/2018).

L’indeterminatezza/incompletezza dell’imputazione si traduce in una nullità relativa, ex art. 181 comma 3, che deve essere rilevata alla prima udienza dibattimentale nel termine di cui all’art. 491 comma 1 ovvero subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 4, 13457/2017).

La revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata (Sez. 2, 18206/2018).

L’omissione dell’avvertimento relativo alla facoltà per i prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre non determina l’inutilizzabilità della testimonianza del congiunto non avvertito, bensì una nullità di natura relativa, che deve pertanto essere eccepita immediatamente dalla parte che assiste alla deposizione e comunque, a pena di decadenza, entro i termini fissati all’art. 181 (Sez. 7, 32264/2018).

La celebrazione del giudizio di appello con rito camerale, fuori dai casi previsti dall’art. 599, determina una nullità relativa soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 (ossia deve essere eccepita a pena di decadenza, dalle parti presenti prima che venga compiuto il primo atto del procedimento o, se non è possibile, subito dopo (Sez. 2, 3663/2016).

La richiesta di rito abbreviato produce un effetto sanante delle nullità non assolute, ai sensi dell’art. 183. Nè ciò comporta un vulnus ad alcun parametro costituzionale, essendo rimessa alla volontà dell’imputato l’opzione inerente all’adozione del rito abbreviato, costituendo la richiesta di accesso a tale rito una domanda di giudizio sul merito dell’imputazione e rappresentando perciò essa una accettazione degli effetti dell’atto di esercizio dell’azione penale.

Accedendo al rito speciale, infatti, la parte liberamente accetta di abdicare al potere di eccepire le nullità intermedie, chiedendo di essere giudicata attraverso un rito le cui regole e articolazioni processuali escludono la deducibilità di nullità a regime intermedio, come si evince dall’art. 183 lett. a) che normativizza la sanatoria delle nullità mediante la rinuncia per facta concludentia, individuabile nell’ esplicita e consapevole richiesta di un rito governato da regole diverse rispetto a quelle dell’ordinario dibattimento. Ciò è stato affermato per quanto attiene sia agli atti di valenza sia agli atti di natura propulsiva (6, 1335/2016).

L’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari determina una nullità a regime intermedio della richiesta di rinvio a giudizio, la quale rimane sanata dalla presentazione da parte dell’imputato della richiesta di giudizio abbreviato (Sez. 6, 35663/2017).

In caso di dichiarazione o di elezione di domicilio dell’imputato, la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato o eletto, produce una nullità a regime intermedio, che non è sanata dalla mancata allegazione da parte del difensore di circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato (SU, 58120/2017).

L’eccezione di nullità del giudizio di primo e secondo grado per nullità della notifica dei relativi decreti di citazione a giudizio deve essere respinta quando risulti provato che non è stato impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa (Sez. 2, 57147/2017).

L’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari determina una nullità a regime intermedio della richiesta di rinvio a giudizio, la quale rimane sanata dalla presentazione da parte dell’imputato della richiesta di giudizio abbreviato (Sez. 6, 35663/2017).

In caso di dichiarazione o di elezione di domicilio dell’imputato, la notificazione della citazione a giudizio mediante consegna al difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato o eletto, produce una nullità a regime intermedio, che non è sanata dalla mancata allegazione da parte del difensore di circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato (SU, 58120/2017).

L’eccezione di nullità del giudizio di primo e secondo grado per nullità della notifica dei relativi decreti di citazione a giudizio deve essere respinta quando risulti provato che non è stato impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa (Sez. 2, 57147/2017).

Quando una violazione processuale non determina, in concreto, alcun pregiudizio ai diritti di difesa, deve escludersi che la eventuale nullità possa estendersi anche agli atti successivi, ai sensi dell’art. 185, in quanto tale effetto si produce solo quando sia stato effettivamente condizionato il compimento degli atti che sono conseguenza necessaria ed imprescindibile di quello nullo e non degli atti che si pongono semplicemente in obbligata sequenza temporale con quest’ultimo (Sez. 1, 2018/2018).

Ai sensi dell’art. 185 la nullità rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, ma tale dipendenza va in concreto determinata sul piano giuridico e non solo sul piano logico. L’ordinamento legittima una lettura non rigorosamente formalistica degli effetti connessi ad un atto processuale nullo, che in concreto non ha dato luogo ad un danno misurabile e non ha aggredito il nucleo della garanzia oggetto di tutela, ove si considerino la prevista categoria concettuale della sanatoria per “conseguimento dello scopo, il richiesto interesse – concreto ed attuale – a fare valere la nullità e gli effetti diffusivi o no di questa. È vero che le forme processuali sono un valore, ma lo sono in quanto funzionali alla celebrazione di un giusto processo, i cui principi non vengono certamente compromessi da una nullità in sé “irrilevante” o inidonea a riverberarsi sulla validità degli atti processuali successivi. I confini di tale fenomeno vanno ovviamente individuati alla luce del significato da attribuire all’espressione codicistica di cui al comma 1 dell’art. 185 “atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo”, espressione che indica il limite della diffusione del vizio. Tale propagazione va circoscritta, come incisivamente si è affermato, alle sole sequele dinamiche necessarie, cioè ai soli casi in cui sia dato rinvenire tra gli atti un collegamento giuridico-funzionale assolutamente indefettibile, nel senso che l’atto nullo deve porsi come condizione necessaria ed imprescindibile per il compimento di quello successivo, che finisce per essere inevitabilmente contaminato dal vizio del primo: deve sussistere, cioè, un nesso di dipendenza reale ed effettiva tra gli atti, rimanendo ininfluenti quei vincoli di carattere meramente cronologico ed occasionale (Sez. 6, 33261/2016).

L’onere di provare il fatto processuale, dal quale dipenda l’accoglimento dell’eccezione procedurale, grava sulla parte che ha sollevato l’eccezione stessa (Sez. 6, 14243/2017).

L’eventuale violazione dell’art. 188, come, del resto, delle norme che disciplinano l’esame testimoniale e delle parti non è sanzionata da inutilizzabilità della prova, ma può rilevare solo nell’ambito della valutazione di attendibilità della prova.  In ogni caso l’espressione “buttare via la chiave” utilizzata dal PM è di uso comune e rappresenta il rischio di una situazione processuale gravemente compromessa, e il suo significato, nell’accezione comune, non è nel senso di una perdita definitiva delle garanzie che l’ordinamento comunque riconosce all’indagato (Sez. 29540/2018).

Il divieto di cui all’art. 188 si riferisce all’utilizzo di «metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti». La norma è, quindi, finalizzata a tutelare la libertà morale della “persona interessata” che non dev’essere condizionata da forme di coercizione fisica o coazione morale o psichica da parte degli inquirenti: ed infatti, la dottrina nell’esemplificare «i metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti» è unanime nel ritenere che i suddetti “metodi e tecniche” si riferiscano a tutte quelle tecniche che, o fisicamente (ad es. torture; uso del cd. lie detector; narcoanalisi; uso di sieri della verità) o psicologicamente (ipnosi;) siano idonee a fiaccare la volontà della persona (Sez. 2, 9494/2018).

La sanzione della inutilizzabilità di cui all’art. 191 è posta a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove a carico illegittimamente acquisite contro divieti di legge; ne consegue che tale inutilizzabilità non può essere ritenuta al fine di ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri del processo (Sez. 6, 1422/2018).

Il vizio di inutilizzabilità delle prove può essere dedotto dalle parti, per la prima volta, nel giudizio di cassazione o rilevato d'ufficio anche dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 609, comma 2: al riguardo, se è vero che in tema di giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, è parimenti vero che, qualora la rilevanza della prova sia stata adeguatamente prospettata dalla parte ovvero emerga in modo chiaro dalla sentenza impugnata, il giudice di legittimità è tenuto a valutarne anche d'ufficio l'inutilizzabilità (Sez. 3, 32866/2021).

Il giudice è indiscutibilmente tenuto a rilevare d’ufficio l’inutilizzabilità che risulti dagli atti, ma non è tenuto a ricercarne, d’ufficio la prova. L’onere di provare l’illegalità del procedimento di ammissione dell’intercettazione incombe su chi formuli l’eccezione di inutilizzabilità che se ne vuole desumere, perché per i fatti processuali, a differenza per quanto avviene per i fatti penali, ciascuna parte ha l’onere di provare quelli che adduce, quando essi non risultino documentati nel fascicolo degli atti di cui il giudice disponeNon c’è dubbio, quindi, che anche in relazione alle questioni rilevabili d’ufficio il giudice abbia il potere di riconoscere gli “effetti giuridici dei fatti”, ma che incomba alle parti l’onere di allegazione da esercitare nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito (SU, 45189/2004).

Nella ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, 31803/2018).

Il mancato avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), all’imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi dell’art. 210, comma, determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale resa senza garanzie (SU, 33583/2015).

Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Sez. 2, 21914/2016).

Le spontanee dichiarazioni rese dall’indagato alla PG, disciplinate dall’art. 350 comma 7, sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari. Tale disposizione preclude l’utilizzazione delle dichiarazioni spontanee dell’indagato (poi imputato) nel solo dibattimento ma non certo nel giudizio abbreviato. Con la conseguenza, quindi, di un pieno valore probatorio delle dichiarazioni autoindizianti rilasciate dall’imputato nella fase delle indagini preliminari (Sez. 6, 53803/2014).

Sono inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione soltanto quando il PM, dopo l’iniziale iscrizione del registro delle notizie di reato, abbia provveduto ad una successiva iscrizione relativa al medesimo fatto diversamente circostanziato (Sez. 6, 29151/2017).

L’inutilizzabilità degli atti erroneamente inseriti nel fascicolo del dibattimento non è automatica ma consegue alla tempestiva eccezione di parte, da proporre entro il termine previsto dall’art. 491, comma 2, posto che la legge consente l’acquisizione, su accordo delle parti, di atti ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 431, comma 1 (Sez. 7, 31096/2018).

I risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad un incidente stradale, non preordinato a fini di prova della responsabilità penale, ma di cura ed assistenza, sono utilizzabili per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza senza che rilevi la “mancanza di un preventivo consenso” dell’interessato (Sez. 4, 25127/2018).

Dalla nullità della perizia trascrittiva non deriva senz’altro l’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni, come sostenuto dai ricorrenti, in quanto la prova è costituita dalle bobine e dai verbali e la trascrizione costituisce la mera trasposizione grafica del contenuto delle stesse, ferma restando la possibilità del giudice del dibattimento di utilizzarle indipendentemente dalla trascrizione, procedendo direttamente all’ascolto o disponendo nuova perizia, cosicché non è corretto far discendere dall’errore procedimentale l’inutilizzabilità delle intercettazioni se la censura non è accompagnata dalla doglianza circa la difformità tra il contenuto delle intercettazioni ed il contenuto trascritto (Sez. 6, 13213/2016).

La questione dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza le necessarie garanzie difensive da chi sin dall’inizio doveva essere sentito in qualità di imputato o indagato non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito (tra tante (Sez. 6, 18889/2017).

L’inutilizzabilità degli esiti delle operazioni captative derivante dall’inosservanza dell’obbligo di motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni integra un’inutilizzabilità del risultato delle intercettazioni avente carattere assoluto, perché derivante dalla violazione dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione (Sez. 3,15828/2015).

Le questioni attinenti alla legittimità del ricorso a impianti esterni non possono essere ricondotte nell’alveo della inutilizzabilità patologica: pertanto, al di là delle asserite violazioni, si è in presenza di acquisizioni pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato (Sez. 6, 2930/2009).

La mancanza in atti di un provvedimento del PM che autorizzi il ricorso a impianti esterni non può essere interpretata come prova del fatto che le intercettazioni siano effettivamente avvenute presso tali impianti, derivandone al contrario la legittima presunzione del ricorso ad impianti interni (Sez. 4, 3307/2017).

L’inidoneità dell’impianto, che a norma dell’art. 268 comma 3 giustifica l’utilizzo di apparecchiature esterne agli uffici della procura della Repubblica, attiene non solo all’aspetto tecnico o strutturale, concernente le condizioni materiali dell’impianto stesso, ma anche a quello cosiddetto funzionale, da valutare in relazione al tipo di indagine che si svolge e allo specifico delitto per il quale si procede. In questo contesto, risulta essere motivazione sufficiente, seppure in via sintetica, il richiamo all’opportunità di non creare ritardi nell’azione investigativa o il fatto che la struttura carceraria rendeva impossibile, per fatto strutturale dipendente da ragioni di sicurezza, l’allaccio ad una sala esterna (Sez. 2, 6811/2017).

Non ricorre alcuna inutilizzabilità nel caso in cui nel corso delle intercettazioni siano sostituite le utenze intercettate. Ciò che rileva è che le nuove utenze siano usate dalla stessa persona nei cui confronti era stata autorizzata l’attività intercettiva e restino inalterati i presupposti legittimanti. Difatti, il dovere del giudice di indicare la linea telefonica sulla quale è consentita l’intercettazione ha il solo scopo di identificare con precisione la persona titolare del diritto compresso (Sez. 6, 31297/2017).

Il provvedimento di cessazione delle intercettazioni adottato del PM equivale alla sua rinuncia alla prosecuzione delle operazioni che dunque non possono essere riprese senza un formale provvedimento di riattivazione. Ne deriva che, in assenza di quest’ultimo atto, la prosecuzione delle operazioni è illegittima per inosservanza delle disposizioni dell’art. 267 e i suoi risultati sono inutilizzabili (Sez. 5, 28566/2017).

Le irregolarità nell’indicazione dell’inizio e della fine delle operazioni di intercettazione non determinano l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni medesime. Ciò perché la invalidità e l’inutilizzabilità sono patologie processuali soggette alla regola della tassatività e non possono essere ricostruite in base a violazioni di disposizioni finalizzate alla mera regolarità degli atti, peraltro ancora non definitivamente redatti e depositati (Sez. 6, 32522/2015).

L’omessa indicazione nel verbale delle operazioni delle generalità delle persone che hanno preso parte alle attività intercettive non determina alcuna inutilizzabilità (Sez. 4, 49306/2004).

L’inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 89 Att. in tema di verbali e nastri registrati delle intercettazioni non determina, l’inutilizzabilità degli esiti dell’attività captativa legittimamente disposta ed eseguita. Infatti, la sanzione d’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni telefoniche, stante il principio di tassatività, non può essere dilatata sino a comprendervi l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89, non espressamente richiamato dall’art. 271. In particolare, la traduzione delle conversazioni, attività logicamente e cronologicamente successiva alla captazione di queste, non è una delle operazioni previste dall’art. 89 Att., con la conseguenza che quello dell’interprete non fa parte dei nominativi che devono essere annotati nel verbale delle operazioni previsto dall’art. 268, comma 1. Tale omissione costituisce una nullità relativa che deve essere tempestivamente dedotta (Sez. 6, 31285/2017).

L’eccezione di inutilizzabilità di intercettazioni di comunicazioni telefoniche che si basa soltanto sull’omessa indicazione delle generalità dell’interprete traduttore è infondata perché nessuna disposizione ricollega a tale omissione la nullità o la inutilizzabilità dell’attività da lui svolta: la omissione costituisce una mera irregolarità (per inottemperanza all’art. 115, comma 1, Att.), perché la capacità dell’interprete di svolgere adeguatamente il compito assegnato è un dato obiettivo, desumibile dalla correttezza della traduzione eseguita e trascritta, per cui la sua identificazione appare del tutto indifferente ai fini del relativo controllo (Sez. 6, 30783/2007).

All’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, segue l’inutilizzabilità di tali operazioni per l’impossibilità di desumerne la capacità dell’ausiliario di svolgere ed eseguire adeguatamente l’incarico affidatogli (Cass, Sez. 3, 28216/2015).

La questione dell’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche relative a conversazioni in lingua straniera a causa della mancata identificazione dell’interprete non può essere dedotta nell’interesse di chi sia stato ammesso al rito abbreviato e abbia per ciò stesso accettato l’utilizzabilità nei suoi confronti anche dell prove affette da inutilizzabilità fisiologica (Sez. 2, 41205/2017).

La sanzione prevista dall’art. 271 comma 1 in relazione all’art. 268, comma 1, colpisce l’omessa redazione del verbale delle operazioni e non il suo eventuale mancato deposito. Il mancato rispetto del termine di 5 giorni dalla conclusione delle operazioni per il deposito dei verbali e delle registrazioni non è causa di nullità, non essendo espressamente prevista, né di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, atteso il mancato richiamo, nell’art. 271, al quarto e al sesto comma dell’art. 268 (Sez. 4, 43472/2017).

Sono legittime e utilizzabili senza necessità di una previa procedura di rogatoria internazionale le intercettazioni di conversazioni avvenute tra un’utenza situata in territorio maltese e utenze situate nel territorio degli Emirati arabi dal momento che la rete delle comunicazioni utilizzata dalla Repubblica di Malta è costituita da cavi sottomarini collegati con nodi di smistamento ubicati in Sicilia. Si verifica in tal modo un transito dei dati nel territorio italiano e questo è sufficiente a radicare la giurisdizione interna (Sez. 3, 24305/2017).

In tema di rogatorie internazionali vige la prevalenza della lex loci sulla lex fori. Sono dunque utilizzabili captazioni eseguite nei Paesi Bassi in accordo alla legislazione di quello Stato purché, in applicazione del combinato disposto degli artt. 27 e 31 delle preleggi e 191 e 729, la prova non sia stata acquisita in contrasto con principi fondamentali e inderogabili dell’ordinamento giuridico italiano e quindi con l’inviolabile diritto di difesa (Sez. 2, 2174/2017).

È inutilizzabile a fini cautelari nel procedimento ad quem l’intercettazione proveniente da diverso procedimento se il primo decreto autorizzativo sia allegato in forma completamente omissata così impedendo alla difesa e al giudice di verificare l’esistenza dei presupposti legali dell’intercettazione disposta nel procedimento a quo (Sez. 6, 40945/2017).

In tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, l’omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l’autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l’inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall’art. 270 e non rientra nel novero di quelle di cui all’art. 271 aventi carattere tassativo (Sez. 5, 1801/2015).

Il giudice del procedimento ad quem non è tenuto rilevare eventuali vizi, rilevanti ai sensi degli artt. 267 e 268, presenti nel procedimento in cui le intercettazioni furono disposte, gravando il relativo onere sulla parte che intende far valere l’inutilizzabilità, sulla base di copia degli atti che la stessa ha diritto di ottenere, ai sensi dell’art. 116. (Sez. 5, 4758/2016).

Sono utilizzabili nel procedimento di prevenzione i risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali, la cui utilizzabilità sia accertata nel giudizio penale di cognizione, senza la necessità di alcuna preventiva valutazione ad hoc da parte del giudice della prevenzione, trattandosi di prova la cui conformità all’ordinamento è stata delibata nella sede propria, nel contraddittorio delle parti, all’esito di un giudizio con la partecipazione di tutte le parti interessate al suo utilizzo. Ne consegue che il giudice della prevenzione non deve compiere alcuna nuova valutazione al riguardo, salva la verifica della capacità dimostrativa della prova in questione ai fini del giudizio di pericolosità del proposto (Sez. 5, 52095/2014).

È da escludere la necessità del deposito, ex art. 268 in vista della utilizzazione a fini cautelari, dei risultati delle registrazioni, ma anche la necessità che il PM alleghi alla richiesta di emissione del provvedimento cautelare il verbale e la registrazione relativi alle operazioni di intercettazione, ravvisandosi, in sostanza, una sorta di presunzione d’esistenza e di conformità, senza la necessità di un controllo giurisdizionale sulla effettiva sussistenza di tale documentazione, dalla quale discende la validità della prova; ciò sul rilievo che l’art. 271 non menziona l’art. 89 Att., essendo, perciò, consentito utilizzare a fini cautelari i dati conoscitivi tratti dalle captazioni effettuate, senza che il PM sia tenuto a produrre, né al giudice per le indagini preliminari, né, eventualmente, al tribunale del riesame, la relativa documentazione (Sez. 5, 12010/2017).

L’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche deriva dalla effettiva inosservanza delle disposizioni richiamata dall’art. 271 e non può ricollegarsi alla mancata trasmissione al TDR, da parte del PM, dei decreti autorizzativi che vanno messi a disposizione del giudice del riesame e della difesa al solo scopo di controllare l’effettiva sussistenza delle condizioni legittimanti l’effettuazione delle intercettazioni. L’accertamento di siffatte condizioni può essere realizzato anche attraverso l’acquisizione da parte del giudice del riesame dei decreti autorizzativi (Sez. 1, 4582/1999).

In tema di misure cautelari, se i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati alla richiesta del PM, la successiva omessa trasmissione degli stessi al TDR, a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo, non determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni, salvo che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione e la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (Sez. 6, 7521/2013).

La mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche non determina l’inutilizzabilità delle comunicazioni intercettate, che consegue alle violazioni specificatamente previste dall’art. 271, ma dà luogo alla perdita di efficacia della misura cautelare applicata in base all’art. 309, commi 5 e 10, quando essi siano stati presentati dal PM al GIP con la richiesta di misura cautelare (Sez. 6, 51677/2014).

È infondata l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto originate da spunti investigativi tratti da intercettazioni inutilizzabili. Infatti, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti intercettazioni inutilizzabili: ne consegue che non è inutilizzabile la prova, che non sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova inutilizzabile (Sez. 6, 54535/2016).

In tema di intercettazioni di conversazioni telefoniche, i dati provenienti dalla rilevazione automatica delle chiamate in partenza da apparecchi telefonici pubblici su una utenza privata sono utilizzabili anche quando tale non sia il contenuto della conversazione intercettata, in quanto il mezzo tecnico adoperato, di limitata intrusione, è assimilabile al sistema di acquisizione dei tabulati telefonici, che sono acquisibili sulla base della semplice autorizzazione del PM (Sez. 2, 45622/2003).

Non sono utilizzabili nel giudizio di equa riparazione i risultati di intercettazioni dichiarate affette da inutilizzabilità patologica nel giudizio di cognizione (SU, 1153/2008).

Sono invece utilizzabili nel medesimo giudizio, a fini della valutazione del dolo o della colpa grave del ricorrente, le intercettazioni viziate da inutilizzabilità fisiologica (Sez. 4, 49771/2013).

Qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, siccome asseritamente eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268 commi 1 e 3, è onere della parte indicare specificamente l’atto che si afferma essere affetto dal vizio denunciato e curare che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, magari provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione. In difetto, il motivo è inammissibile per genericità, non essendo consentito al giudice di legittimità di individuare l’atto affetto dal vizio denunciato (Sez. 2, 44221/2013).

Il ricorrente che lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, 3207/2014).

Il motivo con il quale sia dedotta l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni telefoniche - sui quali si fondi il giudizio di responsabilità dei concorrenti in un medesimo reato - giova anche agli imputati che non abbiano proposto ricorso, o che abbiano proposto un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso abbiano successivamente rinunciato, trattandosi di motivo non esclusivamente personale che rende operante l’effetto estensivo dell’impugnazione (SU, 30347/2007 e, più di recente,  Sez. 6, 48009/2016).

 

Mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 comma 1 lettera d)

Non è sindacabile in sede di legittimità, per omessa assunzione di una prova decisiva, la revoca o la mancata ammissione di una prova disposta d'ufficio dal giudice su sollecitazione di parte che sia congruamente motivata in riferimento alla raggiunta completezza del quadro istruttorio. Invero, il motivo di ricorso per cassazione consistente nella deduzione di mancata assunzione di una prova decisiva può essere proposto solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma 2, sicché esso non può essere validamente invocato quando il mezzo di prova, sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507, non sia stato dal giudice ritenuto necessario ai fini della decisione (Sez. 5, 18687/2021).

Deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 7, 45938/2018).

La mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione, anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, a norma dell’art. 495 comma 2, sicché il suddetto motivo non può essere validamente invocato nel caso di giudizio abbreviato non condizionato ad integrazione probatoria. La mera sollecitazione probatoria non è idonea a far sorgere in capo all’istante quel diritto alla prova, al cui esercizio ha rinunciato formulando la richiesta di rito alternativo non condizionato. Ne consegue che il mancato accoglimento di tale richiesta non può costituire vizio censurabile ex art. 606, comma primo, lett. d) (Sez. 2, 46765/2018).

La mancata assunzione dei mezzi di prova già ammessi non produce alcuna nullità del procedimento laddove non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura dell’istruzione dibattimentale da parte di chi tali mezzi aveva richiesti né opposizione delle altre parti processuali. Infatti il diritto alla prova, previsto dall’art. 190, nel vigente sistema processuale, caratterizzato dalla dialettica e dall’impulso delle parti, implica anche il principio di disponibilità della prova medesima. In presenza, pertanto, di un comportamento concludente di rinuncia alla prova non è configurabile alcuna nullità (Sez. 4, 11424/2017).

Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non vincola o condiziona il giudice di secondo grado in ordine alla istruttoria dibattimentale, dovendo egli sempre valutare, in modo autonomo, la sussistenza di ipotesi che la rendano necessaria. Ed invero, il diritto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’imputato contumace riammesso nei termini per proporre impugnazione va correttamente interpretato e coordinato con gli altri principi che regolano il processo penale, tenendo conto, in primo luogo, che gli atti istruttori compiuti nel giudizio di primo grado non divengono invalidi per il solo fatto che l’imputato contumace sia rimesso in termini per appellare, ma mantengono la loro validità e la loro efficacia, come previsto dall’art. 175  nuovo testo, che non prevede l’invalidità dell’attività istruttoria compiuta nel giudizio di primo grado né la automatica rinnovazione del dibattimento. Pertanto, il diritto alla prova dell’imputato contumace, riammesso in termini per impugnare, potrà consistere o nella richiesta di riassunzione delle prove già assunte in primo grado o nella richiesta di prove non assunte nel giudizio di primo grado, ma ciò, sempre subordinatamente alle regole ordinarie che sovrintendono l’istruzione probatoria ossia a condizione che l’imputato appellante indichi al giudice del gravame il tema di indagine che si intende approfondire, in modo da consentire al giudice di valutarne la pertinenza e la rilevanza ai fini della ammissione delle prove richieste (Sez. 6, 32485/2016).

La rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale rappresenta un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione, con la conseguenza che, tolte le ipotesi di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, le parti non hanno il diritto alla prova che riconoscono loro gli articoli 190 e 495  e, dunque, fuori da questi casi - come in quello sottoposto al presente scrutinio di legittimità -, la mancata assunzione della prova non è mai censurabile in cassazione a norma dell’art. 606 lett. d)  bensì solo ai sensi della lettera e) di tale ultimo articolo (Sez. 5, 24791/2017).

Il procedimento camerale, per la sua struttura scarsamente formale, consente al giudicante di acquisire informazioni e prove, anche di ufficio, senza l’osservanza dei principi sull’ammissione della prova di cui all’art. 190, essendo essenziale l’accertamento dei fatti, nel semplice rispetto della libertà morale delle persone e con le garanzie del contradditorio. Con particolare riferimento alla mancanza di un diritto all’ammissione delle prove a discarico, che importerebbe nel procedimento di esecuzione una disparità di trattamento nell’esercizio del diritto di difesa rispetto all’indagato o all’imputato nel procedimento penale, si è affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale al riguardo posto che le disposizioni regolanti il procedimento di esecuzione garantiscono l’esercizio del diritto di difesa non soltanto con la presenza necessaria del difensore nell’udienza di trattazione, ma altresì con il riconoscimento della facoltà di dedurre o richiedere elementi a discarico - eventualmente anche a mezzo dell’audizione personale di cui al comma quarto dell’art. 666, - come si ricava dal combinato disposto degli artt. 666, comma quinto, dello stesso codice e 185 delle relative disposizioni di attuazione, salvo il vaglio di pertinenza o di inerenza probatoria comunque rimesso al giudice. D’altro canto il diritto alla prova a discarico di cui al precitato art. 495, comma 2,  attiene al processo di cognizione, che inerisce ad una fase del processo penale in cui deve essere accertata la posizione dell’imputato rispetto al fatto ascrittogli, mentre il procedimento di sorveglianza, come quello di esecuzione, riguarda situazioni accessorie alla pena inflitta ovvero alla pericolosità del condannato, sicché la diversità ravvisabile tra la posizione dell’imputato e quella della parte privata nel procedimento esecutivo o di sorveglianza giustifica, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., anche la disparità normativa nell’esercizio di facoltà difensive (Sez. 2, 3954/2017).

La scelta del rito abbreviato che preclude l’assunzione delle prove nel contraddittorio, svolgendosi il processo allo stato degli atti, rende di per sé utilizzabili gli atti legittimamente acquisiti nel corso delle indagini preliminari e noti all’imputato: tra questi sono compresi gli atti formati unilateralmente dalla polizia giudiziaria, tra i quali la comunicazione della notizia di reato, o dal pubblico ministero, in quanto riproducono, seppure nella dimensione cartolare, una prova dichiarativa e devono essere valutati sulla base dei parametri che regolano l’apprezzamento di tale prova, ove compatibili. Va infatti rilevato che il principio generale che informa l’utilizzabilità degli atti nel giudizio abbreviato si fonda sulla loro acquisizione al fascicolo del pubblico ministero poiché di essi, come di tutte le risultanze probatorie antecedenti all’istanza di abbreviato, lo stesso imputato ha accettato l’utilizzabilità, conferendo per effetto di tale scelta agli atti di indagine un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie. Devono conseguentemente ritenersi legittimamente utilizzabili in tale rito i verbali redatti dalla PG, ivi compresi quelli formati in sede di convalida dell’arresto nel quale si riporta il contenuto delle dichiarazioni rese agli operanti dagli informatori, costituendo le stesse atto di indagine alla quale la scelta dell’imputato di accedere al rito alternativo ha attribuito valenza probatoria e non essendo operante nel medesimo rito il divieto di testimonianza indiretta dell’ufficiale e dell’agente di polizia giudiziaria dettato esclusivamente in relazione alla deposizione dibattimentale degli stessi (Sez. 3, 45266/2018).

L’applicazione della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis Cod. pen. non è proponibile per la prima volta nel giudizio di cassazione ostandovi il disposto di cui all’art. 609, comma 3, se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d’appello (Sez. 7, 45634/2018).

L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude anche la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma 2, l’estinzione del reato per prescrizione anche se maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (SU, 12602/2016).

Il capo della sentenza di condanna che riguarda l'azione civile e l'entità del danno risarcibile rappresenta un profilo distinto rispetto ai capi che attengono alla responsabilità penale ed alla pena principale: ne consegue che l'accoglimento del solo motivo di ricorso riferito al sequestro conservativo non determina effetti in punto di prescrizione del reato, ove siano stati dichiarati inammissibili gli altri capi della sentenza, posto che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma 2, l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data successiva alla sentenza d'appello (Sez. 5, 18684/2021).

Va ribadito il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma 2, l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso, decisione che ha anche avuto modo di precisare che sia, invece, ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) (SU, 12602/2016). Tuttavia, la stessa decisione ha precisato che, in tanto è ammissibile tale evenienza e cioè che in sede di ricorso per cassazione si possa formulare la specifica censura ricollegata all’omessa dichiarazione di estinzione per prescrizione intervenuta precedentemente alla decisione d’appello, in quanto l’impugnazione in sede di legittimità sia ammissibile. Tutte le ipotesi di inammissibilità previste, in via generale, dall’art. 591, comma 1, lett. a), b), c), viziano geneticamente l’atto, che, ponendosi al di fuori della cornice normativa di riferimento, sono tutte ugualmente intrinseche alla struttura dell’atto, sì da renderlo inidoneo ad investire il giudice del grado successivo della piena cognizione del processo. La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, precludendo una pronuncia sul merito, fa sì che la sentenza invalidamente impugnata diventi intangibile sin dal momento in cui si concretizza la causa di inammissibilità che paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale, al di là dell’accertamento di tale profilo processuale, non è abilitato a rilevare, a norma dell’art. 129, l’intervenuta prescrizione se maturata successivamente alla sentenza impugnata. Da tanto consegue che, seppure l’art. 129 imponga al giudice dell’appello l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e debba ex officio adottare il provvedimento consequenziale, rilevandosi la sentenza di condanna emessa viziata da violazione di legge, tanto si realizzi a condizione che, come sopra detto, risulti validamente sussistente un rapporto processuale che la dichiarazione di inammissibilità esclude (Sez. 6, 45763/2018).