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Art. 503 - Esame delle parti private

1. Il presidente dispone l’esame delle parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito, secondo il seguente ordine: parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e imputato.

2. L’esame si svolge nei modi previsti dagli articoli 498 e 499. Ha inizio con le domande del difensore o del pubblico ministero che l’ha chiesto e prosegue con le domande, secondo i casi, del pubblico ministero e dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, del coimputato e dell’imputato. Quindi, chi ha iniziato l’esame può rivolgere nuove domande.

3. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto.

4. Si applica la disposizione dell’articolo 500 comma 2.

5. Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3.

6. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422.

Rassegna giurisprudenziale

Esame delle parti private (art. 503)

L’art. 503 regolamenta l’esame delle parti tra le quali inseriscono anche la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e l’imputato. Orbene, i primi tre commi dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l’esame delle parti private diverse dall’imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione – per l’imputato – contenuta nei commi 5 e 6 del predetto art. 503; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nel secondo comma dell’art. 500 secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato).

Invece, i commi 5 e 6 dell’art. 503 dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall’imputato: “le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dal PM o dalla PG su delega del PM sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma terzo. La disposizione prevista dal comma quinto si applica anche per le dichiarazioni rese a norma degli articoli 294, 299, comma 3-ter, 391 e 422”.

È chiaro, quindi, che il legislatore ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la parte civile) regolamentate nell’art. 503 da quelle rese dall’imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell’art. 503 comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dai commi 5 e 6 dell’art. 503. In proposito è costante l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell’art. 526.

Tuttavia, una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come nel caso di specie) ovvero altri coimputati: il “precedente difforme”, nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte con le modalità indicate nei commi 5 e 6; nel secondo caso, invece, in applicazione dell’art. 500 comma 2 (richiamato dall’art. 503 comma 4), la dichiarazione dell’imputato esaminato può essere valutata soltanto per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell’art. 500 comma 4.

Invero, nel primo caso – precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra – si è in presenza di dichiarazioni rese dall’indagato “contra se” alla presenza del difensore e nel contraddittorio con il PM; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del PM in base al precedente difforme. È quindi chiaro che in tal caso non si viola alcuno dei principi di cui all’art. 111 Cost. (Sez. 2, 19618/2014).

L’esame dell’imputato, disciplinato dagli artt. 495 e 503, è un mezzo istruttorio atipico che opera come mezzo di difesa, quando è dall’imputato medesimo richiesto, e come mezzo di prova, quando è dedotto dalla controparte e non è riconducibile allo ius dicendi, a differenza delle spontanee dichiarazioni e dell’interrogatorio imposto da specifica disposizione (Sez. 5, 12358/2018).

L’ipotesi delle dichiarazioni spontanee dell’indagato è espressamente considerata dalla disciplina processuale, che all’art. 350 fa menzione di quelle rese dalla persona nei confronti della quale vengono svolte le indagini e ricevute dalla PG. Di esse non è consentita l’utilizzazione nel dibattimento, salvo che per le contestazioni previste dall’art. 503 comma 3 (Sez. 7, 11517/2018).

La richiesta di esame dell’imputato, che risulti assente (o contumace, secondo la previgente disciplina), non impone al giudice il differimento del dibattimento (trovando tutela l’interesse dell’imputato o nella deduzione di condizioni che abbiano impedito la presenza all’udienza, ovvero nella possibilità comunque assicurata di esser ascoltato nel successivo grado di giudizio (Sez. 2, 54946/2017).

La revoca disposta dal giudice di primo grado dell’esame, richiesto dal difensore, dell’imputato non comparso all’udienza, non comporta alcuna violazione del diritto di difesa, ben potendo l’imputato presentarsi in appello e rendere dichiarazioni, a norma dell’art. 523 (Sez. 2, 44945/2013).

L’esame dell’imputato non costituisce un mezzo di prova che possa assumere valore decisivo ai fini del giudizio, dovendo intendersi come tale solo quella prova che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per una diversa conclusione del processo, e non anche quella insuscettibile di incidere sulla formazione del convincimento del giudice, in quanto costituente una diversa prospettazione valutativa nell’ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali (Sez. 2, 44945/2013).

La mancata assunzione dell’esame dell’imputato che ne ha fatto richiesta determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che è sanata se non eccepita immediatamente dopo l’acquisizione delle prove a carico, nel momento in cui l’esame deve essere eseguito (Sez. 7, 34598/2016).

È inutilizzabile l’interrogatorio reso dall’imputato in sede di convalida dell’arresto ed acquisito al fascicolo del dibattimento in violazione dell’art. 503 perché l’imputato aveva reso nuovo esame in dibattimento, nel corso del quale non gli erano state contestate le precedenti dichiarazioni (Sez. 4, 33387/2008).

L’art. 503 comma 3 prevede che “Fermi i divieti di lettura e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero.

Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto”. Il successivo comma 5 dispone che le dichiarazioni alle quali il difensore aveva il diritto di assistere assunte dal PM o dalla PG su delega del PM sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3.

In conclusione, le precedenti dichiarazioni difformi rese dall’imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro il dichiarante se sono state assunte con le modalità indicate all’art. 503, commi 5 e 6 (Sez. 2, 19618/2014).

Nel corso dell’esame dibattimentale il PM e i difensori possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del PM al fine di contestare il contenuto della deposizione. Solo a seguito delle contestazioni le dichiarazioni suddette sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento (Sez. 5, 1114/2016).

È palesemente destituita di fondamento la tesi che ai fini della regolarità dell’esame dell’imputato in dibattimento occorra dargli gli avvisi previsti dall’art. 64 per lo svolgimento dell’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini.

A parte la radicale diversità delle fasi e delle posizioni processuali dei soggetti interessati, l’art. 503, anche mediante il rinvio ai modi previsti dagli artt. 498 e 499, esaurisce in sé l’intera gamma delle formalità che debbono essere osservate per il corretto svolgimento dell’esame, cui tra l’altro l’imputato – a differenza dell’indagato in sede d’indagini preliminari – si sottopone solo volontariamente, facendone espressa richiesta o consentendovi quando essa provenga da altra parte, pubblica o privata (Sez. 6, 45078/2015).

In tema di procedimento di prevenzione, qualora con il decreto applicativo di una misura di prevenzione sia disposta la confisca di un bene intestato ad un terzo, l’omessa audizione del terzo interessato non è riconducibile nell’alveo delle violazioni del diritto alla prova, in quanto non si tratta di atto equiparabile all’esame delle parti private di cui all’art. 503, né ad alcun altro dei mezzi di prova disciplinati dal codice di rito.

Detta omissione può, tuttavia, essere censurata quale violazione del diritto alla difesa, ma per soddisfare il requisito di specificità del motivo e l’interesse del deducente all’impugnazione sotto detto profilo, è necessario che all’eccezione si accompagni l’indicazione delle difese che i terzi interessati avrebbero potuto sviluppare soltanto rivolgendosi personalmente al giudice e non anche attraverso l’attività di rappresentanza espletata dai rispettivi difensori (Sez. 5, 45139/2013).

Le spontanee dichiarazioni non sono utilizzabili ai sensi dell’articolo 350 comma 7 potendo essere contestate soltanto all’imputato ai sensi dell’art. 503 comma 3. e non anche al testimone ex art. 500 comma 2 (Sez. 6, 24611/2015).

Nel processo accusatorio è un diritto delle parti quello di contestare il contenuto della deposizione di un testimone (art. 500 comma 1) o di un’altra parte (art. 503 comma 3) sulla base delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone o dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del PM. In virtù del generale rinvio operato con l’art. 598 tale diritto deve poter essere esercitato anche nella istruzione dibattimentale in sede di appello, a nulla rilevando che le dichiarazioni rilasciate nelle fasi precedenti al dibattimento, e assunte a base delle contestazioni, non siano nella disposizione materiale del pubblico ministero presso il giudice di appello.

Il fascicolo del PM presso il giudice di prime cure, infatti, è nella disposizione giuridica di tutte le parti (art. 2, direttiva 58, della legge delega) e come le parti private hanno diritto di estrarne copia, così il PG presso la Corte di Appello può – anche in base al rapporto di sovraordinazione gerarchica – acquisirne la disposizione materiale, sia in vista della udienza fissata per la rinnovazione del dibattimento in secondo grado, sia chiedendo all’uopo apposita sospensione ai sensi dell’art. 603, comma 6 (Sez. 2, 19618/2014).