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Art. 345 - Difetto di una condizione di procedibilità. Riproponibilità dell’azione penale

1. Il provvedimento di archiviazione e la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se non più soggetta a impugnazione, con i quali è stata dichiarata la mancanza della querela, della istanza, della richiesta o dell’autorizzazione a procedere, non impediscono l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l’istanza, la richiesta o è concessa l’autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l’autorizzazione.

2. La stessa disposizione si applica quando il giudice accerta la mancanza di una condizione di procedibilità diversa da quelle indicate nel comma 1, nonché quando, dopo che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere a norma dell’articolo 72-bis, lo stato di incapacità dell’imputato viene meno o si accerta che è stato erroneamente dichiarato.

Rassegna giurisprudenziale

Difetto di una condizione di procedibilità. Riproponibilità dell’azione penale (art. 345)

La clausola di specialità di cui all’art. 14 della Convenzione europea di estradizione si configura come disposizione introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale (SU, 8 /2001).

La procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di lavoro prevista dagli artt. 20 e ss. del D. Lgs. 758/1994, si qualifica, in una prima fase, come condizione di procedibilità dell’azione penale, da tenere distinta dalla condizione di punibilità afferente ad una fase successiva (Sez. 3, 46151/2015).

L’art. 2, comma 1-bis, secondo periodo, L. 638/1983 ha modificato i termini e le modalità di operatività della causa di non punibilità già prevista dalla normativa previgente, introducendo, prima dell’invio della notitia criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso in sede amministrativa, nel termine all’uopo concesso al datore di lavoro, senza introdurre una condizione di procedibilità del reato.

A ben vedere il comma 1-ter del citato art. 2, secondo il quale “la denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1-bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto” costituisce solo una deroga all’obbligo di riferire, “senza ritardo” – peraltro il termine è ripetuto nello stesso comma 1-ter – la notizia di reato al PM, imposto alla PG dall’art. 347 e, in generale, al pubblico ufficiale dall’art. 331, comma 2, posponendone l’adempimento.

Sicché non vi è ragione di dubitare che il PM eserciti ritualmente l’azione penale per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali anche se non si sia perfezionato il procedimento per la definizione del contesto in sede amministrativa, così come esercita l’azione penale per i fatti costituenti reato di cui sia venuto a conoscenza aliunde rispetto ai meccanismi di informazione previsti dai citati art. 347 e 331 (Sez. 3, 6378/2014).

La mancanza di una condizione di procedibilità può considerarsi elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale ma è inidonea ad inficiare la legittimità del sequestro probatorio, in quanto atto d’indagine diretto ad assicurare le fonti di prova (SU, 8/2001).