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Art. 103 - Garanzie di libertà del difensore

1. Le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori sono consentite solo:

a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati, limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito;

b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.

2. Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato.

3. Nell’accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.

4. Alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.

5. Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.

6. Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall’articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati. Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.

Rassegna giurisprudenziale

Garanzie di libertà del difensore (art. 103)

Perquisizioni e sequestri

Ai sensi dell’art. 103, non è sufficiente a superare il divieto, assistito dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al comma 7 dello stesso articolo, la mera utilità probatoria dell’oggetto del sequestro, perché la legge esige un quid pluris che giustifichi l’interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore, e cioè che l’atto o documento appreso costituisca, esso stesso, corpo del reato; non è consentito, pertanto, a pena di inutilizzabilità, il sequestro delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti (Sez. 5, 27988/2020).

È violato l’art. 8 CEDU le autorità nazionali sequestrino la corrispondenza intercorsa tra un individuo detenuto e il suo avvocato in mancanza di elementi sui quali fondare un ragionevole sospetto di attività illecite (Corte EDU, sentenza 24.5.2018, Laurent c. Francia).

È ammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, sempre che sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati (SU, 40963/2017).

Per l’esecuzione di un provvedimento di perquisizione e sequestro non occorre avvisare il Consiglio dell’ordine forense, qualora nella commissione del reato sia coinvolto anche un difensore, atteso che le guarentigie previste dall’art. 103, non introducendo un principio immunitario di chiunque eserciti la professione legale, sono applicabili unicamente se devono essere tutelate la funzione difensiva o l’oggetto della difesa (Sez. 2, 32909/2012).

Mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la garanzia è collegata ai locali dell’ufficio, per i sequestri (così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza) la lettera del secondo comma, con le parole iniziali (“presso i difensori”), mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone (difensori e consulenti tecnici), sicché il divieto opera anche quando l’attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall’ufficio. Dunque, essendosi in presenza di documentazione afferente ad assistenza legale, il sequestro è illegittimo.

Se è dunque la “persona” cui il documento è diretto, ovvero il difensore, che circoscrive l’area di efficacia delle guarentigie previste dall’art. 103, deve ritenersi che la corrispondenza dell’imputato inviata al difensore soggiace al divieto di utilizzabilità previsto dal comma 6 dello stesso articolo.

Si tratta di una interpretazione coerente con le indicazioni della normativa sovranazionale e, segnatamente, con quanto prevede l’art. 4 della Direttiva 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore, che non è stato oggetto di specifica trasposizione (ritenendosi evidentemente sufficiente la tutela prevista dall’art. 103  che indirizza chiaramente verso la massima tutela della riservatezza della comunicazioni tra accusato e difensore stabilendo che «gli Stati membri rispettano la riservatezza delle comunicazioni fra indagati o imputati e il loro difensore nell’esercizio del loro diritto di avvalersi di un difensore previsto dalla presente direttiva.

Tale comunicazione comprende gli incontri, la corrispondenza, le conversazioni telefoniche e le altre forme di comunicazione consentite ai sensi del diritto nazionale». Il divieto di acquisizione e di utilizzo colpisce pertanto ogni documento rilevante ai fini della difesa, che sia indirizzato dall’imputato al difensore o viceversa, indipendentemente dal luogo ove lo stesso sia rinvenuto (Sez. 2, 19255/2017).

L’art. 103 comma 3 pone l’obbligo, per l’AG che debba procedere ad eseguire un’ispezione, una perquisizione o un sequestro presso lo studio di un difensore, di avvisare il Presidente del Consiglio dell’ordine forense, che, di persona o tramite un delegato, possa assistere alle operazioni. Il rispetto di tale obbligo è sancito a pena di nullità degli atti eseguiti senza osservarlo. Fa eccezione al suindicato principio il caso dell’avvocato che sia sottoposto ad indagini, nel quale riprende, ovviamente, vigore il criterio di segretezza, che informa la fase investigativa e la natura di atto a sorpresa della perquisizione, essendo le predette guarentigie poste a garanzia del diritto di difesa dell’imputato/indagato.

La regola della necessità dell’avviso ex art. 103 comma 3 è ristabilita quando lo studio professionale risulti cointestato ad altro avvocato nominato difensore di fiducia del professionista indagato e non sottoposto in quel momento ad indagini, con la conseguente nullità degli atti compiuti ove quelle prescrizioni non siano rispettate (Sez. 5, 71/2019).

 

Intercettazioni

Il divieto posto dall’art. 103 non riguarda indiscriminatamente qualsiasi conversazione del difensore ma solo quelle che attengono alla funzione esercitata (SU, 25/1994). La norma non attribuisce dunque uno scudo di portata generale né deve essere intesa come un privilegio professionale. La medesima sentenza si è premurata per contro di precisare che il divieto di intercettazione salvaguarda sia le funzioni difensive svolte nello stesso procedimento in cui è compiuta l’attività intercettiva sia quelle svolte in un procedimento diverso.

Il principio generale posto dalle Sezioni unite ha generato nel tempo ulteriori specificazioni.

La garanzia apprestata dall’art. 103 spetta non solo al difensore di fiducia ma anche a quello d’ufficio (Sez. 1, 1779/2015).

Sez. 6, 13816/2015 ha incluso nel divieto le comunicazioni di natura difensiva anche in assenza di un previo mandato formale.

Sez. 5, 17979/2013 vi ha incluso anche le comunicazioni del difensore con una persona diversa dal suo assistito purché abbiano ad oggetto fatti appresi per via della funzione difensiva.

Sez. 6, 18638/2015 ha invece escluso il divieto per le comunicazioni che abbiano ad oggetto fatti non conosciuti per ragioni professionali.

Sez. 2, 43410/2015, ancora più ovviamente, lo ha escluso per le comunicazioni che costituiscano di per se stesse reato.

In stretta connessione a questo aspetto, si segnala una decisione del giudice europeo dei diritti umani (Corte EDU, sentenza del 16.7.2016, procedimento Versini-Campinchi e Crasnianski c. Francia). La Corte ha chiarito che l’uso in ambito disciplinare dell’intercettazione di una conversazione tra un legale e il suo assistito non viola l’art. 8 CEDU purchè la normativa nazionale sia accessibile e prevedibile e consenta la ricorribilità e sempre che le comunicazioni intercettate non attengano al diritto di difesa dell’assistito.

È poi pacificamente riconosciuto, tra le altre dalla sentenza 38578/2008, che le comunicazioni non professionali del difensore possono essere usate per l’identificazione della voce dell’indagato.

Del pari, Sez. 4, 55253/2016, consente l’uso della conversazione tra difensore e imputato al solo scopo di individuare chi avesse utilizzato l’utenza del legale.

Varie decisioni di legittimità, tra queste la Sez. 4, 55253/2016, hanno infine chiarito che la disposizione dell’art. 103 comma 5 non deve essere intesa come un divieto assoluto e preventivo di conoscenza ma come un obbligo di verifica successiva che, ove si concluda con la constatazione della violazione, implica l’inutilizzabilità dei risultati delle comunicazioni protette.

 

Casistica

La pur indubbia compressione del diritto alla riservatezza, che caratterizza il rapporto tra difensore ed il suo assistito, derivante dall’esercizio da parte dell’Amministrazione di un controllo preventivo (rispetto allo svolgimento del colloquio) su quanto s’intende trasmettere in quella sede al detenuto, è comunque consequenziale allo “strumento” di comunicazione con il proprio assistito prescelto dal difensore; alla libera scelta, cioè, che il difensore effettua sulle modalità di trasmissione al detenuto dei documenti che egli ritiene che lo stesso debba conoscere o esaminare; fermo restando, per altro, che il difensore, ove ritenga opportuno evitare, in ogni caso, qualsiasi forma di ingerenza dell’Amministrazione e di impedire che i documenti da trasmettere al detenuto possano venire comunque esaminati da terzi, i potrà sempre ricorrere allo strumento della comunicazione epistolare ex art. 103 che riserva al difensore assoluta garanzia di libertà (Sez. 37223/2014).