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Art. 453 - Casi e modi di giudizio immediato

1. Quando la prova appare evidente, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede il giudizio immediato se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l’osservanza delle forme indicate nell’articolo 375 comma 3 secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato addotto un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile.

1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all’articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.

1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all’articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.

2. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario.

3. L’imputato può chiedere il giudizio immediato a norma dell’articolo 419 comma 5.

Rassegna giurisprudenziale

Casi e modi di giudizio immediato (art. 453)

Non sussiste incompatibilità, per il giudice che abbia emesso un’ordinanza cautelare in fase di indagini preliminari, a deliberare il decreto di giudizio immediato, posto che tale provvedimento non definisce con sentenza un grado del giudizio e non esprime motivazioni vincolanti, semplicemente verificando l’ammissibilità della richiesta del PM di accedere direttamente al dibattimento sul presupposto dell’evidenza della prova.

Il giudice che dispone il giudizio immediato non adotta un provvedimento da cui discende la definizione di un grado o di una fase del giudizio, né esprime motivazioni vincolanti, limitandosi a verificare l’ammissibilità della richiesta del PM quando la prova appare evidente (Sez. 7, 37658/2018).

L’art. 453 comma 1-ter, nello stabilire che la richiesta di giudizio immediato è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all’art. 309, deve essere interpretato nel senso che tale richiesta può essere presentata dal PM nei confronti dell’imputato in stato di custodia cautelare dopo la conclusione del procedimento innanzi al TDR e prima ancora che la decisione sia divenuta definitiva.

Questo principio trova fondamento nello stesso dato letterale, in ragione del carattere meramente eventuale del giudizio per cassazione di cui all’art. 311, nonché nella ratio sottesa alla tipologia di procedimento di cui trattasi, per l’evidente necessità di non procrastinare un giudizio che si è voluto immediato (Sez. 6, 37768/2018).

Anche in caso di giudizio immediato “custodiale”, permane, in capo al GIP, il controllo sull’evidenza della prova rispetto alla richiesta avanzata dal PM nei confronti di colui che si trovi in stato di custodia cautelare (Sez. 2, 19666/2014); anche perché, come evidenziato dalle Sezioni Unite, nel giudizio immediato “custodiale” il consolidamento del quadro di gravità indiziaria conseguente alla definizione della procedura ex art. 309 costituisce soltanto “un tassello della più ampia categoria dell’evidenza della prova”, intesa come substrato probatorio idoneo a rendere superflua la celebrazione dell’udienza preliminare (SU, 42979/2014).

Il GIP ha dunque il potere/dovere di qualificare correttamente la richiesta del PM di emissione di decreto di giudizio immediato solo formalmente qualificata ai sensi dell’art. 453, commi 1-bis e ter e nella quale siano stati, invece, richiamati i presupposti del giudizio immediato ordinario ex art. 453, comma 1, stante la diversità dei presupposti che caratterizzano le due ipotesi (Sez. 5, 5578/2015 la quale, in motivazione, ha precisato che l’esatto inquadramento della richiesta di giudizio immediato non comporta alcuna “usurpazione” dell’esercizio dell’azione penale, che implicherebbe una richiesta non formulata dal PM ed abusivamente espletata da organo diverso) (excursus riportato in Sez. 5, 32432/2018).

Sebbene l’inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, assegnati al PM per la richiesta, rispettivamente, di giudizio immediato ordinario e cautelare, è rilevabile dal GIP, la decisione con la quale questi dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato.

In altri termini, l’inosservanza dei termini può essere rilevata dal GIP, ma, nel caso in cui ciò non avvenga, non ricorre una nullità di ordine generale, in quanto il termine per la richiesta di giudizio immediato non è, in assenza di espressa previsione di legge, perentorio, bensì ordinatorio; i termini di 90 e 180 giorni sono, infatti, perentori per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma hanno natura ordinatoria per quanto riguarda la presentazione della richiesta di giudizio immediato, ordinario o custodiale; sicché la richiesta del rito può essere legittimamente presentata oltre il termine stabilito dalla legge, senza che ricorra alcuna nullità di ordine generale (SU, 42979/2014).

L’interrogatorio di garanzia previsto dall’art. 294 è equipollente all’interrogatorio «sui fatti dai quali emerge la evidenza della prova» previsto dall’art. 453 per l’accesso al giudizio immediato (Sez. 2, 17007/2012).

Ai sensi dell’art. 453, comma 1, la validità della richiesta di giudizio immediato presuppone che la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova, e che nella nozione di “fatti” rientrano solo gli elementi dimostrativi che inducono il PM a ritenere la sussistenza dell’evidenza della prova e non anche gli elementi acquisiti su richiesta della difesa.

Infatti, secondo la disciplina generale di cui all’art. 453, comma 1, una valida richiesta di giudizio immediato presuppone che la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l’osservanza delle forme indicate nell’art. 375 comma 3, secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire. Sulla base di tale premessa, sembra corretto ritenere che la parola «fatti», ai fini dell’art. 453, sia da intendersi con riferimento non alla realtà storica oggetto di contestazione, bensì agli elementi di indagine addotti dall’accusa a fondamento della richiesta: da un lato, il sintagma usato dal legislatore è «fatti dai quali emerge l’evidenza della prova»; dall’altro, la funzione dell’interrogatorio è quella di consentire all’indagato di contestare e contrastare l’efficacia persuasiva dei dati conoscitivi acquisiti dall’AG procedente.

Però, siccome i «fatti» cui allude l’art. 453 comma 1 sono costituiti dagli “elementi” dimostrativi che inducono il PM a ritenere la sussistenza dell’evidenza della prova, nel novero degli stessi non rientrano di per sé gli “elementi” acquisiti su richiesta della difesa per verificare la tesi dell’indagato: questi ultimi, invero, non sono acquisiti per fondare l’evidenza della prova, ma per verificare se i «fatti dai quali emerge l’evidenza della prova» conservano la loro efficacia persuasiva, e, quindi, proprio per assicurare effettività al diritto di difesa, a completamento della garanzia dell’interrogatorio.

In altri termini, gli elementi acquisiti su richiesta della difesa in opposizione alla tesi di accusa non implicano, logicamente e giuridicamente, la necessità di una contestazione e di una confutazione, e, quindi di un interrogatorio a discolpa, bensì, diversamente, l’esigenza di una valutazione e precisamente di un’analisi se essi, proprio unitamente a quanto dedotto nell’interrogatorio, siano idonei ad infirmare l’attendibilità dimostrativa degli elementi a carico. Può così concludersi che, ai fini della validità della richiesta di giudizio immediato, non sussiste la necessità di procedere a nuovo interrogatorio dell’indagato dopo lo svolgimento delle indagini richieste dalla difesa, a verifica della tesi a discolpa (Sez. 6, 27790/2017).

In tema di giudizio immediato tipico, la necessità dell’interrogatorio dell’indagato ha l’esclusivo scopo di assicurargli, in difetto dell’udienza preliminare, uno strumento d’integrazione del contraddittorio, al fine di evitare che il passaggio al dibattimento venga deciso sulla base di una prospettazione unilaterale del PM (Sez. 6, 15565/2017).

La confessione resa nell’interrogatorio di convalida dell’arresto, nell’ipotesi in cui si possa ritenere tale confessione alla stregua di una prova evidente, è condizione sufficiente a legittimare il PM. a chiedere il giudizio immediato senza necessità che egli debba procedere ad un secondo interrogatorio.

Il principio vale non solo per il reato per il quale l’imputato sia stato tratto in arresto e sia intervenuta convalida, ma anche per il diverso fatto che in sede di interrogatorio reso all’udienza di convalida il primo abbia confessato, risultando integrata anche per siffatta ulteriore ipotesi l’evidenza della prova legittimante la richiesta di giudizio immediato; senza che possa in tal caso prospettarsi alcuna lesione del diritto di difesa, che potrà ulteriormente dispiegarsi in giudizio, avendo l’iniziale confessione in questa fase significato solo processuale e valendo come indice della non superfluità del giudizio stesso. L’omissione non configura pertanto nullità alcuna riconducibile all’art. 178, comma 1, lett. c) (Sez. 6, 9029/2018).

La riunione o separazione dei procedimenti in funzione della richiesta di rito immediato spetta al PM. La norma predilige in caso di connessione tra i fatti la regola del favor separationis per ragioni di celerità procedimentale e con salvezza del pregiudizio per le indagini. Criterio di deroga risulta, infatti, quello della indispensabilità della riunione che ammette la prevalenza del rito ordinario. Si tratta di scelte che si operano nella fase anteriore alla richiesta di rito speciale ed il cui scrutinio compete al GIP (Sez. 1, 28632/2017).

Quando il tribunale ritenga illegittimamente instaurato il giudizio immediato per una parte delle imputazioni, può disporre lo stralcio degli atti relativi a tali contestazioni e deve valutare, con apprezzamento comunque insindacabile, la necessità della unitarietà del giudizio alla stregua di quanto stabilito dal comma 1 dell’articolo 18, che esclude la separazione solo quando la riunione sia “assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti”; non assume viceversa alcun rilievo il precetto fissato dall’articolo 453, comma 2 (per il quale la separazione va evitata quando possa determinare grave pregiudizio per le indagini in corso), poiché per “indagini in corso” devono intendersi esclusivamente le indagini connesse relative ad altri reati o ad altri imputati per i quali il PM procede nelle forme ordinarie (Sez. 2, 48256/2016).