Art. 173 - Termini a pena di decadenza. Abbreviazione

1. I termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge.

2. I termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti.

3. La parte a favore della quale è stabilito un termine può chiederne o consentirne l’abbreviazione con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell’autorità procedente.

Rassegna giurisprudenziale

Termini a pena di decadenza. Abbreviazione (art. 173)

La nullità conseguente all’incompatibilità dell’interprete ha natura relativa e, pertanto, nell’ipotesi in cui la parte vi assista, deve essere eccepita, a pena di decadenza, prima del compimento dell’atto ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo (Sez. 2, 31691/2018).

A norma dell’art. 38 L. 287/1951, di riordinamento dei giudizi di assise, quando nelle leggi di procedura penale si fa riferimento a giudice di competenza superiore o a giudice superiore, la corte di assise si considera giudice di competenza superiore agli altri giudici di primo grado; l’art. 23 dispone che, se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza e se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l’incompetenza è rilevata ed eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dal primo comma del successivo art. 491.

Dal combinato disposto di tali norme consegue l’inapplicabilità della preclusione, posta dall’art. 491 nella fase di giudizio che si sia svolta dinanzi al tribunale, essendo la corte di assise giudice considerato superiore dall’art. 38 citato (Sez. 2, 25657/2003).

La nullità del decreto di citazione a giudizio per insufficiente determinazione del fatto ex art. 555, comma 1, lett. c), e comma 2, non integra una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178, ma rientra tra quelle relative di cui all’art. 181, con la conseguenza che essa non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491.

È pertanto affetto da abnormità il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento rilevi d’ufficio l’invalidità (tra l’altro, nella specie, oltre il termine di cui all’art. 491), atteso che non è consentito al giudice sostituirsi alle parti nel rilevare cause di nullità relative, a pena del sovvertimento dei principi generali su cui si fonda nel nostro ordinamento il sistema della invalidità degli atti processuali (Sez. 2, 26298/2016).

La violazione del termine a comparire davanti al Tribunale, previsto dall’art. 552, comma 3, in giorni sessanta, non determina la nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, bensì una nullità generale di carattere intermedio, rilevabile d’ufficio ex art. 180 e deducibile, ai sensi dell’art. 182, comma 2, dalla parte interessata all’osservanza della norma violata, a pena di decadenza, prima dell’apertura del dibattimento; qualora la parte compaia dichiarando che la comparizione è determinata dal solo intento di fare rilevare l’irregolarità, ha diritto, ex art. 184, comma 2, ad un termine a difesa che deve essere tale da assicurare all’imputato il godimento dei termini complessivamente stabiliti dall’art. 552, comma 3, a fare data dalla prima notifica (Sez. 3, 30178/2018).

La giurisprudenza di legittimità è divisa sulla natura della nullità del decreto di citazione a giudizio prevista dall’art. 552, comma 3, perché non preceduto dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero per mancanza dell’invito all’indagato a presentarsi a rendere l’interrogatorio richiesto nel termine di cui all’art. 415-bis, comma 3. Secondo un primo orientamento, trattasi di nullità relativa che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491, subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 5, 34515/2014).

Secondo altro, più recente e maggioritario, orientamento, l’inosservanza è riconducibile alle nullità di ordine di generale di cui all’art. 178, lett. c), a c.d. “regime intermedio”, sicché può essere dedotta, ai sensi dell’art. 180, prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, 2382/2018).

L’erronea instaurazione del rito con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare non dà luogo a nullità assoluta ed insanabile, ma solo ad una nullità a regime intermedio rilevabile, a pena di decadenza, subito dopo il compimento, per la prima volta, dell’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 1, 5967/2014).

Le nullità di cui agli artt. 180 e 181 concernenti la deliberazione di esaurimento dell’assunzione delle prove debbono essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 5, 7108/2016).

L’omessa indicazione del capo di imputazione in merito alla finalità dell’azione delittuosa contestata  il fine di procurare a sé o ad altri un profitto  non ha alcuna rilevanza ai fini della dedotta nullità della sentenza ex art. 522, purché il fatto contestato sia individuato con estrema precisione, sicché l’elemento del profitto sia ricavabile in via induttiva dal contesto.

Soddisfatte queste condizioni, nessuna violazione del diritto di difesa può dirsi avvenuta. In ogni caso, un’eventuale doglianza difensiva in merito al contenuto del capo di imputazione, riguardando la completezza della contestazione, deve essere eccepita in primo grado nell’ambito delle questioni preliminari e riproposta in appello, a pena di decadenza (Sez. 2, 16063/2018).

L’acquisizione della relazione di consulenza tecnica di parte (nella specie, del PM) in assenza della previa audizione del suo autore non ne comporta l’inutilizzabilità, ma integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178 comma 1 lett. c), soggetta ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182 e alla sanatoria di cui all’art. 183 comma 1 lett. a); ne deriva che, in tal caso, la parte presente al compimento di detta nullità deve dolersene immediatamente nelle forme prescritte, pena la decadenza dal potere di deducibilità e la conseguente sanatoria dovuta all’accettazione degli effetti dell’atto (Sez. 6, 25807/2014).

Qualora il decreto che dispone il giudizio destinato all’imputato venga per errore notificato presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio validamente eletto, sussiste una nullità non assoluta, ma a regime intermedio, come tale deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall’art. 491, in quanto l’atto deve ritenersi comunque giunto a conoscenza dell’interessato (Sez. 4, 29311/2018).

Nel procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza, mancando l’udienza preliminare, le eventuali questioni di competenza vanno proposte, a pena di decadenza, solo in apertura di udienza; ciò in applicazione della norma di carattere generale dettata dall’art. 21, comma 2, secondo cui l’incompetenza per territorio è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1 (Sez. 1, 16545/2018).

L’incompetenza del tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 491 comma 1, come richiamato dall’art. 23 comma 2; né, a tal fine, rileva il disposto di cui all’art. 48 del D.Lgs. 274/2000, il quale non deroga al regime della non rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per materia del tribunale a favore del giudice di pace, limitandosi a stabilire che il giudice, qualora debba dichiarare l’incompetenza per materia a favore del giudice di pace, la dichiara con sentenza e trasmettendo gli atti al PM e non direttamente al giudice di pace (Sez. 7, 38195/2018).

Nella giurisprudenza di legittimità si evidenziano opzioni diverse in relazione al termine per la costituzione di parte civile ed alla conseguente inammissibilità dell’istanza di ammissione al processo per sopravvenuta decadenza. Una tesi afferma che il termine per la proposizione dell’istanza di costituzione di parte civile coincide con quello immediatamente antecedente all’apertura del dibattimento, pur se alla prima udienza non ammessa per ragioni formali, ma reiterata, quale primo atto, proprio all’udienza di rinvio (Sez. 5, 4972/2007).

Più di recente, Sez. 5, 28157/2015 ha ritenuto che il termine ultimo per la costituzione di parte civile debba individuarsi, ex art. 79, comma 1 e 484, comma 1, nel momento antecedente all’apertura del dibattimento allorché il giudice ha esaurito l’accertamento della regolare costituzione delle parti, dopo avere deciso le eventuali questioni sollevate al riguardo, ai sensi dell’art. 491, comma 1.

Altra tesi propende per l’inammissibilità della costituzione di parte civile che sia avvenuta successivamente al compimento degli adempimenti per la verifica della regolare costituzione delle parti, pur se siano ancora proponibili le questioni previste dall’art. 491, le quali, invece, la presuppongono (Sez. 5, 38982/2013) (l’elencazione si deve a Sez. 5, 21501/2018 che tuttavia non ha preso posizione al riguardo).

Il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale ai sensi dell’art. 468, comma 1, poiché il requisito della “novità” non è limitato ai soli mezzi di prova che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali (Sez. 3, 38222/2017).