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Art. 377-bis (1) - Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 20, L. 63/2001.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 377-bis, com’è noto introdotto nel sistema codicistico dalla L. 63/2001, allo scopo di contrastare gli inconvenienti derivanti da un possibile uso strumentale ed insidioso della facoltà di tacere, ovvero anche di mentire, innanzi all’AG - ha conseguentemente come destinatari i soggetti su cui non grava l’obbligo di rispondere alla medesima AG, ma che possono comunque rendere dichiarazioni utilizzabili in seno al procedimento penale (Sez. 6, 10129/2015).

Il reato previsto dall’art. 377-bis è un reato di evento: la condotta deve infatti produrre il risultato che il soggetto indotto rinunci effettivamente a rendere dichiarazioni, ovvero renda effettivamente dichiarazioni mendaci all’attività giudiziaria. In particolare, quanto al risultato cui deve tendere la condotta, possono distinguersi un evento immediato, psicologico, cioè la induzione derivante dalla condotta in questione e un evento processuale, per così dire esterno, che manifesta e consuma il reato e che attiene al silenzio od alla falsa dichiarazione della persona chiamata davanti all’autorità giudiziaria.

L’evento, si è osservato in dottrina, costituisce il risultato di una fattispecie complessa, che non si esaurisce nella mera induzione del soggetto chiamato, in quanto è necessario anche che costui venga chiamato dall’autorità giudiziaria e, ottemperando alla condotta illecita, provochi la contaminazione processuale indotta con violenza o minaccia (o con la promessa o offerta di denaro o altra utilità).

Trattandosi di un reato d’evento, la giurisprudenza di legittimità non dubita della configurabilità del tentativo. Il tema attiene tuttavia alla necessità di individuare il momento minimo, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 56, per la configurabilità del tentativo e cioè, se, ai fini anche della configurabilità della fattispecie tentata, sia necessario che la qualifica di soggetto “chiamato” sussista già al momento dell’induzione (quale effetto dei comportamenti tipizzati nella prima parte della norma in esame) ovvero assuma rilievo di per sé la condotta causale della induzione e si possa prescindere dalla qualità soggettiva “dinamica” di chiamato. In una fattispecie caratterizzata dall’abuso del diritto penale sostanziale a fini processuali, la Corte di cassazione ha in maniera condivisibile ritenuto di individuare il “minimum” perché la condotta delineata dall’art. 377-bis possa assurgere a rilevanza penale in quello che si è definito il momento dinamico della posizione soggettiva qualificata, vale a dire l’effettiva chiamata del soggetto a rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria.

In tal senso si spiega l’affermazione secondo cui quello previsto dall’art. 377-bis è un reato “proprio” con riferimento al destinatario della condotta; il reato si consuma solo in quanto  oltre che chiamato davanti all’autorità giudiziaria - tale soggetto - nei cui confronti non grava l’obbligo di rispondere, ricorrendo altrimenti la fattispecie di cui all’art. 377 nel caso in cui si superi l’anticipata consumazione prevista da tale norma  sia in grado di rendere dichiarazioni utilizzabili nel procedimento. Dunque, nella stessa norma incriminatrice (art. 377-bis) è strettamente tipizzata l’idoneità della condotta rispetto ad un evento di danno (il non rendere dichiarazioni o il rendere dichiarazioni mendaci) in relazione al quale la qualità soggettiva processuale di persona chiamata riveste un ruolo determinante, che diviene anzi condizione necessaria per l’ipotizzabilità stessa della fattispecie.

Dunque, l’uso del participio passato  persona chiamata  esclude dall’ambito di operatività della norma i dichiaranti con diritto al silenzio che al momento della condotta, sono in astratto chiamabili ma non chiamati, possono cioè solo in via eventuale essere chiamati a rendere dichiarazioni davanti all’AG; per le ipotesi di coazione del soggetto potenzialmente chiamato con facoltà di non rispondere, potrebbero infatti al più soccorrere, sussistendone i presupposti e fatta salva la rilevanza penalistica della reiterazione delle pressioni dopo la formale chiamata, le ipotesi di cui agli artt. 610 e 611.

Ad avallare tale interpretazione soccorre, sotto altro profilo, anche una lettura sistematica e comparativa dell’art. 377-bis in relazione al reato previsto dall’art. 377 la circostanza che nel delitto a consumazione anticipata sia richiesta la detta qualità soggettiva, appare la più significativa conferma che la fattispecie tentata di cui all’art. 377-bis debba dirigersi verso un soggetto che riveste quella qualità, giungendosi altrimenti alla contraddittoria conclusione che la previsione dell’art. 377, quale reato che si arresta molto al di là della soglia dell’evento (si è in presenza di un’ ipotesi di istigazione non accolta eccezionalmente punibile) resta designata dalla posizione qualificata, mentre la fattispecie di reato ad evento che si arresti alla forma tentata può prescindere dall’assunzione di tale qualità (Sez. 6, 991/2019).

Il reato di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’AG, di cui all’art. 377-bis, ha funzione di tutelare ed evitare situazioni di pericolo per la corretta acquisizione delle dichiarazioni provenienti da soggetti che non hanno l’obbligo di rispondere, ma che comunque possono rendere dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, anche al di fuori dei limiti di cui all’art. 526 CPP (Sez. 6, 10129/2015).

Il delitto di cui all’art. 377-bis può essere commesso anche tramite una terza persona e richiede che quest’ultima si faccia latrice, nei confronti del soggetto passivo, della condotta di minaccia, violenza, offerta o promessa di denaro finalizzata alla predetta induzione (Sez. 2, 44464/2010).

Il delitto di cui all’art. 377-bis rientra tra quelli cosiddetti a mezzo commissivo vincolato, dovendo concretizzarsi necessariamente attraverso violenza, minaccia ovvero offerta o promessa di denaro o altra utilità. Proprio la modalità commissiva condiziona la condotta materiale e la stessa azione di induzione a non rendere dichiarazioni o a renderle mendaci. Invero, là dove la minaccia, come accade nel caso di specie, si sia rivolta a terzi legati alla fonte dichiarativa da un rapporto di parentela, affinità o conoscenza e sia stata realizzata in funzione di condizionare la stessa fonte nel percorso dichiarativo è indiscutibile che si realizzi il delitto di specie, in forma tentata, nei casi in cui il dichiarante non abbia ceduto o ancora reso dichiarazioni per effetto della coartazione. Si tratta di un reato di evento per il quale è configurabile la forma del tentativo (Sez. F, 46290/2013).

La condotta volta a concordare versioni con persone da sentirsi dagli inquirenti, a prescindere dalla astratta configurabilità dei reati di cui agli art. 377 e 377-bis, che hanno sostituito la previgente fattispecie di subornazione, ben può assumere le caratteristiche del fatto gravemente colposo co-induttivo dell’AG procedente in errore (Sez. 4, 22642/2017).