Art. 378 - Favoreggiamento personale

1. Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni (1).

2. Quando il delitto commesso è quello previsto dall’art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (2).

3. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516 (3).

4. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

(1) Comma così modificato dall’art. 10, comma 9, L. 237/2010.

(2) Comma aggiunto dall’art. 2, L. 646/1982.

(3) Multa così aumentata dall’art. 113 L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

È esclusa la configurabilità del favoreggiamento personale in presenza di un reato permanente (SU, 32658/2012).

Ad un orientamento minoritario, secondo il quale tanto il favoreggiamento personale quanto quello reale, presuppongono l’avvenuta consumazione del reato ascritto al soggetto favorito e, pertanto, qualora trattisi di reato associativo (nella specie, di tipo mafioso) occorre che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, dandosi luogo altrimenti alla configurabilità, non del favoreggiamento, ma della partecipazione o del concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa (Sez. F, 38236/2004), si oppone altro indirizzo secondo il quale la configurabilità del favoreggiamento con riguardo ad un reato presupposto di carattere permanente, non è radicalmente esclusa quando detta permanenza sia ancora in atto, ma è necessario che la condotta di ausilio non possa in alcun modo tradursi in un sostegno o incoraggiamento alla prosecuzione dell’attività delittuosa da parte del beneficiario, che darebbero luogo invece a responsabilità per il reato associativo (Sez. 2, 12381/2019).

Ai fini del favoreggiamento, è pur sempre necessario che sia accertato essere diretta la volontà del soggetto agente non già a concorrere nell’illecito, bensì a realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (Sez. 4, 6128/2018).

Ai fini della configurabilità del delitto di favoreggiamento personale non rileva l’effettività dello sviamento delle indagini nel caso concreto quale conseguenza della condotta dell’agente, essendo sufficiente che la condotta medesima abbia l’attitudine, sia pure astratta, ad intralciare le attività di accertamento di reati o di identificazione dei relativi autori (Sez. 6, 9415/2016).

La condotta criminosa in un reato di pericolo, quale è quello di favoreggiamento, deve consistere in un’attività che abbia frapposto ostacolo, anche se limitato e temporaneo, allo svolgimento delle indagini, che abbia provocato, cioè, una negativa alterazione del contesto fattuale, all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgersi (Sez. 6, 9989/2015).

Atteso che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice dettata dall’art. 378 è pacificamente costituito dal regolare andamento dell’amministrazione della giustizia, la qualità di persona offesa non può che competere unicamente allo Stato - collettività (Sez. 6, 42919/2018).

Il reato di favoreggiamento personale ha come presupposto la commissione, da parte di altro soggetto, di un delitto, cui l’agente sia estraneo, per l’accertamento del quale siano in corso indagini e si concreta con l’agevolazione prestata a sottrarsi alle indagini stesse o alle ricerche conseguenti.

È, dunque, un reato di pericolo, a condotta libera, sicché qualsivoglia condotta  sia essa attiva od omissiva  vale ad integrare la fattispecie prevista e punita dall’art. 378, purché essa provochi una negativa alterazione del contesto fattuale al cui interno le investigazioni sono già operative, ovvero potrebbero iniziare, non essendo invece necessaria, in linea con la già ricordata natura di reato di pericolo propria della fattispecie, la dimostrazione del concreto vantaggio conseguito dal beneficiato (Sez. 6, 42919/2018).

Aggravante dell'agevolazione mafiosa

In tema di favoreggiamento personale, è configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa nella condotta di chi consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell'autorità un capoclan operante in un ambito territoriale in cui è diffusa la sua notorietà, atteso che la stessa, sotto il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operatività sarebbe compromessa dall'arresto del vertice associativo, determinando un rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato e, sotto quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall'intenzione di favorire anche l'associazione (Sez. 6, 27908/2020).

Rapporti con altre fattispecie

La fattispecie di cui all’art. 379-bis vede il suo campo di applicazione ristretto dalla clausola d’esordio della disposizione, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che le assegna chiaramente una funzione residuale. Quando il fatto di aver rivelato notizie segrete da parte di chi ha assistito o partecipato al compimento di un atto del procedimento penale non è altrimenti punito viene in rilievo la fattispecie ora in esame.

Ma se la rivelazione è fatta per aiutare il destinatario della stessa ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche, la norma incriminatrice va individuata nell’art. 378, che punisce il favoreggiamento personale in termini di maggiore gravità. La clausola di riserva che compare nell’art. 379-bis impedisce pertanto di fare applicazione di quella norma incriminatrice, proprio perché il fatto trova già qualificazione, come reato più grave, ad opera di altra fattispecie (Sez. 1, 13854/2019).

Risponde di concorso esterno nel reato associativo colui che, estraneo al sodalizio, perché non inserito stabilmente nella sua struttura organizzativa e privo della volontà di farvi parte, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, dotato di un’effettiva rilevanza causale, alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia diretto all’attuazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.

Per contro, il favoreggiamento personale postula la prestazione di un aiuto episodico ad eludere le investigazioni, oppure a sottrarsi alle ricerche in favore del singolo associato, che abbia commesso un reato eventualmente compreso nel programma associativo (Sez. 1, 2362/2019).

È stato più volte affermato, anche con specifico riguardo ad attività di salvaguardia della latitanza di esponenti di vertice delle organizzazioni di stampo mafioso, che il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa si distingue da quello di favoreggiamento, in quanto nel primo il soggetto interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati, quale elemento della struttura organizzativa del sodalizio criminoso, anche al fine di depistare le indagini di polizia volte a reprimere l’attività dell’associazione o a perseguirne i partecipi, mentre nel secondo egli aiuta in maniera episodica un associato, ad eludere le investigazioni della polizia o a sottrarsi alle ricerche di questa (Sez. 6, 40966/2008).

L’aiuto prestato a favore del massimo esponente di vertice di un’organizzazione di tipo mafioso durante la sua latitanza, consistito in interventi volti sia a garantirgli le cure necessarie al suo stato di salute, sia a consentirgli il mantenimento della sua capacità gestionale, fungendo da canale per i collegamenti epistolari con altri associati, integra il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e non quello di favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 DL 152/1991 (Sez. 6, 5909/2012).

 

Causa di non punibilità

Colui che realizzi un contegno di favoreggiamento personale è immune da responsabilità penale per effetto della generale causa di “non punibilità” prevista per la maggior parte dei reati contro l’attività giudiziaria dall’art. 384, comma l, allorché a tale contegno illecito in concreto attuato (la norma prevede la “commissione del fatto” di favoreggiamento) l’agente sia stato indotto (“costretto”) dalla “necessità” di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da “un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore”.

La fattispecie che in tal modo scrimina la condotta criminosa del favoreggiatore presuppone, quindi, che all’oggettivo aiuto elusivo delle indagini prestato all’autore di un commesso reato si coniughi un omologo aiuto del favoreggiatore a sé medesimo rispetto ad indagini penali, reali o potenziali, che possano investire la sua stessa persona o quella di un suo familiare, purché ricorrano le ridette esigenze di autotutela, personali o di un prossimo congiunto, rispetto ad un prevedibile e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell’onore.

Si è a questo proposito osservato che «se la nozione di libertà tutelabile assunta dall’art. 384, comma 1, quale elemento discriminante la responsabilità penale del favoreggiatore deve essere recepita nella sua più lata interpretazione, includente ogni forma di manifestazione della libertà individuale, come sembra potersi desumere dalla lettera della legge (art. 384) che non introduce alcuna particolare specificazione o selettività della categoria concettuale (libertà nella pienezza della sua accezione), non sembra del pari dubitabile che  quando tale libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall’esigenza di evitare una accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti  l’interesse di libertà che egli persegue si immedesima, senza soluzione di continuità temporale e ideativa, nell’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa.

Diritto e valore di rango costituzionale (art. 24, secondo comma Cost.), al pari di quello incarnato dalla non fuorviata e “giusta” amministrazione della giustizia (artt. 111, 112 Cost.)» (Sez. 6, 37398/2011). Se, dunque, il diritto di difesa costituisce il paradigma di apprezzamento del bene della libertà individuale che il favoreggiatore salvaguarda con la propria condotta antigiuridica, è di tutta evidenza che sia irrilevante che lo stato di necessità, dotato di efficacia scriminante ex art. 384, sia ricollegabile a un fatto accidentale, un fatto altrui o anche un fatto proprio e volontario del soggetto agente che realizzi una condotta di favoreggiamento personale (Sez. 6, 51773/2018).

In tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della punibilità prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto abbia agito per evitare un’accusa penale a carico del congiunto (Sez. 3, 45444/2014).

 

Casistica

Non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare, atteso che la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell'assistito ne legittima la rivelazione a quest'ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa; qualora, invece, l'acquisizione di notizie avvenga in maniera illegale - come nel caso di concorso nel delitto di rivelazione o di utilizzazione di segreti d'ufficio o nella fraudolenta presa visione o estrazione di copie di atti che devono rimanere segreti - si verifica una sorta di "solidarietà anomala" con l'imputato in virtù della quale l'aiuto del difensore è strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell'art. 378 (Sez. 6, 37512/2021).

Non ricorre l’ipotesi di favoreggiamento nel caso del difensore che, avendo ritualmente conosciuto atti processuali da cui emergano gravi indizi di colpevolezza contro il suo assistito, lo informi della possibilità che gli sia applicata una misura cautelare nell’ambito del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e per il legittimo esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, 58411/2018).

Integra il reato di favoreggiamento personale il comportamento del soggetto che, esaminato dalla polizia, neghi la conoscenza di fatti a lui noti, anche se detti fatti risultino da concomitanti fonti informative già in possesso dell’autorità inquirente, poiché la ricerca della verità esige una pluralità di elementi, il cui apporto non può essere rimesso al giudizio del singolo (Sez. 6, 13086/2014).

L’omessa denuncia di un reato di cui il cittadino è rimasto vittima non integra, di per sé, il reato di favoreggiamento personale: anche recentemente, è stato ribadito che non integra alcun illecito penale la condotta della persona offesa che abbia inizialmente taciuto alla polizia giudiziaria la vicenda estorsiva di cui era vittima, con la conseguenza che le dichiarazioni successivamente rese sono pienamente utilizzabili, senza che ricorrano i presupposti per l’applicazione delle formalità previste dagli articoli 63 e 64 CPP e a prescindere dall’eventuale esistenza della scriminante dello stato di necessità (Sez. 1, 10589/2019).

In tema di favoreggiamento personale, sussiste l’aggravante di cui all’art. 7 Dl 152/1991, convertito in L. 203/1991, qualora la condotta favoreggiatrice diretta ad aiutare taluno a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità sia posta in essere a vantaggio del capo clan, operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà si presume diffusa, perché essa, sotto il profilo oggettivo, concretizza un aiuto all’associazione, la cui operatività sarebbe compromessa dall’arresto dell’apice dirigenziale, mentre, sotto il profilo soggettivo, in quanto caratterizzata dal consapevole aiuto prestato al capo mafia, è indiscutibilmente sorretta dall’intenzione di favorire anche l’associazione (Sez. 2, 15635/2019).

In tema di favoreggiamento personale, l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 è compatibile con quella prevista dall’art. 7 DL 152/1991 convertito in L. 203/1991, quando il favoreggiamento sia stato compiuto in relazione a persona che abbia fatto parte di associazione di stampo mafioso e contemporaneamente l’azione sia diretta ad agevolare l’attività del sodalizio criminoso (Sez. 2, 12381/2019).

Deve escludersi la configurabilità del reato di cui all’art. 378, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve - salvo che non sia diversamente previsto - in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (SU, 36258/2012).

In tema di illecita detenzione di stupefacenti, il discrimine tra la condotta che costituisca concorso nel reato e la condotta che invece dia luogo all’autonomo reato di favoreggiamento personale va rintracciato nell’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione, manifestatesi attraverso individuabili modalità pratiche, di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (Sez. 4, 6128/2018).

La condotta del ricevere un’arma, ancorché determinata dall’intento di aiutare chi già la stia portando illegalmente, segna l’inizio di un comportamento concorrente con quello di chi ebbe ad effettuare la consegna e che comunque ne prosegue solo animo il possesso, perché costui non cessa di avere la disponibilità dell’arma e perché ambedue finiscono con il versare nella stessa condizione di illiceità, costituita dal porto illegale dell’oggetto, ancorché materialmente trasferito da uno all’altro (Sez. 1, 10856/1992).

Là dove l’aiuto prestato integri altresì una distinta figura criminosa, e tanto avviene ove si deduca il favoreggiamento personale, reato a condotta libera e contro l’amministrazione della giustizia, resta applicabile la disciplina del concorso formale nella diversità delle condotte e dei beni tutelati dalla norma (Sez. 1, 511/1994) (Sez. 6, 10893/2019).