Art. 155 - Accettazione della remissione

1. La remissione non produce effetto, se il querelato l’ha espressamente o tacitamente ricusata. Vi è ricusa tacita, quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione.

2. La remissione fatta a favore anche di uno soltanto fra coloro che hanno commesso il reato si estende a tutti, ma non produce effetto per chi l’abbia ricusata.

3. Per quanto riguarda la capacità di accettare la remissione, si osservano le disposizioni dell’articolo 153.

4. Se il querelato è un minore o un infermo di mente, e nessuno ne ha la rappresentanza, ovvero chi la esercita si trova con esso in conflitto di interessi, la facoltà di accettare la remissione è esercitata da un curatore speciale.

Rassegna di giurisprudenza

L’omessa comparizione in udienza del querelato, posto a conoscenza della remissione della querela o posto in grado di conoscerla, integra, ex art. 155, comma primo, la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato (SU, 27610/2011).

Ai fini dell’efficacia della remissione di querela non ne è indispensabile l’accettazione, essendo sufficiente che, da parte del querelato, non vi sia un rifiuto espresso o tacito della remissione, trattandosi di atto giuridico unilaterale che si perfeziona con la sua manifestazione (Sez. 5, 23030/2016).

Il querelato può accettare espressamente la remissione della querela, con formalità analoghe a quelle previste per l’atto di remissione (art. 340, comma 1, CPP) ma se non vi è un atto di accettazione espressa, perché si producano nondimeno gli effetti giuridici conseguenti alla remissione, la legge non pone come condizione che vi sia una "accettazione tacita". Infatti, nonostante che la rubrica dell’art. 155 sia intitolata impropriamente "Accettazione della remissione", ciò che normativamente si richiede  comma primo  è che il querelato non abbia "espressamente o tacitamente" ricusato la remissione.

Si è puntualizzato che la ricusa tacita si verifica "quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione". In altre parole il comportamento concludente preso in considerazione dall’art. 155, comma primo, non è quello attraverso cui si renda percepibile una adesione del querelato alla remissione di querela, ma è individuabile in una tacita manifestazione di volontà diretta a impedirla; cioè, non un comportamento positivo di accettazione ma uno negativo di rifiuto.

Pertanto, è possibile affermare che l’accettazione della remissione di querela si presume, purché non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato. In base al suddetto ragionamento, le Sezioni unite (SU, 27610/2011) hanno qualificato la remissione di querela come atto giuridico unilaterale, che si perfeziona con la sua manifestazione e non necessita di accettazioni o adesioni del querelato, il quale può solo rifiutarla e, quindi, rendere inefficace la remissione, impedendo la declaratoria di improcedibilità (Sez. 5, 33836/2018).

La remissione di querela si configura come un atto giuridico unilaterale, il quale si perfeziona con la sua manifestazione e che non necessita di accettazioni o adesioni del querelato, il quale può soltanto rifiutare la remissione, rendendola inefficace e impedendo la declaratoria di improcedibilità. Pertanto, se, per un verso, la causa sopravvenuta di improcedibilità si perfeziona anche in presenza di una dichiarazione espressa di accettazione della querela, realizzata con formalità analoghe a quelle previste per l’atto di remissione ai sensi dell’art. 340, comma 1, CPP, per altro verso, l’art. 155, ancorché rubricato "accettazione della remissione", configura in realtà anche un meccanismo fondato sulla "ricusa tacita", la quale si realizza quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione.

Dunque, la disposizione testé richiamata contempla un comportamento concludente consistente non già in una manifestazione di volontà del querelato di aderire alla remissione di querela, quanto piuttosto in una tacita manifestazione di volontà diretta a impedirla: non, dunque, un comportamento positivo di accettazione, ma uno negativo di rifiuto. E su tali basi, si è condivisibilmente affermato che l’accettazione debba essere presunta fintanto che non vi siano elementi indicativi di una volontà contraria del querelato, il quale si sia trovato nelle condizioni di potere accettare o rifiutare (Sez. 1, 12919/2018).