x

x

Art. 224 - Minore non imputabile

1. Qualora il fatto commesso da un minore degli anni quattordici sia preveduto dalla legge come delitto, ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata.

2. Se, per il delitto, la legge stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, e non si tratta di delitto colposo, è sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per un tempo non inferiore a tre anni (2).

3. Le disposizioni precedenti si applicano anche al minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto preveduto dalla legge come delitto, aveva compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, se egli sia riconosciuto non imputabile, a norma dell’articolo 98.

(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita con l’art. 1 del DLGS LGT 224/1944 e sostituita con la pena dell’ergastolo.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 1/1971, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui rende obbligatorio ed automatico, per i minori degli anni quattordici, il ricovero, per almeno tre anni, in riformatorio giudiziario.

Rassegna di giurisprudenza

Con un primo arresto (Sez. 5, 49863/2009), la Suprema Corte ha statuito che la previsione di cui all’art. 26 del DPR 448/1988 impone al giudice di dichiarare immediatamente con sentenza, in ogni stato e grado del procedimento, il non luogo a procedere quando accerti che l’imputato sia minore degli anni quattordici, considerato che l’art. 97 stabilisce una presunzione assoluta di non imputabilità e, quindi, anche di assoluta incapacità processuale che prescinde dall’effettivo riscontro della capacità di intendere e volere in capo al minore infraquattordicenne.

Ne consegue che al giudice non è consentito il preventivo accertamento per verificare l’eventuale insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso al minore imputato prima della pronuncia di cui all’art. 26 citato, attesa l’ultroneità di qualsivoglia indagine in relazione ad un fatto che la legge non consente di perseguire (in applicazione del principio di cui in massima la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, minore degli anni quattordici al momento del fatto, volto a censurare il mancato compimento, prima della sentenza di non luogo a procedere, di attività processuali, preordinate a dimostrare la propria estraneità ai fatti oggetto di imputazione).

Con un successivo arresto (Sez. 5, 18052/2012), la Corte ha assunto un indirizzo divergente, statuendo che la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 26, per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito. In motivazione la Corte ha osservato, con riferimento al precedente indirizzo, che l’assunto sarebbe incondizionatamente da condividere, se nel vigente codice penale, non fosse tutt’ora presente ed "operante" (pur dopo la parziale "sterilizzazione" operata dalla Corte costituzionale) l’art. 224, che prevede la possibilità di applicare la misura di sicurezza del riformatorio o della libertà vigilata per il minore non imputabile, se pericoloso.

Questa stessa sezione, tuttavia, con altre pronunzie  –  di poco anteriori a quella sopra ricordata  ha sostenuto che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, ragioni che possono  per la verità  trovare anche motivazione implicita. Ebbene, si ritiene che tale seconda indicazione giurisprudenziale sia da seguire a preferenza della prima (e, di poco, più recente), atteso che essa appare correttamente orientata secundum Constitutionem.

Invero, la formula terminativa di cui all’art. 26, non può essere considerata ampiamente liberatoria, alla stessa stregua di quelle di cui all’art. 129 CPP. Conseguenza ne è la eventuale applicazione dell’art. 224. Si profila, pertanto, una sostanziale incompatibilità tra il dettato del predetto art. 26 e quello del ricordato art. 224, atteso che il primo pretende che, preso atto della età infraquattordicenne della persona nei cui confronti le indagini sono state promosse o dovrebbero esserlo, il giudice emani sentenza di non luogo a provvedere, omettendo o sospendendo - secondo tale "lettura" - qualsiasi eventuale accertamento nel merito, mentre il secondo lascia aperta la possibilità, a seguito della decisione sopra indicata, della applicazione di provvedimenti anche fortemente incisivi sulla libertà personale o, quantomeno, su quella di movimento.

E ciò anche dopo che la Corte costituzionale, con la ricordata sentenza 20/1971, ha eliminato l’automatismo di cui all’art. 224, comma 2; anzi, a ben vedere, proprio l’abolizione di tale automatismo rende ancor più problematica la coordinazione tra le due norme, atteso che, da un lato, il giudicante deve immediatamente dichiarare non luogo a provvedere, una volta effettuato il semplice "accertamento anagrafico", dall’altro, dovrebbe essere in grado di conoscere il merito e di "scandagliare" la personalità del minore, allo scopo di valutare la necessità di applicare la misura di sicurezza. Conseguentemente, sembrerebbe permanere nell’ordinamento una irragionevole situazione di contrasto e di stallo, con evidenti implicazioni circa la sospetta costituzionalità dell’una o dell’altra norma o del loro combinato disposto.

L’interprete è dunque obbligato ad adottare l’interpretazione conforme a Costituzione, vale a dire quella che impone che il giudice, prima di applicare l’art. 26 sopra ricordato, si ponga in condizione di escludere che l’infraquattordicenne possa legittimamente aspirare ad un proscioglimento nel merito. Invero, se suprema lex, nella materia in esame, è l’interesse del minore ad una rapida fuoriuscita dal circuito processuale, nondimeno va osservato che tale percorso deve, comunque, essere effettuato con le cadenze, i tempi e, soprattutto, con le garanzie che caratterizzano il processo penale. Diversamente opinando, oltretutto, l’art. 26 citato finirebbe per entrare in contrasto, non solo – come anticipato –  con il dettato costituzionale (art. 3, art. 26 comma 2, artt. 111, 112, 76, 10, 117), ma anche con norme sovrannazionali (in particolare con l’art. 40 della convenzione di New York e con l’art. 6 CEDU).

Invero esso consentirebbe, oltretutto, in base all’interpretazione che questo collegio respinge, l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in materia penale senza che l’indagato o l’imputato sia informato del contenuto dell’accusa. Tale indirizzo è stato confermato da un successivo arresto di questa Corte che ha ribadito che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito; pertanto essa è illegittima qualora riguardi un reato perseguibile a querela della quale non sia previamente accertata la sussistenza, considerato che l’accertamento della procedibilità dell’azione precede anche quella relativa all’imputabilità del minore (Sez. 5, 24696/2014) (ricostruzione dovuta a Sez. 2, 16769/2015).