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Art. 385 - Evasione

1. Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni (1).

2. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite (2).

3. Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale (3).

4. Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita (4).

(1) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 2, L. 199/2010.

(2) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 2, L. 199/2010.

(3) Comma così sostituito dall’art. 29, L. 532/1982.

(4) Articolo così sostituito dall’art. 15, L. 1/1977.

Rassegna di giurisprudenza

Viola il principio del "ne bis in idem" la pronuncia di una pluralità di condanne per il delitto di evasione tutte relative al medesimo arco temporale in cui si è protratto l'allontanamento dell'imputato dal luogo di detenzione, anche domiciliare, trattandosi di reato istantaneo ad effetti permanenti, a meno che tali effetti siano stati interrotti da uno stabile rientro in detto luogo, attuato in maniera da interrompere l'elusione del controllo da parte delle autorità preposte alla vigilanza (Sez. 6, 22391/2022).

Il reato di evasione è integrato da qualsiasi allontanamento dal luogo in cui l’agente risulta assegnato agli arresti domiciliari  indipendentemente dal tempo di allontanamento e dalle motivazioni che ne stanno alla base  atteso che la ratio dell’incriminazione risiede nella necessità che lo stesso non si sottragga alla costante possibilità di controllo da parte della PG (Sez. 7, 13954/2019).

Agli effetti dell’art. 385 deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra pertinenza, ad eccezione di quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine) che costituiscano parte integrante dell’unità immobiliare, in quanto la detenzione domiciliare deve svolgersi secondo modalità analoghe a quelle della misura intramuraria (Sez. 6, 47317/2016).

Integra il reato di evasione anche la condotta del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari che sia sorpreso nelle immediate adiacenze dell’abitazione ove egli sia ristretto. Ed invero, in tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell’art. 385 deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà (Sez. 2, 13825/2017).

Integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale (Sez. 6, 28118/2015).

Il concetto di evasione non postula necessariamente la fuga da un istituto carcerario o l’allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare, ma l’elusione completa della sorveglianza in atto o potenziale da parte delle persone incaricate (Sez. 4, 45928/2017).

Ai fini della configurabilità del reato di evasione, anche brevi ritardi nello sforamento dell’orario di rientro, quando l’imputato sia stato autorizzato ad allontanarsi dall’abitazione ed i motivi di tale ritardo, purché non giustificati da uno stato di necessità, cioè ragioni incoercibili per salvarsi da un pericolo di grave danno alla persona (Sez. 7, 51855/2017).

Il reato di evasione commesso da persona in stato di arresti domiciliari risulta assistito da un dolo a carattere generico che consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione e, quindi, non possono usualmente svolgere rilievo esimente i motivi e le cause psicologiche che hanno orientato e determinato la condotta «contra legem» dell’agente a meno che non si verifichino situazioni di fatto che rendano inoffensiva la condotta (Sez. 6, 19639/2014).

La circostanza attenuante di cui all’art. 385, comma 4, non si applica per il solo fatto che la persona evasa dalla detenzione domiciliare rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura da cui si è arbitrariamente allontanata, perché vale per il caso in cui è indispensabile che la stessa si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un’autorità che abbia l’obbligo di tradurla in carcere (Sez. 6, 4957/2015).

Configura il delitto di evasione, e non l’ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte, sanzionabile ex art. 276 CPP, l’allontanamento della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari dal luogo di detenzione in un orario che si ponga in termini di inconciliabilità con la fascia oraria prefissata dall’autorità giudiziaria nel provvedimento cautelare (Sez. 6, 3744/2013).

La circostanza attenuante della costituzione in carcere prima della condanna non trova applicazione in ogni caso di evasione temporanea e quindi non può essere riconosciuta in favore del soggetto che si sia allontanato, per breve tempo, dall’abitazione di restrizione domiciliare per farvi subito dopo rientro (Sez. 6, 32383/2008).