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Art. 343 - Oltraggio a un magistrato in udienza

1. Chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione fino a tre anni (1).

2. La pena è della reclusione da due a cinque anni se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

3. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso con violenza o minaccia.

(1) Comma così modificato dall’art. 18, L. 205/1999. Il testo precedentemente in vigore prevedeva la pena della reclusione da uno a quattro anni.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di oltraggio a magistrato in udienza è sufficiente, ai fini dell’elemento psicologico, la consapevolezza del significato oltraggioso delle parole e degli atti compiuti, non occorrendo un dolo specifico (Sez. 6, 2277/1985).

Ricorre il reato di oltraggio ex art. 343 anche là dove l’espressione incriminata sia contenuta in scritti difensivi, in quanto atti destinati all’attenzione del giudicante e delle altre parti processuali, nella previa definizione della nozione stessa di udienza quale seduta in cui si svolge l’attività giudiziaria del magistrato (Sez. 6, 17314/2003).

Il bene giuridico presidiato dalla fattispecie penale di cui all’art. 343 consiste non tanto e non solo nell’onore e nel prestigio del magistrato, inteso quale persona fisica materialmente destinatario della contumelia, bensì, ed in primo luogo, nell’ordinato esercizio della funzione giudiziaria da parte dello Stato, e per esso da parte dei magistrati che lo rappresentano in udienza (Sez. 6, 37383/2003).

La plurioffensività della condotta oltraggiosa trova logica corrispondenza nella focalizzazione della tutela penale di cui all’art. 343 sull’udienza, momento in cui l’interesse pubblico al prestigio e al buon andamento dell’amministrazione della giustizia si sostanzia nel corretto svolgimento del contraddittorio orale tra le parti, in presenza dei magistrati giudicanti e, se del caso, di quelli del pubblico ministero, in vista di un sereno e consapevole esercizio della giurisdizione.

Poiché il bene giuridico primariamente tutelato dall’art. 343 è il buon andamento della pubblica amministrazione della giustizia  sub specie di corretto svolgimento del contraddittorio tra le parti in udienza, in quanto strumentale al libero e sereno esercizio del potere-dovere di ius dicere  il carattere offensivo delle espressioni rivolte ad un magistrato in udienza deve essere valutato non già sulla base della soggettiva percezione di quest’ultimo, bensì alla stregua della loro oggettiva capacità di incidere negativamente sul prestigio della funzione giudiziaria e sulla correttezza del contraddittorio e di compromettere in tal modo la libertà e la serenità del giudizio (Sez. 6, 15524/2017).

Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimità o l’opportunità di un provvedimento in sé considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato (Sez. 6, 20085/2011).

L’applicabilità della scriminante del legittimo esercizio del diritto di critica presuppone che le espressioni offensive concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia e rilevino ai fini delle argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata dinanzi all’AG (Sez. 6, 33262/2016).

La giurisprudenza di legittimità si è fatta portatrice della necessità che allorché la fattispecie contestata sia quella dell’oltraggio a un magistrato in udienza (art. 343), le espressioni di dissenso portate all’operato di un magistrato dall’imputato, e più in generale da una parte privata, nel processo, siano scriminate dalla esimente speciale di cui all’art. 598, secondo comma, se rispettose del principio della continenza.

Quest’ultimo resta in modo poi specifico contrassegnato, quanto a contenuti, dalla diretta ed immediata riferibilità dell’espressione utilizzata all’oggetto della controversia e dalla rilevanza funzionale della prima alle argomentazioni poste a fondamento della tesi prospettata dalla parte nel processo (Sez. 6, 21112/2004). Quanto alle modalità di esercizio che le espressioni adoperate restino contenute nell’ambito di un dissenso motivato ed espresso in termini corretti e misurati che non trasmodino in toni lesivi dell’onorabilità del destinatario (Sez. 6, 14201/2009).

Resta infatti per i riportati estremi salvaguardata quella posizione paritaria riconosciuta all’interno del processo penale alle parti e, quale espressione di detta esigenza, il diritto di critica che le parti, tutte, possono esercitare anche rispetto all’operato del magistrato purché l’esercizio, resti circoscritto alla legittimità ed opportunità del provvedimento in sé considerata e non sconfini nella illecita critica alla persona del magistrato (Sez. 6, 47282/2015).