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Art. 113 - Cooperazione nel delitto colposo

1. Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.

2. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’art. 111 e nei numeri 3 e 4 dell’art. 112.

Rassegna di giurisprudenza

In generale

La cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone pongono in essere una autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire con l’azione od omissione altrui alla produzione dell’evento non voluto», con la precisazione che «Ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, né la conoscenza dell’identità delle persone che cooperano, ma è sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza del coinvolgimento di altri soggetti in una determinata attività, fermo restando che la condotta cooperativa dell’agente deve, in ogni caso, fornire un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento, non voluto da parte dei soggetti tenuti al rispetto delle norme cautelari» (Sez. F, 41158/2015, richiamata da Sez. 4, 4994/2019).

Nella giurisprudenza di legittimità è consolidata l’acquisizione di una funzione estensiva della tipicità svolta dall’art. 113, che vale quindi a rendere penalmente rilevante una condotta atipica, in definitiva soltanto agevolatrice della condotta tipica altrui; secondo l’esplicativa definizione delle Sezioni unite, si tratta di “una condotta che, priva di compiutezza, di fisionomia definita nell’ottica della tipicità colposa se isolatamente considerata, si integra con altre dando luogo alla fattispecie causale colposa. Mentre la condotta tipica dà luogo alla violazione della regola cautelare eziologica, quella del partecipe, come ritenuto da autorevole dottrina, si connota per essere pericolosa in una guisa ancora indeterminata” (SU, 38343/2014).

Il fattore che consente (e giustifica) la rilevanza penale di tale contributo è la consapevolezza dell’autore di cooperare con altri (sia pure in un contesto nel quale il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza); al momento risulta minoritaria in giurisprudenza la tesi che sia necessaria anche la consapevolezza del carattere colposo della condotta altrui.Ciò però non significa che la cooperazione colposa non abbia anche una mera funzione di disciplina; ovvero che nel suo seno si collochi anche la condotta che sia connotata di per sé da tipicità colposa e di efficienza causale; e quindi che, se si fosse presentata ‘in solitudine avrebbe comunque imposto il rimprovero penale. Qui si coglie il valore scriminante della consapevolezza di cooperare con altri rispetto all’ipotesi di concorso di cause indipendenti, di cui all’art. 41 (Sez. 4, 41348/2018).

Una parte della giurisprudenza di legittimità, interna alla quarta sezione, ritiene che il concorso colposo sia configurabile anche rispetto al delitto doloso (tra le altre, Sez. 4, 22042/2015).

Non si può tuttavia ignorare che le Sezioni unite, con una decisione anteriore a quelle citate, erano pervenute a una soluzione opposta (SU, 2720/1990) che aveva trovato immediato seguito da parte delle sezioni semplici e che si lascia preferire sulla scorta di una piana lettura della disciplina codicistica: l’art. 42 secondo comma stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto colposo (o preterintenzionale) previsti dalla legge; l’art. 113 riguarda la cooperazione colposa “nel delitto colposo” dunque non può estendersi fino ad abbracciare il concorso colposo nel delitto doloso, figura, quest’ultima, che rimane priva di copertura normativa. Ergo, per i delitti, la condotta colposa che accede al fatto principale doloso è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista nella parte speciale (Sez. 5, 57006/2018).

La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all’incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell’altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (Sez. 4, 14035/2015).

La disciplina della cooperazione nel delitto colposo ha funzione estensiva dell’incriminazione, coinvolgendo anche condotte meramente agevolatrici e di modesta significatività, le quali, per assumere rilevanza penale, devono necessariamente coniugarsi con comportamenti in grado di integrare la tipica violazione della regola cautelare interessata (Sez. 4, 1786/2009).

Il problema della configurabilità del concorso di persone nel reato colposo è stato risolto dal legislatore del codice penale vigente con l’introduzione della cosiddetta cooperazione colposa, disciplinata dall’art. 113, che peraltro non prevede un differente trattamento sanzionatorio, rispetto a quello delle condotte indipendenti, ma si limita a prevedere alcune aggravanti tipiche del concorso di persone nel reato.

Va in proposito ricordato che, per aversi concorso di persone nel reato colposo, è sufficiente la consapevolezza della partecipazione di altri soggetti, indipendentemente dalla specifica conoscenza sia delle persone che operano sia delle specifiche condotte da ciascuna poste in essere, essendo la cooperazione ipotizzabile anche in tutte quelle ipotesi nelle quali il soggetto interviene essendo a conoscenza che la trattazione del caso non è a lui soltanto riservata, perché anche altri operanti nella medesima struttura ne sono investiti. Quanto al principio di affidamento, stesso non è invocabile allorché l’altra condotta colposa abbia la sua origine nell’omesso rispetto di norme cautelari, specifiche o comuni, da parte di chi invoca tale principio.

Quando il soggetto su cui grava l’obbligo di garanzia abbia posto in essere una condotta colposa, con efficienza causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa di chi sia intervenuto successivamente, persiste la responsabilità del primo soggetto, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che tuttavia deve avere avuto caratteristiche di eccezionalità tali da far venir meno la situazione di pericolo originariamente provocata o tali da modificare la pregressa situazione, a tal punto da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata. In altri termini, per escludere la continuità delle posizioni di garanzia, è necessario che il garante sopravvenuto abbia posto nel nulla le situazioni di pericolo create dal predecessore, o eliminandole o modificandole in modo tale da non poter essere più attribuite al precedente garante (Sez. 4, 18334/2018).

Per aversi concorso di persone nel reato colposo, è sufficiente la consapevolezza della partecipazione di altri soggetti, indipendentemente dalla specifica conoscenza sia delle persone che operano sia delle specifiche condotte da ciascuna poste in essere, essendo la cooperazione ipotizzabile anche in tutte quelle ipotesi nelle quali il soggetto interviene essendo a conoscenza che la trattazione del caso non è a lui soltanto riservata, perché anche altri operanti nella medesima struttura ne sono investiti (Sez. 4, 20125/2016).

 

Casistica

Un consulente esterno può essere chiamato a rispondere di eventuali comportamenti colposi che abbiano contribuito, in cooperazione colposa ex art. 113 con i titolari diretti degli obblighi prevenzionistici in materia di infortuni sul lavoro - all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento. Occorre, però, che una simile condotta di cooperazione colposa sia correttamente analizzata e specificamente individuata sulla base di un ragionamento probatorio che dia adeguato conto, al di là di ogni ragionevole dubbio, della sua esistenza e riconducibilità al prevenuto in termini di prevedibilità e prevenibilità dell’evento (Sez. 4, 57937/2018).

Perché venga esclusa la responsabilità del datore di lavoro (e di altri soggetti in posizione di garanzia) non solo la condotta del lavoratore deve essere connotata da abnormità, ma occorre che il datore di lavoro in sede di valutazione preventiva del rischio su di lui incombente, abbia fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed abbia adempiuto a tutti gli obblighi propri della sua posizione di garanzia, sicché laddove il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti evidenti criticità, la corresponsabilità del lavoratore va esclusa in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa; in altri termini si esige che il datore di lavoro debba governare ad ampio raggio la situazione gestionale della sicurezza evitando l’instaurarsi da parte degli destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette.

Corollario di tale principio è la non invocabilità da parte del datore di lavoro del cd. “principio di affidamento” nel comportamento altrui da parte di chi versi in colpa per la trasgressione delle norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte doverose o essere venuto meno ai propri doveri di vigilanza e controllo, confidando nella condotta virtuosa di chi gli subentra nella posizione di garanzia, perché questa secondo condotta on si configura come fatto eccezionale sopravvenuto da solo sufficiente a produrre l’evento (Sez. 4, 35827/2013).

In tema di colpa medica nell’attività di equipe, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell’evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento.

Ed è proprio con riferimento sostanzialmente a tale ipotesi che è stato affermato il principio secondo cui ogni sanitario, oltre che il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, sarà anche astretto dagli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune unico. In virtù di tali obblighi il sanitario non potrà esimersi dal valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza ponendo se del caso rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e come tali rimediabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Ricorre pertanto la cooperazione colposa quando l’agente è consapevole del fatto che della salute di un paziente altri medici si occuperanno o si sono occupati (Sez. 4, 20125/2016).