x

x

Art. 416-ter - Scambio elettorale politico-mafioso (1)

1. Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis in cambio dell’erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa è punti con la pena stabilita nel primo comma dell’art. 416-bis.

2. La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.

3. Se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell’accordo ci cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell’articolo 416-bis, aumentata della metà.

4. In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

(1) Articolo interamente sostituito dalla L. 43/2019.

Questo era il testo precedente: 1. Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

2. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 416-ter, nella sua nuova formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla L. 62/2014 ha la finalità di proteggere i beni giuridici dell’ordine pubblico e della legalità democratica nelle competizioni elettorali, sanzionando le condotte di chi promette di procurare voti e di chi accetta tale promessa, laddove l’impegno preveda da un lato che l’acquisizione dei voti avvenga con le modalità descritte dal precedente art. 416-bis, cioè avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere reati, e, da altro lato, l’erogazione o la promessa di erogazione di denaro o di un’altra utilità.

Tale delitto, dunque, è configurabile nei confronti di “chiunque”, dunque anche del mediatore, oltre che del promittente ‘mafioso’ e del candidato, e sussiste nei suoi elementi costitutivi per il solo fatto che sia stata raggiunta quella intesa, venendo così anticipata la punibilità rispetto alle iniziative che dovessero (o anche non dovessero) essere concretamente adottate per la ricerca di quei voti: ciò che qualifica l’illecito, e che lo differenzia da altre analoghe fattispecie penali previste da leggi speciali, è l’impegno al procacciamento del consenso elettorale con le indicate ‘modalità mafiose, che devono considerarsi sussistenti in re ipsa laddove il promittente sia per certo intraneo ad un sodalizio criminale di stampo mafioso ovvero abbia agito in nome e per conto di tale associazione delinquenziale, mentre devono essere provate come oggetto della intesa laddove manchi quel requisito, ad esempio se il promittente abbia operato a ‘titolo individuale oppure non risulti affiliato ad un clan di tipo mafioso.

In tale ottica, sulla base dei risultati di tale piana operazione esegetica, in sede di legittimità si è reiteratamente puntualizzato che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, come previsto dall’art. 416-ter nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla L. 62/2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o un’altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, terzo comma, può dirsi immanente all’illecita pattuizione.

Ed invece, qualora il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi sia una persona estranea alla consorteria di tipo mafioso, ovvero un soggetto intraneo che agisca “uti singulus”, è necessaria la prova della pattuizione delle modalità di procacciamento del consenso con metodo mafioso (Sez. 6, 16397/2016).

Più di recente è stato però ulteriormente (e condivisibilmente) chiarito che l’esistenza dell’intesa al procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose può desumersi anche in via indiziaria, valorizzando alcuni indici fattuali sintomatici della natura dell’accordo, quali possono essere “l’assoggettamento, che in determinate aree territoriali vi è nella forza di intimidatrice propria di chi è storicamente appartenente ad un’associazione di stampo mafioso”, dunque “la fama criminale dell’interlocutore del politico e la sua possibilità di incidere sul territorio di riferimento con i metodi tipici della mafiosità (capaci di) renderlo appetibile sul piano elettorale ed a spingere il candidato a raggiungere l’accordo nella consapevole, implicita, ma logica evidenza delle modalità attraverso la quale verrà veicolato in suo favore il reclutamento elettorale, essendo questa la logica causale della scelta di quello specifico interlocutore” (Sez. 6, 18844/2018) (ricostruzione sistematica dovuta a Sez. 6, 9442/2019).

Le «modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis [...]», così come espressamente richiamate dall’art. 416-ter, comma primo, nella riformulazione normativa conseguente all’introduzione della L. 62/2014, appaiono indispensabili alla configurazione del patto politico-mafioso e rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice. Ne consegue che tali modalità appaiono consustanziali alla configurazione del delitto in esame e necessarie alla concretizzazione dell’accordo elettorale incriminato dall’art. 416-ter, imponendone la riconducibilità al novero dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (Sez. 1, 19230/2016).

Ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, previsto dall’art. 416 nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla L. 62/2014, solo quando il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima non è necessario che l’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, poiché esclusivamente in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, comma terzo, può dirsi immanente all’illecita pattuizione (Sez. 6, 16397/2016).

Il reato di cui all’art. 416-ter si consuma nel momento dello scambio delle promesse, a nulla rilevando il mancato rispetto degli impegni assunti, atteso che l’oggetto dell’accordo illecito è costituito dall’acquisizione del consenso elettorale con metodo mafioso e la logica causale dell’accordo e della scelta dell’interlocutore, da parte del candidato, è determinata proprio dalla fama criminale del promittente e dalla consapevolezza delle modalità con cui sarà attuato il reclutamento elettorale.

Ciò che caratterizza il reato in esame è la particolare qualità del soggetto che promette la campagna di reclutamento, in quanto in grado di esercitare un condizionamento diffuso, fondato sulla prepotenza e sulla sopraffazione, e l’accordo si realizza proprio perché entrambi i contraenti sanno e vogliono avvalersi della forza di intimidazione mafiosa in virtù della quale quel voto è ottenuto.

Se questo è il nucleo centrale dell’accordo illecito, da ciò non deriva la necessità di un patto connotato dall’esplicitazione delle modalità di realizzazione dell’impegno assunto nei confronti del candidato, sia perché non è necessario il concreto esercizio del metodo mafioso o il compimento di singoli atti di prepotenza e sopraffazione in danno degli elettori per reperire voti, in quanto tali atti non costituiscono una parte della condotta materiale tipica, da realizzare in modo concreto, ma un post factum, eventualmente integrante altre autonome fattispecie di reato, sia perché il procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose può desumersi da alcuni indici fattuali, sintomatici della natura dell’accordo, come nel caso di specie alla luce degli elementi illustrati.

Si è ritenuto, infatti, sufficiente l’assoggettamento, che in determinate aree territoriali vi è alla forza di intimidatrice propria di chi è storicamente appartenente ad un’associazione di stampo mafioso per determinare alterazioni del libero esercizio del diritto di voto, e considerato che la promessa di acquisire il consenso elettorale con ricorso al metodo mafioso può ritenersi immanente all’accordo e manifesta in ragione delle peculiari connotazioni del fatto, come nel caso in cui sono la fama criminale dell’interlocutore del politico e la sua possibilità di incidere sul territorio di riferimento con i metodi tipici della mafiosità a renderlo appetibile sul piano elettorale ed a spingere il candidato a raggiungere l’accordo nella consapevole, implicita, ma logica evidenza delle modalità attraverso la quale verrà veicolato in suo favore il reclutamento elettorale, essendo questa la logica causale della scelta di quello specifico interlocutore (Sez. 6, 18846/2018).

Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso, tanto nella sua originaria versione, che a seguito della riformulazione operata dall’art. 1 della L. 62/2014, si configura come reato di pericolo, incriminando la norma l’accordo in forza del quale due o più soggetti si scambiano la promessa del procacciamento di voti presso l’elettorato e dell’erogazione di un corrispettivo (originariamente identificato nel denaro).

La novellazione della disposizione incriminatrice, avutasi nel 2014, ha riguardato la specificazione che il corrispettivo potesse essere costituito da una qualsivoglia «utilità»; l’introduzione nel suo testo della specifica previsione per cui l’oggetto della pattuizione illecita debba includere le modalità di acquisizione del consenso elettorale tramite il metodo mafioso, come descritto al terzo comma dell’art. 416-bis; l’estensione della punibilità, a titolo di concorrente necessario, ai colui che promette di procurare i voti. All’intervento normativo la giurisprudenza di legittimità ha tuttavia presto assegnato il valore di mera novità lessicale «di minimo contenuto, destinata a strutturare la fattispecie in termini ancora più compiuti e definiti, sempre coerenti, tuttavia, con la lettura più corretta che questa stessa Corte ha avuto modo di offrire già con riferimento al dato normativo previgente» (Sez. 6, 25302/2015).

E, in effetti, da un lato era già acquisita l’interpretazione secondo cui l’oggetto materiale dell’erogazione offerta in cambio della promessa di voti potesse essere rappresentato non solo dal denaro, ma da qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in termini economici e monetari); e, dall’altro, si riteneva già che l’illecita negoziazione elettorale assumesse valenza mafiosa, e carattere differenziale tipico rispetto alle altre ipotesi sanzionate dall’ordinamento giuridico di corruzione elettorale, proprio perché contemplante il ricorso alla sopraffazione ed alla forza coartante del sodalizio mafioso nel procacciamento dei voti, non essendo in sé sufficiente il mero scambio promessa di voti/erogazione di denaro.

Per contro, dopo l’intervento novellatore, si è affermato non essere ciò nonostante necessario, ai fini della configurabilità del delitto, che l’accordo politico-mafioso contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni, allorquando il soggetto collettore dei suffragi sia persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso, ed agisca per conto e nell’interesse di quest’ultima; essendo infatti, in tal caso, il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso, tramite la modalità di cui all’art. 416-bis, comma terzo, cod. pen., immanente all’illecita pattuizione.

E proprio per la ritenuta continuità normativa, sotto tale determinante profilo (che, anche nel vigore della precedente formulazione della norma, occorresse, ai fini della configurazione del reato, la promessa di acquisizione del consenso elettorale facendo ricorso alle tipiche modalità mafiose della sopraffazione e dell’intimidazione), si è concluso nel senso che la modifica apportata all’art. 416-ter dalla L. 62/2014, sul contenuto dell’accordo criminoso, non abbia comportato alcuna abolitio criminis ex art. 2, neppure parziale. Il quadro normativo è formalmente mutato, a seguito della novella, in ordine alla posizione, rispetto al reato, del procacciatore del consenso elettorale, la cui condotta la riformulata disposizione inquadra nell’ambito del concorso necessario (trasformando la fattispecie in reato plurisoggettivo proprio).

Neppure in precedenza però si dubitava potesse (eventualmente) concorrere nel delitto di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all’art. 416-ter, e fosse sanzionato ex art. 110, il soggetto che in cambio della erogazione di denaro o di ogni altro bene traducibile in un valore di scambio immediatamente qualificabile in termini economici, promettesse ad un candidato, in occasione di consultazioni elettorali, di procurare voti in suo favore, attraverso la forza di intimidazione del vincolo associativo tipico delle organizzazioni a delinquere di stampo mafioso e della derivante condizione di assoggettamento e di omertà. Sicché, anche da questo punto di vista, la riforma legislativa non ha di fatto esteso la portata materiale dell’incriminazione.

E, se non può escludersi, dal lato del candidato, che il patto elettorale politico-mafioso, risolvendosi in un contributo al mantenimento o al rafforzamento dell’organizzazione, integri paradigmaticamente la fattispecie del concorso esterno nel reato ex art. 416-bis, destinato allora ad assorbire l’altra figura, è certo che il medesimo scambio elettorale-mafioso rientri nel novero dei reati posti in essere avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis, e si dia pertanto, se a commetterlo è il partecipe all’associazione mafiosa, l’ordinario concorso materiale di reati, eventualmente avvinti dal nesso della continuazione (Sez. 1, 17455/2018).

Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso di cui all’art. 416-ter rientra nel novero dei reati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis, ed è quindi incluso nell’elenco di cui all’art. 51, comma 3-bis, CPP; ne consegue che si applicano anche a tale delitto le più rigorose disposizioni previste, in tema di interruzione della prescrizione, dagli artt. 160 e 161 (Sez. 6, 8654/2014).

Si pone il problema di valutare se sia configurabile il concorso c.d. “esterno” nel delitto di cui all’art. 416-bis di un uomo politico che abbia stipulato un patto con esponenti di un sodalizio di tipo mafioso, obbligandosi a favorirlo nei futuri rapporti con la P.A. in cambio di sostegno elettorale, ovvero se occorra all’uopo anche il successivo adempimento del predetto patto da parte del politico. Il tema è stato più recentemente esaminato da tre decisioni. Sez. 6, 43107/2011, premesso che ai fini della configurabilità del reato di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter), nella formulazione all’epoca vigente, è sufficiente un accordo elettorale tra l’uomo politico e l’associazione mafiosa, avente per oggetto la promessa di voti in cambio del versamento di denaro, mentre non è richiesta la conclusione di ulteriori patti che impegnino l’uomo politico adoperare in favore dell’associazione in caso di vittoria elettorale, ha osservato che, nell’ipotesi in cui tali ulteriori patti vengano conclusi, occorre successivamente posta in essere dal predetto a sostegno degli che gli ha promesso o procurato i voti assuma i caratteri della concorso esterno all’associazione medesima, potendo indicato, anche quello di cui all’art. 416-bis.

A sua volta, Sez. 1, 8531/2013 stata così massimata: «Integra la fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa la promessa di un esponente politico di favorire, in cambio del sostegno elettorale, il sodalizio nei futuri rapporti con la pubblica amministrazione». Il principio di diritto massimato, particolarmente chiaro, trova inequivocabili esplicazioni nel seguente passo della motivazione: “Quanto al primo profilo (violazione di legge) con riferimento all’ipotesi accusatoria di un concorso esterno del F. nell’associazione di tipo mafioso «clan dei casalesi», si sostiene, da parte del ricorrente, che la stessa sia in contrasto, in primo luogo, con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità relativamente a tale fattispecie, nel senso che, dalle risultanze investigative, non emergerebbe alcun concreto apporto fornito dal F. a quel sodalizio, dovendo escludersi, in particolare, che una semplice promessa di favori, ove pure in tesi accertata, sia sufficiente ad integrare il reato.

La censura è priva di fondamento posto che questa Corte, nel ribadire la possibilità di configurare la condotta di concorso esterno nel delitto di associazione di stampo mafioso le volte in cui il contributo dell’extraneus sia concreto, specifico, consapevole e volontario, ha anche precisato che siffatto contributo può ben connettersi ad un accordo di scambio con il quale un esponente politico si impegni  verso la promessa di voti in sede di elezioni amministrative  a favorire il sodalizio nei futuri rapporti con la Amministrazione. E questa Corte ha anche avuto cura di rammentare che la condotta offensiva del bene giuridico tutelato viene integrata dallo scambio sinallagmatico tra le due promesse (l’appoggio elettorale e la agevolazione dell’Ente), restando pertanto irrilevante la mancata esecuzione delle promesse in discorso”.

In apparenza difforme sembrerebbe il principio di diritto affermato da Sez. 2, 56088/2017, così massimato: «Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell’ipotesi del “patto di scambio politico-mafioso”, in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale, si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo nei futuri rapporti con l’Amministrazione. A tal fine occorre provare la controprestazione da parte del politico e cioè individuare le concrete condotte successivamente poste in essere per favorire l’associazione mafiosa.

Nondimeno, la motivazione propone un percorso argomentativo che sembrerebbe condurre a conclusioni, se non tout court diverse, quanto meno oscillanti: delinquere di tipo mafioso, premesso che tale ipotesi, a differenza di quella costituita dalla partecipazione “organica”, si caratterizza per l’assenza di una compenetrazione strutturale e di un vincolo psicologico finalistico stabile e richiede, quindi, necessariamente, una concreta attività collaborativa idonea a contribuire al potenziamento, consolidamento o mantenimento in vita del sodalizio mafioso in correlazione a congiunturali esigenze del medesimo, deve ritenersi che, nel caso particolare di una relazione fra uomo politico e gruppo mafioso, non basti, per la sussistenza del concorso esterno, una mera vicinanza al detto gruppo od ai suoi esponenti, anche di spicco, e neppure la semplice accettazione del sostegno elettorale dell’organizzazione criminosa, ma sia necessario un vero patto in virtù del quale l’uomo politico, in cambio dell’appoggio elettorale, si impegni a sostenere le sorti della stessa organizzazione in un modo che, sin dall’inizio, sia idoneo a contribuire al suo rafforzamento o consolidamento.

In tale ottica non appare necessaria, per la consumazione del reato, la concreta esecuzione delle prestazioni promesse anche se, il più delle volte, essa costituisce elemento prezioso per la dimostrazione del patto e della sua consistenza.

Appare evidente che la citata decisione: - mostri inizialmente di aderire ad un orientamento per il quale ai fini de quibus si può «prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali», in quanto non rileva «che l’impegno assunto sia stato successivamente rispettato o gli obiettivi del sodalizio effettivamente raggiunti» e resta «irrilevante la mancata esecuzione delle promesse»; - viri successivamente, ma questa volta nel senso di ritenere che “i rapporti anche reiterati e le relazioni tra esponenti politici e membri dell’associazione criminale possono invece essere sintomo del patto di scambio richiamato dalla pronuncia Sezioni Unite Mannino e, quindi, in tal caso, proprio in virtù della predetta autorevole giurisprudenza, andrà accertato che al sostegno elettorale e politico da parte dell’organizzazione criminale sia seguita poi la contro prestazione sinallagmatica in capo all’esponente politico, altrimenti rimanendo provata solamente una frazione della condotta non idonea ad integrare neppure la responsabilità ex artt. 110/416-bis”; - viri nuovamente, e conclusivamente nel senso di ritenere che «nel caso particolare di una relazione fra uomo politico e gruppo mafioso, non basti, per la sussistenza del concorso esterno, una mera vicinanza al detto gruppo od ai suoi esponenti, anche di spicco, e neppure la semplice accettazione del sostegno elettorale dell’organizzazione criminosa, ma sia necessario un vero patto in virtù del quale l’uomo politico, in cambio dell’appoggio elettorale, si impegni a sostenere le sorti della stessa organizzazione in un modo che, sin dall’inizio, sia idoneo a contribuire al suo rafforzamento o consolidamento.

In tale ottica non appare necessaria, per la consumazione del reato, la concreta esecuzione delle prestazioni promesse anche se, il più delle volte, essa costituisce elemento prezioso per la dimostrazione del patto e della sua consistenza». In realtà SU, 33748/2005 ha affermato, con riferimento alla questione in esame, il principio di diritto così massimato: Il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell’ipotesi del “patto di scambio politico-mafioso”, in forza del quale un uomo politico, non partecipe del sodalizio criminale (dunque non inserito stabilmente nel relativo tessuto organizzativo e privo dell’affectio societatis”) si impegna, a fronte dell’appoggio richiesto all’associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo.

Per la integrazione del reato è necessario che: a) gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell’accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti; b) all’esito della verifica probatoria “ex post” della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali».

In motivazione, sul punto, le Sezioni unite hanno osservato quanto segue: «E però, ammessa l’astratta configurabilità delle regole del concorso eventuale anche per l’ipotesi di accordo politico-mafioso diverso dallo scambio denaro/voti, occorre trarne le conseguenze in punto di rigorosa ricostruzione dei requisiti di fattispecie, con particolare riguardo, oltre che al dolo, anzitutto all’efficacia causale del contributo atipico del concorrente esterno. Non basta certamente la mera “disponibilità” o “vicinanza”, nè appare sufficiente che gli impegni presi dal politico a favore dell’associazione mafiosa, per l’affidabilità e la caratura dei protagonisti dell’accordo, per i connotati strutturali del sodalizio criminoso, per il contesto storico di riferimento e per la specificità dei contenuti del patto, abbiano il carattere .4 della serietà e della concretezza.

Ed invero, la promessa e l’impegno del politico (ad esempio, nel campo  pure oggetto dell’imputazione  della programmazione, regolamentazione e avvio di flussi di finanziamenti o dell’aggiudicazione di appalti di opere o servizi pubblici a favore di particolari imprese) in tanto assumono veste di apporto dall’esterno alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa, rilevanti come concorso eventuale nel reato, in quanto, all’esito della verifica probatoria ex post della loro efficacia causale e non già mediante una mera valutazione prognostica di idoneità ex ante (che pure sembra acriticamente recepita in talune decisioni di legittimità, fra quelle sopra citate), si possa sostenere che, di per sè, abbiano inciso immediatamente ed effettivamente sulle capacità operative dell’organizzazione criminale, essendone derivati concreti vantaggi o utilità per la stessa o per le sue articolazioni settoriali coinvolte dall’impegno assunto.

Il politico, concorrente esterno, viene in tal modo ad interagire con i capi e i partecipi nel funzionamento dell’organizzazione criminale, che si modula in conseguenza della promessa di sostegno e di favori mediante le varie operazioni di predisposizione e allocazione di risorse umane, materiali, finanziarie e di selezione strategica degli obiettivi, più in generale di equilibrio degli assetti strutturali e di comando, derivandone l’immediato ed effettivo potenziamento dell’efficienza operativa dell’associazione mafiosa con riguardo allo specifico settore di influenza.

Una volta prospettata l’ipotesi di accusa in riferimento al patto elettorale politico-mafioso, si rivela quindi necessaria la ricerca e l’acquisizione probatoria di concreti elementi di fatto, dai quali si possa desumere con logica a posteriori che il patto ha prodotto risultati positivi, qualificabili in termini di reale rafforzamento o consolidamento dell’associazione mafiosa, sulla base di generalizzazioni del senso comune o di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità.

Con l’avvertenza peraltro che, laddove risulti indimostrata l’efficienza causale dell’impegno e della promessa di aiuto del politico sul piano oggettivo del potenziamento della struttura organizzativa dell’ente, non è consentito convertire surrettiziamente la fattispecie di concorso materiale oggetto dell’imputazione in una sorta di  apodittico ed empiricamente inafferrabile  contributo al rafforzamento dell’associazione mafiosa in chiave psicologica: nel senso che, in virtù del sostegno del politico, risulterebbero comunque, quindi automaticamente, sia “all’esterno” aumentato il credito del sodalizio nel contesto ambientale di riferimento (ove tuttavia non si accerti e si definisca “occulto” l’accordo) che “all’interno” rafforzati il senso di superiorità e il prestigio dei capi e la fiducia di sicura impunità dei partecipi».

Sulla base delle predette argomentazioni, le Sezioni unite hanno conclusivamente enunciato, a norma dell’art. 173, comma 3, ATT. CPP, il seguente principio di diritto: «È configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso nell’ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso, in forza del quale il personaggio politico, a fronte del richiesto appoggio dell’associazione nella competizione elettorale, s’impegna ad attivarsi una volta eletto a favore del sodalizio criminoso, pur senza essere organicamente inserito in esso, a condizione che: a) gli impegni assunti dal politico, per l’affidabilità dei protagonisti dell’accordo, per i caratteri strutturali dell’associazione, per il contesto di riferimento e per la specificità dei contenuti, abbiano il carattere della serietà e della concretezza; b) all’esito della verifica probatoria ex post della loro efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé e a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali».

Sono, quindi, ed in tutta evidenza, le stesse Sezioni unite, con la sentenza Mannino, ad affermare la non necessità dell’adempimento del patto da parte del politico per configurarne il concorso c.d. esterno in un sodalizio di tipo mafioso (Sez. 2, 45402/2018).