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Art. 416-bis.1 - Circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose (1)

1. Per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

2. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.

3. Per i delitti di cui all’articolo 416-bis e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà.

4. Nei casi previsti dal terzo comma non si applicano le disposizioni di cui al primo e secondo comma.

(1) Articolo introdotto dal DLGS 21/2018, in sostituzione degli artt. 7 e 8, DL 152/1991.

Rassegna di giurisprudenza

Uso del metodo mafioso

La circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto. I caratteri mafiosi del metodo utilizzato per commettere un delitto non possono essere desunti dalla mera reazione delle vittime alla condotta tenuta dall'imputato, ma devono concretizzarsi in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale evocata (nel caso di specie, la Suprema corte ha ritenuto che i giudici del merito non si fossero conformati ai parametri ermeneutici sopra esposti, avendo evinto la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso dal richiamo fatto dall'imputato alla sua posizione di spicco della malavita e dalla potenzialità criminale delle sue minacce; in realtà le espressioni usate dall’imputato, pur connotate da un'indubbia valenza intimidatoria, non potevano di per sé sole dirsi oggettivamente idonee ad esercitare una coartazione psicologica sulle persone avente i caratteri propri dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale, nella specie evocata solo in via solo mediata, potendo - in ipotesi - costituire il frutto di una - certamente deprecabile - esplosione d'ira, non supportata da alcuna intenzione di conferire colorazione mafiosa alla minaccia) (Sez. 6, 28112/22020).

Relativamente all’aggravante del “metodo mafioso”, va ribadito che si tratta di una fattispecie avente natura oggettiva, in quanto si riferisce alle modalità della condotta e non alle caratteristiche soggettive dell’agente (Sez. 6, 29816/2017), e che può manifestarsi anche attraverso un comportamento evocativo della forza intimidatoria dell’associazione mafiosa in forma larvata o implicita (Sez. 5, 21562/2015) (riassunzione dovuta a Sez. 6, 15852/2019).

L’aggravante del metodo mafioso non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso, essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (nel caso di specie, concretatosi nell'aggressione ad un giornalista, tali modalità sono state così individuate: presenza di un “guardaspalle” durante l’intervista, simultanea aggressione al giornalista e all’operatore che stavano effettuando l’intervista, perpetrazione in pieno giorno dell’aggressione, rivendicazione della potestà di controllare il territorio e di cacciare chi non è gradito, evocazione dell’intervento di terzi che avrebbero danneggiato l’auto dei giornalisti ed il contesto omertoso nel quale l’azione era avvenuta) (Sez. 5, 6764/2020).

L’aggravante del metodo mafioso non richiede affatto che sia stata dimostrata, o anche solo contestata, l’esistenza di un’associazione per delinquere  né tanto meno, per l’effetto, che il soggetto agente ne sia partecipe  giacché ciò che rileva, risultando pertanto sufficiente ai fini dell’integrazione della circostanza, è che le modalità della condotta evochino la forza intimidatrice dell’agire mafioso, poiché l’aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga ad un’associazione mafiosa, o comunque agisca su suo mandato, comporta il determinarsi di uno stato di peculiare soggezione della vittima stessa, che agevola la sua soccombenza di fronte alla forza della prevaricazione, così facilitando l’esecuzione del reato e rendendone poi difficoltosa la repressione (Sez. 6, 41772/2017).

In una prospettiva differente: se è pur vero che il metodo mafioso, desunto dall’essersi avvalso delle condizioni previste dall’art. 416-bis, non richiede la prova dell’appartenenza dell’autore della minaccia ad una associazione mafiosa, è però necessario che l’associazione mafiosa delle cui forza intimidatrice l’autore del reato si avvale, deve essere se non realmente esistente quanto meno percepita come tale dalla persona offesa. Infatti, secondo il consolidato orientamento di legittimità, per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 DL 152/1991, ora riprodotta nell’art. 416-bis.1 non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, essendo sufficiente, ma necessario, che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa.

Da ciò discende che la tipicità dell’atto intimidatorio necessario per la configurabilità di detta circostanza aggravante è ricollegabile non già alla natura ed alle caratteristiche dell’atto violento in sé considerato, bensì al metodo utilizzato ed al contesto in cui si inserisce, nel senso che la violenza con cui esso è compiuto deve risultare concretamente evocatrice di quella particolare efficacia intimidatrice che deriva dall’esistenza percepibile di un sodalizio che si connota delle peculiarità descritte dall’art. 416-bis, date dalla forza intimidatrice del vincolo associativo e dalla condizione di omertà ed assoggettamento che ne deriva (Sez. 6, 16888/2019).

 

Agevolazione dell’attività delle associazioni mafiose

L'aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica anche al concorrente non animato da tale scopo, purché risulti consapevole dell'altrui finalità (SU, 8545/2020).

Integra il reato di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo mafioso la percezione, da parte del congiunto di un affiliato che si trovi in stato di detenzione, di un sussidio versato dal sodalizio criminale, giacché tale strumento di supporto economico, con la creazione di una rete di solida mutualità fra gli affiliati, rinsalda il vincolo di solidarietà nell'ambito dell'associazione, agevolando il perseguimento dei suoi scopi illeciti (Sez. 6, 7491/2021).

Ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 DL 152/1991, è necessario che la condotta di agevolazione sia finalizzata a far sì che l’associazione mafiosa nel suo insieme tragga beneficio dall’attività svolta, non essendo sufficiente che serva gli interessi dei singoli associati, pur se collocati ai vertici del sodalizio criminale (Sez. 5, 28648/2016).

La circostanza aggravante prevista dall’art. 7 DL 152/1991, sotto il profilo della finalità di agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta, con la conseguenza che, nel caso di concorso di persone nel reato, non è applicabile ai concorrenti che non abbiano agito in base a tale finalità (Sez. 6, 8891/2018).

L’aggravante dell’agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso, in quanto avente natura soggettiva, richiede per la sua configurazione il dolo specifico di favorire l’associazione, con la conseguenza che questo fine deve essere l’obiettivo “diretto” della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti, né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all’effettiva ed immediata coincidenza degli interessi di un esponente del capomafia con quelli dell’organizzazione (Sez. 6, 31874/2017).

Il reato di cui all’art. 416-bis, nella forma del concorso esterno e la circostanza aggravante di cui all’art. 7 DL 152/1991 nella dimensione teleologica, sono strutturalmente diversi. Nell’ipotesi di concorso, anche nella forma cosiddetta eventuale o esterno, nel reato di cui all’art. 416-bis, esiste una cointeressenza che, pur se occasionale, deve presentare il carattere di una rilevante importanza, tale da comportare l’assunzione di un ruolo esterno ma essenziale, ineliminabile ed insostituibile, particolarmente nei momenti di difficoltà dell’organizzazione criminale.

Quest’ultimo estremo non deve essere ravvisabile quando si contesta l’aggravante di cui all’art. 7 che si sostanzia nella semplice finalità di agevolazione dell’attività posta in essere dalla consorteria mafiosa, essendo in quest’ultimo caso necessario che venga accertata tale oggettiva finalizzazione dell’azione all’agevolazione detta. Nè, all’evidenza, sussiste contraddizione alcuna allorché si afferma che la medesima condotta abbia agevolato la ordinaria attività criminale della associazione mafiosa, ma, al tempo stesso, non abbia arrecato alcun contributo rilevante, sul piano affatto diverso, della tenuta, della conservazione o del rafforzamento della consorteria.

Sicché sono compatibili il riconoscimento della aggravante in parola e la esclusione del concorso esterno dell’indagato. Peraltro, diversamente opinando, la commissione di qualsivoglia delitto, sol che sia aggravato ai sensi dell’art. 7 DL 152/1991, sotto la ipotesi della agevolazione, comporterebbe – ad absurdum la implicazione indiscriminata del concorso esterno nella associazione mafiosa per l’autore del reato aggravato (Sez. 2. 8452/2019).

 

Dissociazione attuosa

La circostanza attenuante con effetto speciale della dissociazione, prevista dall'art. 8 DL 152/1991 convertito dalla L. 203/1991 (ora art. 416-bis 1, comma 3) non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze previsto dall'art. 69, trattandosi di una deroga che il legislatore ha inteso introdurre al fine di limitare l'ordinaria discrezionalità del giudice in relazione alla pena, tenuto conto della particolare rilevanza della determinazione della pena di tipo premiale per i collaboranti con l'autorità giudiziaria (Sez. 6, 33571/2021).

La mancanza di una formale contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 DL 152/1991, configurabile rispetto a ogni delitto, punito con sanzione diversa dall’ergastolo, che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis, ovvero al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, non è ostativa all’applicabilità della speciale attenuante, di cui al successivo art. 8 della stessa legge, prevista per coloro che si dissocino dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a ulteriori conseguenze  (Sez. 4, 30062/2006).

In senso contrario: la mancanza di una formale contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 DL 152/1991 – contemplata per i delitti, punibili con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis ovvero al fine di agevolare le attività mafiose – è ostativa all’applicabilità della speciale attenuante, di cui al successivo art. 8 della stessa legge, prevista a favore di chi, nei reati di tipo mafioso nonché nei delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori (Sez. 2, 23121/2009).

L’applicabilità della circostanza attenuante della collaborazione, ex art. 8 DL 152/1991, non può essere legata semplicemente a un qualsiasi atteggiamento di resipiscenza, a una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma postula, da parte dell’imputato, una vera e propria attività di collaborazione, concreta e fattiva, con le autorità inquirenti, che si traduca non soltanto nella semplice dissociazione, ma anche nell’adoperarsi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e nel coadiuvare concretamente gli organi inquirenti nella raccolta degli elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per la cattura degli autori dei delitti (Sez. 5, 33373/2008).

È irrilevante per l’ordinamento giuridico un’abiura o un’altra forma di manifestazione di pentimento rilevante nel solo contesto culturale mafioso; l’unica cosa che conta ai fini della concessione della suddetta diminuente è l’effettiva utilità del contributo fornito dal reo (Sez. 6, 36579/2012).