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Art. 8

Igiene personale

1. È assicurato ai detenuti e agli internati l’uso adeguato e sufficiente di servizi igienici e docce fornite di acqua calda, nonché di altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona. (1)

2. Nelle camere di pernottamento i servizi igienici, adeguatamente areati, sono collocati in uno spazio separato, per garantire la riservatezza. (2)

3. In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l’uso di rasoio elettrico personale.

4. Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per particolari ragioni igienico-sanitarie.

(1) Comma così sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 124/2018 che ha sostituito l’originario primo comma con gli attuali commi primo e secondo.

(2) Comma inserito dall’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 124/2018 che ha sostituito l’originario primo comma con gli attuali commi primo e secondo.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di rimedio risarcitorio ex art. 35-ter, ai fini dell’accertamento della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, se lo spazio delle celle è inferiore ai tre metri quadrati esiste una forte presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU superabile - in applicazione dei principi affermati dalla sentenza della Grande Camera della Corte EDU, 20 ottobre 2016, Mursic v. Croazia - solo attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella durata della restrizione carceraria, nei margini della libertà di circolazione concessa fuori dalla cella, nell’offerta di attività esterne alla cella e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione (Sez. 5, 53731/2018). Viceversa, qualora lo spazio individuale minimo assicurato al detenuto, una volta scomputati gli arredi fissi, sia compreso tra i tre e i quattro metri quadrati, vanno presi in considerazione gli ulteriori aspetti che determinano la complessiva offerta del trattamento detentivo, come la mancanza di aria o di luce, i difetti della condizione igienica, la carenza di assistenza sanitaria o l’assenza di offerte ricreative o culturali (Sez. 1, 52992/2016; Sez. 1, 26357/2017). Nell’ipotesi, quindi, di spazio minimo individuale tra i tre e i quattro metri quadrati, ciò che rileva, ai fini del trattamento inumano o degradante, è un’offerta trattamentale complessiva gravemente carente (Sez. 1, 910/2020).

La giurisprudenza della Corte EDU ha enunciato una serie di principi, di seguito riassunti, i quali, come detto, definiscono l’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 35-ter, costituendo il presupposto in base al quale il giudice nazionale deve stabilire se un determinato regime penitenziario integri, o non, un trattamento “inumano e degradante” (Corte EDU, Grande Chambre, sentenza Mursic c. Croazia, 20/10/2016): a) il giudizio sulla compatibilità delle condizioni detentive con l’art. 3 CEDU “non può essere ridotto ad un calcolo del numero di metri quadrati assegnati al detenuto”, dovendo tenersi conto delle complessive condizioni trattamentali mediante una valutazione unitaria; b) nel contesto di tale valutazione unitaria delle generali condizioni di detenzione, riveste, comunque, carattere preminente il fattore “spazio”, il quale, pertanto, determina, nel caso in cui il detenuto in una camera collettiva abbia a disposizione meno di tre metri quadrati calpestabili, una “forte presunzione” di violazione dell’art. 3 CEDU; c) tale presunzione qualificata è superabile e confutabile in presenza di fattori specifici che possano adeguatamente compensare la mancanza di spazio personale, quali, fra l’altro, un’adeguata attività trattamentale da svolgersi fuori dalla camera e le generali condizioni igieniche delle strutture penitenziarie; d) uno spazio in camera superiore ai tre metri quadrati, di per sé solo - specie se comunque inferiore a 4 metri quadrati - non depone, in ogni caso, per l’adeguatezza delle condizioni di detenzione, sussistendo pur sempre la violazione dell’art. 3 CEDU se a uno spazio limitato in camera si aggiungano condizioni detentive deteriori (quali, tra l’altro, la carenza di opportunità trattamentali, l’assenza di corretta aerazione dei locali, la mancanza di intimità nel bagno, precarie situazioni sanitarie o igieniche). Alla stregua dei parametri sopra enunciati, il giudice nazionale è, dunque, chiamato a verificare: a) se sussiste la presunzione qualificata derivante da un insufficiente spazio a disposizione del detenuto (calcolato al netto dei sanitari e degli arredi fissi); b) se tale presunzione sia o no controbilanciata (e, quindi, superata) da altri fattori concernenti le complessive condizioni detentive del ricorrente. Qualora, poi, lo spazio a disposizione del singolo detenuto sia superiore al limite dei tre metri quadrati e inferiore a quello dei 4 metri quadrati, sarà necessario indagare, sulla base delle specifiche allegazioni del detenuto, sulla presenza di condizioni generali di detenzione che, comunque, depongano per una violazione del divieto di trattamenti “inumani e degradanti”. La Corte alsaziana, tuttavia, con la decisione resa nel caso Mursic C. Croazia non ha affrontato, in modo espresso, il tema delle concrete modalità di computo dello spazio minimo individuale, limitandosi a osservare che “la superficie totale della cellula non deve comprendere quella dei sanitari (...). Al contrario, il calcolo della superficie disponibile nella camera di detenzione deve includere lo spazio occupato dai mobili. L’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella camera, secondo quanto già affermato nelle precedenti pronunce Ananyev e altri c. Russia del 10/01/2012 e Belyayev c. Russia del 17/10/2013. In particolare, la prima di queste sentenze, al punto 148, aveva stabilito - che la superficie complessiva della camera deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra gli elementi di arredamento (si veda, nella giurisprudenza successiva, anche Grande Camera, 16/12/2016, Klaufia ed altri c. Italia). Coerentemente con questa impostazione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nel novero degli elementi che non devono essere inclusi nel computo dello spazio minimo vitale vi siano, oltre ai servizi igienici, gli armadi e gli altri arredi tendenzialmente fissi in maniera stabile alle pareti o al suolo, atteso che il mobilio inamovibile non consente, per definizione, la possibilità, per i detenuti, di muoversi normalmente nella camera. E tra gli oggetti esclusi dal computo sono stati inclusi anche i letti che presentino la struttura “a castello”, da ritenersi certamente ostativi al libero movimento e alla piena fruizione dello spazio della camera di detenzione da parte del detenuto, avendo essi un peso tale da non poter essere spostati e avendo una conformazione tale da non consentire, di norma, il mantenimento della struttura eretta, restringendo a loro volta, come gli armadi, l’area ove muoversi (Sez. 1, 41211/2017). Viceversa, si è ritenuto che debbano essere inclusi nel computo tutti gli articoli amovibili, come gli sgabelli o i tavoli, e tutti quegli oggetti che di fatto non impediscano l’utilizzo dello spazio per il movimento, come nel caso degli stessi letti “non a castello” (Sez. 1, 40523/2017). E si è condivisibilmente ribadito che una volta eventualmente riscontrata, alla stregua dei criteri sopra menzionati, l’inadeguatezza dello spazio minimo, essa possa ritenersi in concreto compensata dall’esistenza di situazioni specifiche, quali la limitata durata della restrizione carceraria, la possibilità di ampi spazi di circolazione fuori dalla camera, l’offerta di attività da svolgere in ampi spazi fuori dalle celle, il decoro complessivo delle condizioni di detenzione, anche in rapporto alle condizioni igieniche e ai servizi forniti (Sez. 1, 3291/2020).

L’articolo 3 CEDU proibisce, in termini assoluti, la tortura o le pene o i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima, fermo restando che il maltrattamento, per assumere rilievo ai fini della previsione convenzionale, deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale livello minimo è relativa: dipende da tutte le circostanze della causa, quali la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l’età e le condizioni di salute della vittima. La Corte EDU, nella sentenza Mursic c. Croazia, ha aggiunto (par. 49) che il maltrattamento che raggiunge tale livello minimo di gravità comporta generalmente una effettiva lesione personale o un’intensa sofferenza fisica o mentale. Tuttavia, anche in assenza di tali circostanze, un trattamento che umili o svilisca la persona, mostrando mancanza di rispetto o sminuendo la sua dignità umana, o che susciti sensazioni di paura, angoscia, o inferiorità, tali da vincere la sua resistenza morale e fisica, può essere definito degradante e rientrare anch’esso nell’ambito della proibizione prevista dall’articolo 3. Ancora, si è sottolineato che la sofferenza e l’umiliazione in questione devono in ogni caso eccedere l’inevitabile componente di sofferenza e umiliazione connessa alla detenzione. Lo Stato deve assicurare che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità e il metodo di esecuzione della pena non sottopongano la persona a dolori o privazioni d’intensità superiore al livello di sofferenza che discende, inevitabilmente, dalla detenzione, e che, date le esigenze di ordine pratico della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente garantiti. In tale contesto, si collocano le regole penitenziarie europee (European Prison Rules), oggetto della Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa, che, anche nella versione più recente, circoscrive nei termini seguenti le regole igieniche da osservare nei luoghi di detenzione (art. 19): «Tutti i locali di ciascun carcere devono essere mantenuti in perfetto stato e sempre puliti. 2. Le celle e gli altri locali assegnati ad un detenuto al momento della sua incarcerazione devono essere puliti. 3. I detenuti devono disporre di un accesso immediato ai servizi igienici che siano salubri e rispettino la loro intimità. 4. Devono essere previste strutture adeguate affinché ciascun detenuto possa usufruire di bagni e docce a temperatura adattata al clima, se possibile giornalmente, ma almeno due volte alla settimana (o più frequentemente se necessario), conformemente ai principi generali di igiene. 5. I detenuti devono occuparsi dell’igiene personale, della pulizia dei loro abiti e della cella. 6. Le autorità penitenziarie devono fornire loro i mezzi necessari, segnatamente gli articoli da toilette, gli utensili e i prodotti di pulizia. 7. Speciali provvedimenti devono essere adottati per rispondere alle necessità igieniche delle donne». Anche in una dimensione più ampia, si osserva che le United Nations Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners (the Mandela Rules), A/C.3/70/L. 3, 29 September 2015, nella regola n. 15, si limitano a prevedere che le installazioni sanitarie siano adeguate a garantire il soddisfacimento delle esigenze naturali, quando necessario, in condizioni di pulizia e di decenza (Sez. 1, 30469/2019).

Fermo restando che l’uso dell’acqua corrente calda nel locale bagno annesso a ciascuna camera costituisce elemento del servizio igienico prescritto dall’ordinamento (ex art. 7 DPR. 230/2000), la sua mancanza non si traduce necessariamente in un trattamento disumano o degradante se siano presenti gli altri fattori di riequilibrio messi a punto dalla giurisprudenza della Corte EDU (Sez. 1, 44866/2017).

Il reclamo al magistrato di sorveglianza risulta ammissibile allorquando si versi al cospetto di un pregiudizio grave ed attuale. Il requisito di gravità, per essere suscettibile di giustiziabilità deve assumere un minimum di consistenza strutturale e non può rivelarsi con connotati di tale lievità da apprezzarsi, piuttosto, come un puro disagio o fastidio (fattispecie in cui è stata esclusa la gravita del pregiudizio subito da un detenuto cui è stata negata la consegna di un pettine) (Sez. 7, 9071/2017).