Come si scrive una delibera: Cosmo-grafia parte III – La motivazione e il dispositivo

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Nella prima parte (https://www.filodiritto.com/una-cosmo-grafia-degli-atti-amministrativi-parte-i-ogni-delibera-inizia-con-premesso-che) abbiamo visto come ogni proposta di deliberazione – alla pari di altri provvedimenti, come decreti, determinazioni, ordinanze, etc. – dovrebbe iniziare con la descrizione dei fatti, introdotta dal “Premesso che”. Nella seconda parte (https://www.filodiritto.com/come-si-scrive-una-delibera-cosmo-grafia-parte-ii-norme-e-accertamenti), invece, ci siamo occupati dell’inserzione della normativa di riferimento, sia generale che interna.

A questo punto, possiamo affrontare la motivazione come cuore pulsante della deliberazione, che può assumere, come vedremo tra poco, anche un rilievo costituzionale. Infine, per concludere, accenneremo alla sezione precettiva.

Orbene, è inconsueto che un giudice censuri un atto amministrativo per una citazione normativa sbagliata o mancante, a meno che ciò non infici palesemente il costrutto logico-deduttivo. Il sindacato di legittimità si esplica, infatti, soprattutto nella disamina puntuale delle argomentazioni a sostegno dell’agire pubblico ed estrinsecate nella motivazione. Il lemma deriva dal latino movere/motus, a identificare le ragioni che spingono l’amministrazione ad adottare un provvedimento. Nel linguaggio penalistico, dalla stessa radice, scaturisce la parola movente.

La motivazione risulta essere, pertanto, un requisito di legittimità in virtù dell'articolo 3 della legge 241/1990, che ne impone, come anche interpretato e indotto da giurisprudenza copiosissima, non tanto una presenza formale, quanto piuttosto ne prescrive la congruità, l’adeguatezza, la chiarezza e la proporzionalità nell’esercizio di un “potere”.

La discrezionalità amministrativa, infatti, è un’attività ponderativa degli interessi riconosciuta al soggetto pubblico, che deve essere esercitata con cura e diligenza nello scegliere i tempi, i modi, gli oggetti, le entità e, soprattutto, nel valutare se l’azione amministrativa sia o meno da esplicare (an, quomodo, quando e quid, aggiungendovi, con notazione diplomatistica, il quantum).

In sede di sindacato giurisdizionale, infatti, più volte dottrina e giurisprudenza hanno concordemente ribadito che quanto più una deliberazione risulta critica, tanto più la motivazione dovrà essere articolata ed esaustiva, direttamente proporzionale alla complessità, scritta con linguaggio chiaro e nel rispetto di una ferrea logica argomentativa. La funzione della motivazione è di consentire agli interessati di comprendere le ragioni sottese all’adozione di un provvedimento, anche al fine di permettere il controllo sociale e non soltanto di tutelare gli interessi legittimi.

È dunque necessario dare contezza sia agli organi vigilanti, sia alla collettività pubblica, delle situazioni giuridicamente rilevanti e delle valutazioni di opportunità che hanno condotto a una determinata decisione. E, necessariamente, le ragioni passano per le circostanze che in un dato frangente sono accadute.

Dopo le premesse di fatto e di diritto, dopo gli accertamenti tecnici, se presenti, deve dunque trovare una dignità centrale la motivazione. Essa è, di norma, introdotta dal “Considerato / Considerato opportuno”, cioè dall'esplicitazione delle considerazioni che inducono a scegliere – tra più soluzioni parimenti lecite, possibili e determinate – proprio quella adottata.

Al di là della forma, la parte dispositiva (il vero “deliberato”, l’essenza del decisum, la c.d. dispositio), cioè tutto ciò che viene scritto dopo il “delibera” (verbo che identifica il nomen juris del provvedimento), deve essere enucleato con coerenza, seguendo una segnaletica testuale. Da ciò consegue che, semplicemente, le determinazioni assunte devono essere esplicitate per paragrafi brevi, resi gradevoli anche graficamente mediante punti elenco, numeri o lettere dell’alfabeto. Non si sottragga il responsabile del procedimento alla cura estetica del documento, nella sciatteria degli elementi estrinseci della deliberazione, come l’uso e la normalizzazione del carattere tipografico, la gabbia di scrittura, il posizionamento del sigillo, dell’intestazione e di visto, sigla, firma e sottoscrizione[1].

Ogni paragrafo è introdotto da “di + infinito presente” a rappresentare il verbo che identifica l’azione amministrativa. Quindi, dopo le premesse di fatto e di diritto, gli accertamenti tecnici e la descrizione di ogni altro elemento ritenuto utile alla comprensione e alla completezza dell’atto da parte del responsabile del procedimento amministrativo, deve essere posizionato – in maiuscolo centrato – il nomen juris seguito dai verbi dispositivi. Pertanto, avremo:

DELIBERA

  • di autorizzare (se si tratta di autorizzazione)
  • di concedere (se di tratta di concessione)
  • di nominare (se di tratta di nomina)

Di norma, il primo verbo all’infinito presente si trova simmetricamente in forma denominativa nell’oggetto. Nel primo caso troveremo “Autorizzazione a...”, nel secondo “Concessione per...”, nel terzo “Nomina di...” e così via.

Inoltre, è bene porre attenzione alla coerenza tra verbo dispositivo, oggetto del documento e oggetto del fascicolo. Non a caso, a una buona fascicolatura corrisponde spesso un buon ordine concettuale come premessa della chiarezza argomentativa. Di conseguenza, quando i documenti sono in ordine, lo sono anche le idee a corroborazione del provvedimento amministrativo. Poche idee e in disordine è un motto inadeguato al ruolo di responsabile del procedimento amministrativo.

Torniamo agli aspetti giuridici che, ancora una volta, intersecheremo con la corretta gestione documentale. In virtù di quanto disposto dall’articolo 3 della legge 241/1990, la mancanza di motivazione potrebbe provocare la censura più grave, cioè l’annullamento.

Tuttavia, la sola presenza di per sé non risulta sufficiente. Infatti, una delle cause più frequenti di annullamento o di riforma del provvedimento è riconducibile a una motivazione carente, cioè non sufficientemente adeguata, proporzionata, chiara ed esaustiva. In questo caso, la figura sintomatica più importante tra i vizi di legittimità è l’eccesso di potere.

Un buon manager deve sempre saper scegliere tra il proprio personale le figure dotate di linearità di pensiero e di esposizione, evitando con cura coloro che amano arzigogolare tra un’accozzaglia di informazioni irrilevanti che distolgono il lettore e gli organi di controllo da una lettura attenta. Come scriveva Tullio De Mauro molti anni fa, un dipendente pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.

Esiste, però, un altro modo di esplicitare la motivazione. Purché all’interessato sia possibile prendere visione degli atti cui si fa rinvio, risulta pienamente ammissibile la c.d. motivazione per relationem. Essa trova la fonte normativa nell’articolo 3, comma 3, della legge 241/1990:

«Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama».

Uno dei pre-requisiti di tale forma della motivazione è la corretta tenuta del fascicolo archivistico, come ho avuto modo di ribadire in almeno due occasioni[2].

A proposito dell’obbligo di motivazione, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 310/2010, ha statuito che: «L’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi (...) è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell’azione amministrativa. Esso è radicato negli articoli 97 e 113 della Costituzione, in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione e, dall’altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale».

La Suprema Corte, dunque, ha ribadito in maniera incontrovertibile l’importanza della motivazione, anche ai fini della trasparenza amministrativa. Essa presenta, infatti, un’intrinseca esigenza di conoscibilità, anch’essa profondamente connessa ai principi di buon andamento e di imparzialità.

Tali principi si concretizzano proprio attraverso la motivazione, in quanto strumento volto a esternare le ragioni fatte proprie e la logica argomentativa seguita dall’autorità amministrativa. L’ultimo passaggio della sentenza, dal punto di vista dei mezzi di tutela a disposizione dell’interessato, risulta fondamentale per comprendere quanto sia necessario prestare la massima attenzione all’enucleazione della motivazione.

In maniera empirica, potremmo adottare un’unità di misura sui generis, variabile ed elastica per verificarne l’adeguatezza, pur nel pregio della sintesi e dell’essenzialità. Quanto più complesso risulta un provvedimento, tanto più adeguata e proporzionata risulterà la motivazione. A provvedimento critico corrisponderà, dunque, una motivazione più articolata e diffusa, scritta in un italiano semplice, grammaticalmente e ortograficamente corretto. Fatto, quest’ultimo, sempre meno scontato negli ultimi anni.

 

[1] Su questo punto, cfr. http://www.procedamus.it/8-eventi/164-puntodelibere-quesitierisposte007.html

[2] Due osservazioni sul fascicolo archivistico, http://www.procedamus.it/images/pdf/Due_osservazionifascicolo2000.pdf

l’archivio come bene della vita, http://www.procedamus.it/images/pdf/Larchiviocomebenedellavita2008.pdf